ATTENZIONE: SE NON SIETE IN PARI CON LA PROGRAMMAZIONE DI GREY’S ANATOMY E NON VOLETE SPOILER ABBANDONATE QUESTO PEZZO!
Finalmente, venerdì, è tornato Grey’s Anatomy!
Grey’s Anatomy è ormai sui nostri schermi da all’incirca dodici anni. È raro che una Serie Tv riesca ad essere così duratura.
Ciò che tiene ancora in vita questo drama dopo la bellezza di tredici stagioni è senza dubbio il modo in cui ti fa affezionare ad ogni singolo personaggio.
Ogni storia, ogni medico, ogni paziente, che ci piaccia o meno, riesce a farsi strada nel nostro cuore. Tutto ciò è possibile grazie alla mente brillante, geniale e a volte brutalmente crudele di Shonda Rhimes.
Infatti – per farvi un esempio – mi è accaduto durante la 13×10 di aver sentito un particolare feeling con un personaggio che prima di quell’episodio, detestavo: Jo Wilson.
Tutti coloro che hanno letto i miei precedenti articoli su questa serie (per esempio, leggete qui), avranno intuito quanto fossi prevenuta nei suoi confronti. Bene, oggi ho cominciato a provare empatia per lei.
Conosciamo tutti il suo passato travagliato: un’infanzia passata tra famiglie adottive a cui non importava nulla di lei; un periodo vissuto in un’auto rubata; un ex marito violento e tante scelte di vita sbagliate e nonostante questo non riuscivo proprio a farmela piacere, non riuscivo a sentire un minimo di tristezza quando le accadeva qualcosa di brutto.
Ma in questo episodio, mentre la vediamo frantumarsi, è stato impossibile non sentire il mio povero cuore frantumarsi assieme a lei, proprio come i cracker che portavamo a scuola per merenda e che puntualmente diventavano mangime per gli uccelli.
Fin dal primo istante in carcere, dati i suoi trascorsi, avevo previsto che avrebbe instaurato un rapporto diverso con la paziente, rispetto a quello delle altre due dottoresse, e così è stato.
Nonostante il fatto che il suo passato e quello della detenuta fossero diversi, è riuscita ad instaurare un legame, facendole mettere da parte tutto quell’astio e riuscendo a farla aprire e a parlare di sé e della creatura che portava in grembo.
Mi sono emozionata esattamente come ha fatto lei mentre la sedicenne parlava alla sua bambina dicendole di non diventare come lei, dicendole di comportasi bene e di ascoltare la nonna. Ho ripensato al fatto che Jo non avesse mai conosciuto nulla di vagamente simile ad una famiglia che le volesse bene e mi si è stretto il cuore.
Nel momento in cui Miranda le dice che aveva ragione e che a volte le cose succedono alle persone senza che loro possano fare nulla, la informa della scelta di Alex di andare a patteggiare, e mi si è spezzato il cuore.
Mi sono sentita davvero triste e dispiaciuta per lei, perché se Karev è finito in prigione come Bailey ci ha detto, adesso è davvero sola. Sì, c’è la Edwards, ma lei è troppo presa da sé stessa e dunque Jo non ha più nessuno. Alex era la sua famiglia e ha perso anche lui.
Così facendo, Shonda ha manipolato ancora una volta il mio cervello, facendomi piacere un personaggio che – prima di questo momento – non mi aveva mai convinto, né tanto meno impietosito o scalfito.
Ma Grey’s Anatomy è un portento anche grazie a quei personaggi che io oserei definire “colonne portanti” dello show, ovvero Miranda e Richard, che sono con noi sin dalla prima stagione e che non ci hanno mai abbandonato, guidandoci esattamente come hanno fatto con gli specializzandi.
E approfittando dello stesso episodio a cui ho accennato prima, vorrei fare un’osservazione proprio sul personaggio della Bailey.
Ho sempre provato stima nei suoi confronti. Lei sa quello che vuole e se lo prende. Certo l’abbiamo vista vacillare negli anni e passare dei brutti momenti, ma sarebbe strano se non ne avesse avuti.
L’ammiro un sacco perché credo sia uno dei personaggi in cui è più facile immedesimarsi.
In questo episodio di Grey’s Anatomy, infatti, Miranda è piena di pregiudizi nei confronti delle carcerate. La vediamo mentre stringe gelosamente a sé il pass che le garantirà l’uscita dalla prigione per paura che le venga rubato o per paura di perderlo e dunque restare per sempre intrappolata lì.
Chi di noi non avrebbe stretto a sé quel pezzettino di plastica, custodendolo come fosse l’oggetto più prezioso della nostra vita?!
Ho apprezzato davvero il cambiamento che ha avuto nel corso dell’episodio. Da impaurita, intollerante e prevenuta nei confronti dello scenario circostante, diventa sicura, tollerante e si ricrede su molti aspetti.
Miranda è un personaggio con i piedi per terra, si rende conto di quanto sia difficile lavorare in un posto come quello e si rende conto di quanto possa essere faticoso avere a che fare con determinate pazienti. Si mette nei panni della detenuta che l’aveva spaventata e cerca di darle forza quando, mentre partorisce e sua madre si rifiuta di vederla, ha bisogno di qualcuno che non la faccia sentire sola.
Ho adorato come abbia messo da parte tutti quegli stupidi pregiudizi e sia corsa al fianco della ragazza bisognosa non solo di una mano da stringere, ma bisognosa di qualcuno che le infondesse coraggio e le desse una speranza.
Perché diciamoci la verità, la prima cosa che tendiamo a fare quando ci troviamo in una situazione nuova, diversa, fuori dalla nostra zona di comfort è essere prevenuti fino a che non impariamo a mettere da parte i nostri pregiudizi.
È quasi possibile definire questo fenomeno con l’espressione: istinto di sopravvivenza.
Shonda non ci delude mai. Sa cosa fare per raggiungere i nostri cuori, sa – come un’abile burattinaia – muovere e smuovere i nostri animi, facendoci sempre sentire, in un modo o nell’altro, protagonisti di ogni storia. Una delle storie più belle è, appunto, Grey’s Anatomy.
I suoi lavori non hanno mai temi banali: l’episodio appena andato in onda ha come tema la tolleranza, la solitudine, la redenzione, la paura e soprattutto la crescita personale.
È un episodio che come sempre ti fa riflettere, non solo per il monologo di apertura e quello di chiusura che negli anni ci hanno regalato aforismi da sfoggiare su social network e da scrivere sulle cartoline di auguri.
No, ci fa riflettere perché ci fa capire quanto imprevedibile possa essere la vita. Come in un secondo si possa passare dal “vivere in una camera enorme con un televisore grande”, ad una gabbia che ti imprigiona non lasciandoti nemmeno l’opportunità di guardare fuori dalla finestra, perché non c’è nessuna finestra in quella gabbia che è la prigione.
Nessuno avrebbe mai il coraggio di abbandonare tutti quei personaggi che ci hanno accompagnati negli anni, tutti coloro che ci hanno fatto compagnia con i loro problemi e le situazioni a volte incredibilmente esagerate in cui si trovavano.