Gotham poteva essere per gli appassionati e i frequentatori occasionali delle storie di Batman, ma anche per i neofiti, una pietra miliare, un prodotto innovativo e originale per arricchire le origini della mitologia di uno degli universi fumettistici più complessi e sfaccettati, famoso in tutto il mondo e dalle numerosissime trasposizioni. Qualcosa sembra però non aver funzionato, restituendoci un buon lavoro, ben curato e realizzato, ma che si porta dietro grandi rimpianti.
Gotham City non può essere considerata semplicemente la città dove Bruce Wayne agisce mascherato da uomo pipistrello e combatte il crimine, o lo scenario dove si svolgono le avventure di Batman, di Jim Gordon e dei loro nemici.
Gotham City è Batman, è ciò che ha reso Bruce Wayne il Batman che tutti conosciamo, è un vero e proprio contesto attivo.
In altre parole Gotham è un personaggio, una matrice di significati e una metafora di certe condizioni umane.
Alla luce di queste particolarità, tutti i personaggi dell’universo di Batman a cominciare dal protagonista possono essere definiti dei caratteri la cui psicologia si è formata alla luce di specifiche influenze ambientali e contestuali. Ovvero questi personaggi non sarebbero mai esistiti in nessun altro tempo e in nessun altro luogo. In virtù di queste considerazioni ho accolto l’idea alla base della serie ideata da Bruno Heller come potenzialmente geniale e ricca di possibilità.
L’intenzione di esplorare le storie di personaggi mitici e complessi come il Joker, Pinguino, L’enigmista secondo una prospettiva diversa ponendo la città stessa come protagonista della serie nasconde a mio avviso una conoscenza profonda dell’opera DC Comics, e al tempo stesso l’originalità di un progetto unico. Qualcosa però potrebbe essere andato storto nelle 5 stagioni di Gotham, tradendo in parte quelle premesse che a molti erano sembrate rosee (qui un po di curiosità sulla serie).
La nota forse più dolente è rappresentata, paradossalmente, proprio dalla caratterizzazione della città.
Gotham City non risulta essere quello che è nel titolo e nelle intenzioni dell’autore, cioè un contesto vivo e attivo, ma solo lo scenario in cui si svolgono gli eventi. Questo elemento di povertà si ravvisa nella pochissima attenzione riservata dalla regia agli spazi della città, ripresa solo in piani lunghissimi per segmenti di raccordo tra una scena e l’altra. Il montaggio iper-velocizzato concorre inoltre a rendere frenetica la visione e impedisce la focalizzazione sugli elementi dello scenario.
Il problema però è soprattutto concettuale: questo tipo di impostazione sconfessa la centralità della città come definizione della psicologia dei personaggi, rendendola una cornice vuota e priva di personalità, dove tutto accade seguendo pedissequamente uno script. Siamo insomma lontani anni luce dalla Gotham gotica e fumosa, dai toni dark, in cui la follia si scorgeva a ogni angolo di strada di burtoniana memoria o anche dalla più moderna ma ugualmente oscura e definente Gotham di Nolan.
Non sappiamo dove e quando siamo, si passa da ambienti in esterni dalla fotografia grigia con scenari dall’aspetto industriale, a colori vintage che sembrano usciti da un noir anni ’30. Una problematica del genere, presente per altro sin dalla prima stagione, impatta notevolmente sulla qualità della costruzione scenografica e sul tono della narrazione impedendo un’immersione e una focalizzazione profonde nella visione.
Inoltre, troviamo una caratterizzazione dei personaggi piuttosto piatta e altalenante.
L’universo di Batman può vantare a mio avviso i migliori cattivi nel mondo dei fumetti, eguagliati forse solo da quelli di Spider-Man, per cui il materiale su cui lavorare ci sarebbe stato tutto. Gotham invece dopo una prima stagione tutto sommato ben caratterizzata, mi riferisco soprattutto ai personaggi di Oswald Cobblepot e di Fish Mooney (creata apposta per la serie) inciampa nella monotonia di caratteri bidimensionali e poco interessanti come Bullock o Jerome, con recitazioni peraltro spesso molto sopra le righe e ridicolmente enfatizzate.
La mancanza del terreno solido di una città ben comunicata si fa sentire anche in questo aspetto. I personaggi, soprattutto i cattivi, sembrano seguire una linea precisa; non li sentiamo portatori di quel caos che è questo ambiente devastato dalla follia. In altre parole essi appaiono pazzi per definizione, destinati al male quale che sia il loro cammino. Assistiamo perciò alla descrizione degli antecedenti di Batman ma non possiamo dimenticare nemmeno per un secondo di essere lì ad aspettare che arrivi Batman, Gotham non ci fa interessare realmente alla mitologia che vive alle proprie spalle.
Un’ultima considerazione riguarda sicuramente la storia che ci viene raccontata.
Le prime due stagioni si caratterizzano per l’ottima sceneggiatura che risulta essere coerente e ben bilanciata, capace di catturare l’interesse dello spettatore per l’originalità della vicenda, basti pensare alle indagini sul mai troppo approfondito omicidio dei coniugi Wayne.
Tuttavia sin dal primo episodio si ravvisa la presenza sin troppo ingombrante e spudorata del fanservice, che non si configura come omaggio alla mitologia di appartenenza, ma come vero e proprio motore e giustificazione degli eventi, risultando davvero troppo forzato e incoerente, un modo piuttosto banale di dare ai fan qualcosa che vorrebbero, tagliando peraltro fuori chiunque non sia fan dell’uomo pipistrello. Dalla terza stagione in poi si assiste inoltre a un meccanismo di “riciclo” dei personaggi, che tornano dalla morte anche più volte sconfessando magari ciò che hanno fatto prima, alleandosi con questo o quel nemico più e più volte, in un crescendo di incoerenza narrativa.
Senza questi elementi Gotham sarebbe una buona serie action, un CSI ambientato nel mondo dei supereroi con una buona realizzazione tecnica e delle storie avvincenti, ma non dobbiamo dimenticare quello che la serie voleva essere e che purtroppo non è stata. In un’epoca in cui il supereroistico è il nuovo western, Gotham si è proposta come continuatore delle grandi opere mature su Batman, adottando con coraggio un nuovo punto di contatto con quell’universo e cercando di dare una visione originale, fallendo purtroppo proprio laddove si celava la sua più grande potenzialità. Nella resa di un mondo di follia e possibilità, e nell’espressione dell’origine di un mito.