Bentornati con la recensione dell’undicesima puntata della quindicesima stagione di Grey’s Anatomy. Un grande episodio è stato rovinato dalla presenza di Maggie Pierce.
Questa settimana Grey’s Anatomy si è davvero superata. Ormai erano secoli che non si vedeva un episodio così ben strutturato e così interessante. Un episodio pieno, che mi ha fatto rimanere con il fiato sospeso fino alla fine.
L’intera puntata gira attorno alla malattia. La malattia destabilizzante, distruttiva che degenera e fa piazza pulita di speranze attorno a sé. Che si tratti del tumore di Catherine, della lotta con la dipendenza di Richard e Amelia o della triste fine di Thatcher Grey, ogni personaggio si trova a fronteggiare il suo personale ostacolo.
Grande importanza ha il significato della sofferenza e della battaglia nell’episodio. Ogni malattia porta con sé della sofferenza. Sofferenza che inevitabilmente viene trasmessa alle persone care. E, in questo episodio di Grey’s Anatomy, protagonista è il dolore. Il dolore del paziente e quello della famiglia vengono sviscerati, analizzati ed espressi nella loro complessità . Assistiamo alla battaglia di ogni personaggio contro i propri demoni e i propri mali.
Basti pensare al momento bellissimo che ci regala Jackson Avery. Siamo abituati a vedere Jackson come un uomo sensibile, ma pur sempre forte e in grado di restare lucido in ogni situazione. Ma, in questo episodio di Grey’s Anatomy, vediamo la sua sicurezza frantumarsi. Emerge la sua vulnerabilità . Jackson così vulnerabile l’abbiamo visto solo in un’altra situazione: quand’era al capezzale di April Kepner nella 14×23, Cold as Ice. Nemmeno alla morte di suo figlio Samuel aveva potuto mostrare le sue debolezze, la sua totale sofferenza.
In quell’occasione l’unica cosa che potè fare fu reprimere il suo dolore e farsi forza per April. Non poteva lasciarsi trascinare dalle emozioni perché, seppure stesse morendo dentro, non avrebbe mai lasciato che la Kepner pensasse di non avere una spalla su cui piangere, un pilastro a cui aggrapparsi mentre processava il lutto. Che poi sia andata a cercare conforto altrove, quello è un dettaglio.
E finalmente rivediamo Jackson in tutta la sua fragilità . Lo vediamo gradualmente abbassare le difese, fino a sciogliersi in un pianto che mi ha fatto tanta tenerezza. Le sue parole per Catherine mi hanno commosso. Il pianto di un figlio che rischia di perdere la madre, l’unico genitore che ha mai conosciuto, è qualcosa di straziante. Un altro momento così emozionante, così vero, lo ha avuto solo mentre pregava, nonostante tutte le sue convinzioni, perché la sua persona, la sua migliore amica, la madre di sua figlia, restasse in vita.
Jesse Williams ha dato dimostrazione di essere un grande attore. E pensare che per stagioni intere l’hanno tenuto a fare da sfondo alle vicissitudini di personaggi assai meno interessanti e interpretati da attori meno capaci. Nel cast c’era una rock star e nessuno se n’era accorto. Grey’s Anatomy è anche questo.
La scena del crollo emotivo di Jackson nel corridoio sarebbe potuta essere perfetta. Una delle migliori, senza dubbio, degli ultimi anni. Tra le tante reazioni, la sua è una delle più veritiere, una di quelle in cui lo spettatore può facilmente immedesimarsi. Ma è stata rovinata dalla presenza di Maggie Pierce. Se al posto suo ci fosse stato Richard, avremmo toccato livelli di perfezione inspiegabili. Chi potrebbe capire meglio la sua sofferenza se non l’altro uomo che ama Catherine e tiene a lei almeno quanto Jackson? L’ho vista come un’occasione sprecata di conoscere meglio il rapporto tra i due e di regalargli un momento emozionante.
Per quanto riguarda Maggie Pierce. È stato l’unico elemento che stonava tra gli altri. Pensate a un’orchestra che sta eseguendo un numero. Tutti gli strumenti sono in perfetta armonia tra loro. Vi state godendo uno spettacolo meraviglioso. Poi, all’improvviso, se ne aggiunge uno nuovo che gracchia, infastidisce e rovina tutta la performance. Distrugge l’armonia che gli altri strumenti avevano creato. E così fa Maggie Pierce. Entra in galleria e comincia a parlare quando avrebbe dovuto solo tacere. Ogni qual volta apriva bocca, la shushavo pur sapendo che era solo un’immagine sul mio computer.
Quindi devo fare questa domanda all’universo: quand’è che ce la togli di mezzo? Quando deciderai che ne abbiamo avuto abbastanza di lei? Perché francamente più passa il tempo e più rimpiango Erika Hahn, Eliza Minnick, Preston Burke, Gary Clark, Penny qualunque fosse il suo cognome e Leah Murphy. Stop alla tortura, sceneggiatori di Grey’s Anatomy, STOP ALLA TORTURA.
Andando avanti con l’episodio, affrontiamo assieme a Meredith l’incontro con Thatcher, suo padre. Sapevamo già , grazie a Richard, che il signor Grey stava lottando con un tumore e che fosse in fin di vita. I rapporti tra Meredith e suo padre non sono mai stati dei migliori. Erano due sconosciuti praticamente. Eppure, la donna si fa coraggio e va a trovarlo. Ciò che ci si presenta davanti è esattamente quello che mi aspettavo.
Thatcher è consumato dalla malattia. È quasi irriconoscibile. L’uomo che non è mai stato presente nella vita di Meredith, quello che scappava ogni qual volta non avesse il coraggio di affrontare una situazione, si ritrova a fronteggiare la morte con coraggio. E a lottare fino alla fine. Mi piace pensare che abbia resistito perché sapeva, sperava che prima o poi sua figlia si sarebbe fatta viva. Sapere che aveva cercato di riallacciare i rapporti dopo la morte di Derek, mi ha intenerito. Purtroppo, però, Meredith l’ha saputo troppo tardi. E Thatcher è morto tra le sue braccia dopo la sua lunga battaglia con il cancro.
Qui si contrappongono due situazioni simili, ma con risultati diversi. Ed era proprio questo l’obiettivo degli sceneggiatori (qui tutti i dettagli). Contemporaneamente sia Catherine che Thatcher stavano lottando contro il cancro. Catherine sopravvive, pur condannata a convivere con il suo tumore, Thatcher muore. Entrambi hanno lottato, entrambi hanno cercato in tutti i modi di sconfiggere il male che li logorava. Ma non sempre il risultato è quello sperato. Penso che non ci sia niente di più realistico di questo.
Grey’s Anatomy, in un solo episodio, è riuscita a raccontarci anche della sofferenza, della difficoltà e della lotta di Amelia durante il suo percorso di riabilitazione. Ormai facciamo quasi difficoltà a ricordare un momento in cui la Shepherd non era sobria. E diamo per scontato che, dopo tutto il percorso che ha fatto, continui sulla stessa strada, senza mai vacillare, senza mai ripensarci. Ma se così fosse, non sarebbe umana. Sarebbe un robot con la forza di volontà di un monaco tibetano che ha fatto voto di silenzio.
E, in occasione dell’operazione che deve eseguire su Catherine, la Shepherd ci rende partecipi della sua lotta. Passo per passo, possiamo leggere la sua difficoltà , la sua paura. E, a fine episodio, di Grey’s Anatomy, ce lo conferma. Amelia fa un discorso che, per quanto fosse bello, ha cancellato dalla mia mente tutte le orribili puntate di questa tristissima e terrificante quindicesima stagione. È riuscita a farci immedesimare con il suo personaggio. Avrei potuto stare ad ascoltarla per altri quarantadue minuti e non mi sarei annoiata.
È questo che voglio da Grey’s Anatomy. Voglio che svisceri le emozioni di ogni personaggio, voglio che mi faccia mettere nei loro panni, che mi faccia capire cosa stanno passando. E questo è esattamente ciò che è successo in questo episodio. Voglio più puntate così. Questo ci dimostra che la serie può ancora dare tanto. Il potenziale c’è e dovrebbe essere sfruttato al meglio. Se solo si incanalassero tutte le energie per creare più storie così e per capire come liberarsi di Maggie Pierce, tutto andrebbe meglio. Prego perché gli sceneggiatori continuino a lavorare in questo modo.
Non credevo che avrei mai potuto dirlo, ma ben fatto Krista Vernoff. Ora devi solo eliminare Maggie Pierce e potrai essermi più simpatica. Anche se ti odierò per sempre per aver eliminato April Kepner. Tra l’altro, in quel corridoio con Jackson, durante il suo crollo emotivo, ci sarebbe dovuta essere April. Just saying.
Per questa settimana è tutto, alla prossima
Halleloo!