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Il successo di Good Omens è il fallimento di American Gods

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Quando si parla di Neil Gaiman, si parla di certezza e qualità. Il mondo del cinema, così come quello della serialità, ha fatto numerosi adattamenti dai suoi romanzi (per citarne alcuni, l’inquietante Coraline, l’assurdo e divertente Stardust e perfino la serie tv Lucifer). Ma sono due i romanzi da cui sono state tratte due storie per certi versi simili ma con un successo così diverso: stiamo parlando di Good Omens e di American Gods.

Entrambi i romanzi sono diventati due serie tv distribuite da Amazon Prime Video e hanno avuto un destino molto diverso da quello che ci aspettavamo. Se la popolarità di American Gods è scesa a picco con la seconda stagione, Good Omens ha ricevuto il plauso di pubblico e critica.

Ma allora perché Good Omens ce l’ha fatta e American Gods no?

Good Omens sigla

Uno dei fattori chiave di questo successo è legato proprio alla durata delle due serie. Good Omens è stata pianificata fin dall’inizio come una miniserie di sei episodi ed è stata pubblicata tutta in una volta sulla piattaforma di Amazon Prime, senza che il pubblico si annoiasse nell’attesa dell’uscita del prossimo episodio. Cosa che non è successa per American Gods.

Il rilascio settimanale degli episodi ha allungato l’attesa degli spettatori, facendo perdere il filo di una trama già di per sè complessa. La sensazione che si ha proseguendo con American Gods è di girare in tondo a una storia che prosegue con fatica. Molto materiale è stato aggiunto nella serie nel tentativo di darle una completezza maggiore, come (SPOILER ALERT) nel caso della morte di Thor, del flashback sulla vita di Mad Sweeney e dell’estenuante viaggio di Laura Moon a New Orleans per cercare Baron Samedi.

Good Omens invece è rimasto fedele al romanzo originale Buona Apocalisse a tutti!, scritto a quattro mani da Neil Gaiman e Terry Pratchett. La nota positiva è che ogni episodio è rimasto concentrato sulla trama principale, pur aggiungendo qualche lieve divagazione.

Inoltre Neil Gaiman è stato lo showrunner di Good Omens.

Good Omens - Neil Gaiman

L’autore si è infatti occupato dell’adattamento, della scelta del cast e della scrittura di tutti e sei gli episodi. Insomma, la serie è stata controllata completamente da Neil Gaiman che ha evitato ogni sbavatura o imperfezione. L’obiettivo era quello di creare un piccolo omaggio all’amico e collega scomparso Terry Pratchett, a cui aveva promesso di realizzare una serie basata sul loro romanzo.

Se già alla base della sua creazione c’erano delle premesse simili (una bromance che si ritrova anche nel rapporto tra l’angelo Aziraphale e il demone Crowley), come non ci si può commuovere davanti alla popolarità di un successo simile?

American Gods invece ha avuto un po’ di problemi nella produzione.

American Gods

Nonostante la prima stagione fosse andata bene, la seconda ha faticato molto ad andare in porto, soprattutto dopo il licenziamento dei due showrunner originari, Bryan Fuller (produttore di Hannibal e creatore di Star Trek: Discovery) e Michael Green (sceneggiatore di alcuni episodi di Smalville, Heroes e di un paio di cinecomics).

Questo ha portato a interrompere la svolta incredibile che aveva preso la serie alla fine della prima stagione. Tutto si riduce a una serie di viaggi che vedono i protagonisti orbitare, per la maggior parte del tempo, intorno al Cairo. La ricorrenza dell’ambientazione delle pompe funebri di Mr. Ibis sarebbe dovuta a un calo del budget iniziale.

Non si può però negare che American Gods abbia una qualità eccelsa sia dal punto di vista del cast che dalla fotografia, sebbene in alcuni punti appesantisca la visione con i suoi filtri eccessivi.

La lotta tra i vecchi e i nuovi dèi e il concetto di fede danno molti spunti di riflessione, ma lo spettatore è troppo impegnato a capire cosa sta succedendo per poterli cogliere tutti. A niente servono i tentativi di attori talentuosi come Ian McShane (il nostro Mr. Wednesday/Odino), Gillian Anderson (la vecchia e compianta Media) o Crispin Glover (Mr. World) a portare avanti la trama. Nel suo complesso, American Gods risulta essere troppo dispersivo e pesante.

american gods

Ed è qui che Good Omens arriva a spodestare il “fratello”.

Una trama lineare nella sua semplicità. Un cast da paura che vede la sua realizzazione nell’accoppiata Michael Sheen/David Tennant. Un umorismo britannico surrale e divertente sulla scia di Douglas Adams. Riferimenti a non finire a Doctor Who (voi li avete trovati tutti?).

La serie avanza con ritmo e dinamismo, senza mai scadere nella pesantezza dei contenuti. Fin dall’inizio si presenta come una parodia sulla religiosità che non vuole prendersi troppo sul serio, pur con momenti che ci hanno fatto stringere il cuore. I personaggi non sono mai piatti o banali e ciascuno è stato scritto con delicatezza e precisione.

Perfino le aggiunte fatte da Neil Gaiman e basate su una serie di appunti di Terry Pratchett non stonano affatto. Come nel caso dell’Arcangelo Gabriele (interpretato da Jon Hamm).

L’unico elemento che si può criticare alla serie è forse la qualità degli effetti CGI presenti in alcuni punti della storia. Basta pensare alla comparsa del Kraken, all’alieno venuto a portare un messaggio di pace o a quella di Satana. Se comparati con gli effetti filmici di American Gods, risultano quasi di seconda mano, ma non stonano comunque con l’ambientazione generale della serie tv, nata per intrattenere e far divertire.

Anora una volta vince la semplicità rispetto alla complessità.

E paradossalmente vince una serie sull’umanità e sul suo libero arbitrio, rispetto a una serie che vede per protagonisti gli eterni scontri tra forze divine e soprannaturali. Chi spera in una seconda stagione di Good Omens, rimarrà deluso. Infatti Neil Gaiman ha deciso di smettere i panni dello showrunner, convinto non so possa fare di più. Mentre per tutti i fan di American Gods rimasti insoddisfatti, non temete: è in arrivo la terza stagione.

good omens

All’umanità“.

“All’umanità”.

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