Signore e signori, è successo: la nuova stagione di Grey’s Anatomy ha preso il via. Per la precisione, la diciannovesima. Beh, non è la serie più longeva di sempre ma non si può dire che non abbia un bel po’ di vita alle spalle. Dal 27 marzo del 2005, giorno in cui è andato in onda su ABC negli Stati Uniti il suo primo episodio, ne è passata di acqua sotto i ponti sia nella finzione narrativa sia nella realtà che la serie, in un modo o nell’altro, si ritrova a raccontare. Eppure è sempre qui, con tutti i bassi che una serie in diciannove stagioni prima o poi deve necessariamente affrontare ma anche con tutti gli alti che continuano a renderla estremamente amata.
A me a questo punto tocca fare un’ammissione: come alcuni assidui lettori di Hall of Series forse già sanno, io ho smesso di vedere Grey’s Anatomy. Mi sono tirata indietro qualche stagione fa, quando ormai non riuscivo più a provare la gioia che mi aveva spinta a seguirla per quasi quindici anni. E allora forse vi state domandando come mai sia proprio io ad affermare che, pur essendo estremamente criticata, continua a funzionare. Lo affermo perché lo vedo, me ne accorgo, ne parlo con persone che restano incollate alla serie e, paradossalmente, le capisco. Perché se è vero che io ormai ne sono uscita, è altrettanto vero che appena ho avuto l’occasione di guardare due puntate di un paio di stagioni fa anche io non mi sono staccata dalla tv. E quindi, pur essendo io tra le prime critiche della punta di diamante di Shondaland, sono anche la prima ad affermare che a quasi vent’anni dal suo esordio su ABC, il pubblico ha ancora i suoi buoni motivi per premiarla.
Quando una serie tv dura per tanti anni si instaura tra lo spettatore e lo spettacolo un rapporto profondo.
Un rapporto che, quando la caratterizzazione dei personaggi è forte, vale anche per le miniserie, figuriamoci dunque per le serie che vanno avanti per diciannove stagioni. Abbiamo conosciuto Ellen Pompeo quando la sua Meredith Grey era appena uscita dalla facoltà di Medicina ed era pronta a fare il suo ingresso tra gli specializzandi del Seattle Grace Hospital. Abbiamo conosciuto Patrick Dempsey quando il suo Derek Shepherd era un giovane e brillante neurochirurgo separato. Ad oggi, 401 episodi dopo, Meredith è il capo di chirurgia dell’ospedale e Derek è – detesto dirlo ma devo farlo – morto. Ma insomma, il punto è che gli eventi che hanno vissuto sono innumerevoli e gli spettatori fedeli ne sono sempre stati parte, accompagnando i protagonisti nelle loro esistenze fittizie come amici di una vita. Abbandonarli dunque è tutt’altro che semplice.
Arrivati a questa fase della vita di una serie è estremamente difficile che ci siano nuovi spettatori che cominciano a guardarla. Sono successe davvero troppe cose perché si possa capire il vero senso degli eventi senza un background, e guardare diciotto stagioni di episodi non così brevi per recuperare è quasi un atto di masochismo. Ma gli spettatori delle origini, quelli che ne hanno viste di tutti i colori, sono fidelizzati all’ennesima potenza. Una volta superato il giro di boa delle cinque stagioni, poi quello delle dieci, addirittura quello delle quindici, a questo punto (a meno che non si sia persone ciniche come la sottoscritta) è davvero difficile dire addio a una serie che diventa parte della propria quotidianità. Guardare Grey’s Anatomy diventa allora per molti irrinunciabile, una comfort zone, un po’ come passare il tempo con gli amici di sempre. E proprio come succede con gli amici di sempre, continuare a stare insieme non significa non notare i difetti, ma passarci sopra perché ciò che si ama dell’altro è più grande.
Di difetti Grey’s Anatomy nel tempo ne ha manifestati un bel po’.
Trame forzate, personaggi sprecati, eventi che rasentano il ridicolo sono solo la ciliegina sulla torta delle problematiche che la serie ABC in diciotto stagioni piene ha manifestato. Gli spettatori si sono ritrovati a vivere in un mondo in cui tutte le catastrofi naturali e umane si concentrano su un ospedale di Seattle e sui suoi membri. Ellen Pompeo interpreta un personaggio che ci presentano come figlia unica nella prima stagione ma che conosce negli anni non una, non due, ma ben tre sorelle minori. Due delle quali brillanti nel campo della Medicina, ovviamente. Per non parlare poi del fatto che le persone che ama tendano a morire come mosche (e Patrick Dempsey ne sa qualcosa). Alcune relazioni sentimentali sembrano nate con il preciso intento di infastidire il pubblico e alcune morti lo hanno letteralmente dilaniato. Eppure la maggior parte degli spettatori è rimasta lì e continua ad amarla.
Tutto ciò non è il frutto della follia collettiva, ma di un amore sedimentato negli anni per un prodotto che continua a funzionare. Le trame, per quanto assurde, nascono e vengono portate avanti sulla base del cambiamento del tempo. Shonda Rhimes e gli sceneggiatori continuano a fare un lavoro di scrittura basato su ciò che è il mondo stesso a offrire. Questione ambientale, storie di vita della comunità LGBTQ+ e di minoranze etniche di ogni sorta, pandemia globale: è tutto dentro la serie ma è tutto anche fuori, in un connubio tra reale e fittizio che conferisce alla serie ABC la sua vera essenza.
E allora sono anni che gli spettatori di Grey’s Anatomy vedono la stessa serie ma contemporaneamente anche una serie sempre diversa. Alcune storie raccontate oggi sarebbero state impensabili nel 2005 e, viceversa, il modo in cui si sviluppano alcuni episodi delle prime stagioni oggi sarebbe fuori da ogni logica. Questo perché è tutto frutto dei cambiamenti storici, sociali, economici e politici del nostro mondo. E continuare a seguire la serie diventa anche un modo per enfatizzare o per esorcizzare all’occorrenza ciò che porta sullo schermo, un mondo che va avanti senza una trama scritta che a volte ci farebbe comodo. E quindi si conserva questa di trama, con tutte le brutture del caso. E la si continua a criticare per poi continuare a viverla, proprio come facciamo con la realtà. Sperando che magari prima o poi la nostra migliori, portando con sé anche quella di Shonda.