*Attenzione questo articolo contiene spoiler sulla miniserie Good Omens.
Si potrebbe dire che Good Omens rappresenti la seconda scommessa di Amazon Video su Neil Gaiman. E potremmo anche definirla come una seconda vittoria, forse anche più di American Gods. Good Omens è la serie di cui avevamo bisogno in questo periodo dominato dal ritorno alla distopia di Black Mirror e The Handmaid’s Tale. Nonchè dall’inquietudine della purtroppo realissima storia di Chernobyl. Una ventata di freschezza pari a quella del mezzogiorno estivo di Londra, città in cui la serie è ambientata, e che viene descritta con un sarcasmo da manuale. La serie tv tratta dal romanzo fantasy del 1990 di Neil Gaiman e Terry Pratchett, è sceneggiata da Gaiman stesso. Ma è elegantemente rivestita dallo stile brit del compianto Pratchett, come abbiamo raccontato qui. Eppure Good Omens non è solo una serie fantasy dai toni ironici.
Good Omens è un omaggio all’imperfezione dell’uomo, che si fa beffa dei concetti di Bene e Male assoluti.
Alla guida della storia abbiamo due personaggi assolutamente unici nelle loro paradossali tendenze. Aziraphale – interpretato da un versatile Michael Sheen – un angelo che fatica ad allinearsi al poco flessibile concetto di “bene” del paradiso. E Crowley – interpretato da un irriconoscibile quanto magistrale David Tennant – un demone che ha imparato ad apprezzare i lati positivi della luce. Rappresentanti in Terra di Paradiso e Inferno. Gentile cortesia, raffinatezza e amore per il bene intangibile del sapere da un lato. Sprezzante sarcasmo, passione per le comodità e attaccamento alla materialità dall’altro. L’essenza corporea di Aziraphale infatti trova posto in una libreria vintage di Soho, Londra. Mentre quella di Crowley alla guida sfrenata di una Bentley munita di cd dei Queen e dei Velvet Underground.
La loro unicità risiede nella riscoperta consapevolezza di un mondo tanto migliore quanto meglio bilanciato tra le forze del bene e del male.
La stessa unicità che, dopo un’ormai millenaria alleanza, li porterà a tentare la missione delle missioni: salvare il mondo dallo scontro finale tra Cielo e Inferno. Impensabile per i loro simili. Come? Facendo da “padrini” all’Anticristo, mandato sulla Terra da Satana – per mano dello stesso Crowley – nel corpo di un neonato, per dar inizio all’Apocalisse. A sorvegliare l’intera faccenda i loro rispettivi head office: il Paradiso, rappresentato da John Hamm nei panni dell’ “Arkangel fu****g Gabriel”, e l’Inferno guidato da Lord Belzebù, demone capo. Entrambi a lungo ignari dell’alleanza stretta dai loro rappresentanti in Terra. A loro volta ignari – fino al giorno designato dell’inizio dell’Armageddon (ossia l’undicesimo compleanno dell’Anticristo) – dei qui pro quo che li hanno portati a perdere traccia del vero figlio di Satana. L’intera faccenda è raccontata nello stile brillante della commedia inglese, con momenti talmente paradossali da sfiorare il grottesco, ma mai in modo fastidioso.
Good Omens sembra mischiare fantasy e realtà per prendersi gioco dell’uno e dell’altro, facendoci riflettere e ridere al tempo stesso.
Da residente a Londra ormai da anni non ho potuto non cogliere la genialità di certi riferimenti ironici alla società inglese e a determinate ambientazioni. La sede del paradiso collocata nello Sky Garden, in cima al Walkie Talkie, noto edificio della City. L’infernale caricatura del traffico londinese. La battuta del demone Hastur sul cerchio di fuoco che circonda Londra all’alba dell’Apocalisse: “Non si può scappare da Londra”. E chi ci vive lo sa bene. Per non parlare dei riferimenti alla società inglese: esempio perfetto di autoironia. Dallo stratagemma utilizzato da Crowley per garantire anime al Diavolo (bloccare l’accesso a Internet) alla descrizione della media borghesia dei paesi di campagna. Famiglie e signori di mezza età che vivono in una bolla di falsa educazione e attenzione superficiale. Ma con dei piccoli semi di speranza piantati nel suo terreno.
L’Anticristo, nel corpo dell’undicenne Alex Young, rappresenta assieme ai suoi giovani amici proprio quella manciata di semi.
Aziraphale e Crowley hanno speso undici anni nel tentativo di controbilanciare le tendenze di colui che credevano avrebbe provocato la fine del mondo. Per scoprire solo alla fine di aver dedicato il loro tempo al bambino sbagliato, lasciando che il vero Anticristo crescesse solo. Assimilando lati positivi e negativi della “normalità” in cui è fatalmente finito. E in quella semplicità si scopre risiedere la chiave per evitare la fine del mondo. Una risoluzione, quella che porta a ovviare lo scontro tra Inferno e Paradiso, che è metafora perfetta della potenza dei sentimenti umani più puri. L’innocenza di tre bambini che credono nella pace, in un mondo pulito e in un corpo sano, sconfigge metaforicamente tre dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Mentre l’innocenza di Alex, nato per distruggere il mondo, lo salva inconsapevolmente con la semplicità delle sue azioni. In che modo? Aziraphale lo descrive in modo incisivo.
“Avrei voluto che fossi il Paradiso incarnato anzichè l’Inferno. Ma tu incarni qualcosa di ancora meglio: l’umano.”
Ed è lì che risiede il fronte di Aziraphale e Crowley, quello che hanno deciso di difendere: la bellezza dell’imperfezione umana. Fatta di pregi e difetti. Di “selfie”, atti garantire anime a Satana (forse una delle migliori frecciatine alla società da parte della serie) e profumo di libri usati. Senza quell’umana imperfezione viene meno tutto ciò che di affascinante l’uomo è riuscito a creare. Tutto ciò per il quale vale la pena combattere. Librerie e buoni ristorantini, come piacciono ad Aziraphale, ma anche tanto altro. L’angelo e il demone lo hanno capito grazie al lungo tempo speso nel mondo tra gli umani. Dettaglio che invece sfugge ai loro superiori, troppo preoccupati a farsi una guerra che è scritto che accada. Non a caso quando Crowley suggerisce al suo migliore amico di “collaborare” parla di un loro fronte. Suo e di Aziraphale. Più importante di quelli che vedono Cielo e Inferno schierati su lati opposti. Nella loro difesa del mondo, ostacolata dalla volontà di guerra dei rispettivi superiori, risiede tutto il paradosso delle rivendicazioni di scontri divini delle religioni.
Good Omens si fa beffa del cosiddetto piano di Dio e di tutto quel blaterare religioso per abbracciare la bellezza dell’imprevisto. Per apprezzare ciò che di bello l’evoluzione del mondo ha da offrirci.
Neil Gaiman riesce ad adattare sapientemente ciò che ha scritto nel lontano 1990 ai tempi moderni rispettando l’inimitabile stile del compagno di penna. Assistiamo così per tutto il corso della serie a situazioni tanto comiche quanto capaci di indurci a riflessioni profonde. Nel modo di cui solo Terry Pratchett era capace. Con un finale che riesce tanto a sorprenderci quanto a regalarci un’ultima risata. Con un falso Crowley che sembra godersi l’acqua santa come fosse un idromassaggio e quella frase dei protagonisti che ci fa riflettere sul fascino della diversità.
“Se non ci fosse stato un po’ di maligno in te non mi saresti piaciuto così tanto.”
Crowley e Aziraphale non ci hanno insegnato semplicemente il valore dell’ alleanza con certi nemici. Ma ci hanno mostrato come apprezzare ciò che la “tribù” cui apparteniamo ci insegna a odiare a prescindere. A trovare un ponte che ci permetta di comunicare con tutti. A creare un fronte che sia quello giusto, non sulla base di ciò che ci viene inculcato, ma su quella della nostra esperienza diretta. E lo hanno fatto col sorriso che solo una combinazione vincente tra Sheen e Tennant – con il supporto di un sempre incredibile John Hamm – avrebbe saputo regalarci. Questo è Good Omens. Questo è quel piccolo capolavoro che aspetta solo di esser assaporato da chiunque non l’abbia ancora fatto.