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Ho smesso di vedere Grey’s Anatomy

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Quando è andata in onda la prima puntata di Grey’s Anatomy era il 2005 e io avevo dieci anni. Sinceramente non ho idea di quando abbia cominciato a vederla – probabilmente ho recuperato le prime stagioni qualche anno più tardi, anche se non ci metterei la mano sul fuoco – ma quello di cui sono sicura è che guardare Grey’s Anatomy a casa mia è stato per molto tempo un appuntamento familiare. Una volta a settimana, mi pare fosse di lunedì, ci si sedeva tutti insieme sul divano, si sintonizzava la tv su Fox Life e per un’oretta non esisteva altro che il Seattle Grace Hospital (poi Seattle Grace Mercy West Hospital, poi ancora Grey Sloan Memorial Hospital e chissà quanti nomi potrà ancora cambiare). Insomma, quello che per decenni le famiglie italiane hanno fatto con il Festival di Sanremo, a casa mia si faceva con Grey’s Anatomy. Ma mi tocca parlare al passato perché, per quanto a volte mi vergogni ad ammetterlo, ho smesso di vederlo. E oggi vi spiego il perché.

Voglio partire da un presupposto: quella di smettere di guardare una serie tv non è una scelta che si prende a cuor leggero.

Una serie è a tutti gli effetti un mondo di cui gli spettatori entrano a far parte e se si sceglie di uscirne, soprattutto dopo parecchie stagioni, devono esserci dei buoni motivi. Quando si decide di lasciare il proprio partner dopo anni di relazione non lo si fa semplicemente perché così ci va di fare: ci sono delle cause, qualcosa che mina la relazione al punto tale che portarla avanti non ha più senso. La mia relazione con Grey’s Anatomy è durata tredici stagioni, centinaia di episodi durante i quali l’ho amata alla follia ma ho anche cominciato a odiarla. Abbiamo avuto un piccolo riavvicinamento durante la stagione quindici, ma ormai il nostro rapporto era rotto e non avevo intenzioni serie di recuperarlo. Per parecchie stagioni tutto è andato bene, ma intorno alla otto o nove ho sentito che c’era qualcosa che non andava fra noi, ho cominciato a non fidarmi più, a sentirmi presa in giro. Fino al tragico momento dell’addio.

Ma andiamo con ordine. Quando Grey’s Anatomy ha fatto il suo debutto aveva tutti i presupposti per essere una serie di successo. Grazie a E.R. si era già capito che i medical drama hanno un gran potenziale e la possibilità di far nascere un altro cult era servita su un piatto d’argento. Cinque specializzandi in chirurgia – Meredith, Izzie, Cristina, Alex e George – varcano le soglie dell’ospedale che sarà praticamente la loro casa per gli anni a venire. Sono giovani, belli, motivati, molto diversi fra loro e soprattutto tutti single. Certo, sappiamo che la situazione sentimentale dei medici non è di interesse nella vita vera, ma in quella che si svolge all’interno dei medical drama tende ad acquisire molta più importanza dei malati stessi. Insomma, i nostri cinque protagonisti sono pronti per imparare le tecniche più all’avanguardia della chirurgia, ma anche per innamorarsi e creare un bel po’ di scompigli all’interno dell’ospedale. Non bisogna arrivare all’episodio due per capire su quale coppia sarà incentrata la trama della serie (qualcuno ha detto dottor Stranamore?) ma devo dire che tutti i protagonisti danno del proprio meglio e si impegnano duramente per avere una vita sentimentale e sessuale piuttosto attiva.

Va tutto bene, è esattamente quello che chiediamo a un medical drama, e Grey’s Anatomy sembra trovare nel corso delle prime stagioni la ricetta perfetta per continuare ad avere successo. Personaggi variegati in modo tale che ogni spettatore possa trovare quello in cui immedesimarsi, intrecci amorosi, un pizzico di tragedie familiari che non fa mai male, il tutto su un letto di problematiche di salute più o meno gravi. Grey’s Anatomy piace, continua a macinare episodi e ad attirare spettatori. Nuovi personaggi entrano in scena, altri ne escono (Izzie e George, rimarrete sempre i miei preferiti), la complessità cresce e si cominciano a tirare fuori tematiche importanti come l’elaborazione del lutto, l’aborto, l’accettazione della malattia, la scoperta di se stessi e della propria sessualità, la necessità di chiedere aiuto psicologico quando si è in difficoltà. Per almeno sei o sette stagioni Grey’s Anatomy riesce a tirare avanti senza sembrare eccessivamente forzata, pur avendo già cominciato a manifestare i primi segni di quello che diventerà per me un problema insormontabile: la tendenza alla tragedia.

È ovvio, far andare avanti una serie tanto a lungo significa dover avere sempre nuove idee per mantenere lo spettatore incollato allo schermo.

Più si va avanti, più è difficile creare dinamiche nuove, eventi che non siano già visti e rivisti e che allo stesso tempo riescano a far uscire la serie dagli impasse nei quali è fisiologico che ogni tanto cada. Se all’inizio la maggior parte dei colpi di scena sono legati alla sfera sentimentale dei protagonisti, nel tempo Shonda Rhimes deve essersi resa conto del fatto che far stare Meredith con Derek, poi farla andare a letto con George, poi farla stare con Finn e di nuovo con Derek non bastava più. E allora ha cominciato a far abbattere su Seattle e nello specifico sul nostro amato ospedale tutte le ire divine. Si comincia abbastanza presto, nella seconda stagione, con una bomba che mette a rischio il Seattle Grace a causa di un uomo che si spara con un bazooka. La trovata è interessante, per due puntate ci si chiede in continuazione se e quando l’ordigno esploderà (e sì, esplode) e l’effetto fiato sospeso è garantito. Geniale, direte voi. E l’ho detto anche io. Peccato che a partire da questo momento le tragedie che si abbattono sui medici saranno sempre di più, e sempre più assurde.

“Solo” nell’arco delle stagioni che ho visto si sono susseguiti, in ordine sparso, la suddetta bomba, un ferry boat incidentato, una sparatoria all’interno dell’ospedale, un incidente d’auto che mette a rischio la vita della dottoressa Torres e della sua bambina, una voragine che si apre in strada, un incidente aereo che decima i personaggi, un nubifragio e sono abbastanza sicura di aver dimenticato qualcosa. Tutto ciò senza contare due delle tre morti che ci hanno davvero spezzato il cuore nella serie: George che viene investito da un autobus e Derek che fa un incidente che ha davvero dell’incredibile. La terza morte strappalacrime, quella di Denny, è più che normale considerando che ha un problema al cuore in un medical drama, anche se non per questo ci ha fatto soffrire meno. Ecco, più si va avanti nelle stagioni, più le tragedie si accumulano e ho cominciato a chiedermi sempre più spesso quale peccato avesse commesso il sindaco di Seattle per meritare che la sua città fosse così sfigata. Seattle sembra la bocca dell’inferno più di quanto non lo sia Sunnydale in Buffy, ed è tutto dire.

Come forse si è già capito, la tendenza tragica è il primo dei due motivi – o forse due motivi e mezzo – che mi hanno portato verso la non semplice scelta di mettere Grey’s Anatomy nel mio personale dimenticatoio. Ma non è l’unico. Il secondo punto, strettamente connesso all’altro mezzo, è che non solo le relazioni hanno preso il sopravvento – il che ci sta, lo abbiamo detto – ma hanno cominciato a intrecciarsi in modo inquietante. Un esempio su tutti: dopo essere stata con George, Erica e Arizona, e dopo un periodo abbastanza lungo di sesso sfrenato con Mark, Callie si fidanza nientepopodimeno che con la dottoressa “responsabile” della morte di Derek. Ci sono così tanti medici in giro per gli Stati Uniti e Callie doveva beccare proprio colei che, in un ospedale sperduto e quantomeno disfunzionale, ha assistito senza fare chissà che alla morte del protagonista maschile della serie. Probabilità che una cosa del genere accada nella vita reale: 0,01%.

Insomma, Grey’s Anatomy passa dal basare buona parte del racconto sulle scelte sentimentali dei personaggi ad avere degli intrecci che Beautiful scansati proprio. Ed è proprio a proposito di intrecci che entra in gioco l’altro mezzo punto di cui parlavo. L’ospedale diventa una grande famiglia, ma proprio nel vero senso della parola dato che si scoprono connessioni che hanno dell’assurdo. Meredith, la vera protagonista della serie, comincia la prima stagione come figlia unica e si ritrova alla stagione diciotto con tre sorellastre, di cui una morta. Ovviamente, due su tre hanno scelto di intraprendere la carriera in chirurgia. E se la scoperta dell’esistenza di Lexie è un colpo di scena di cui si può ancora comprendere il senso, l’arrivo di Maggie ai miei occhi non ne ha nemmeno un po’. E poi guarda caso lavorano tutte lì, in quell’ospedale che diventa praticamente Carràmba! che sorpresa. Ma la fiera delle assurdità non è ancora finita. Torna infatti da quella che si pensava fosse l’oltretomba la sorella di Owen e, dulcis in fundo, arriva il momento in cui si scopre che un altro dei personaggi che acquisiscono sempre più importanza nella serie, Jo Wilson, non si chiama in realtà Jo Wilson. E per fortuna questa parte della serie me la sono persa.

Amelia Maggie Meredith Grey's Anatomy

Mi sembra davvero tutto troppo per una serie che non ha un’ambientazione fantasy e che non vuole essere una soap opera. Capisco che mettere un punto a Grey’s Anatomy, che nonostante tutto continua ad andare bene e a fruttare fior di quattrini a Shonda Rhymes, non è facile come sembra. Ma potete anche capire me, che a un certo punto mi sono ritrovata a cercare del realismo in una serie che sotto sotto vorrebbe continuare ad averne – e la scelta di inserire la pandemia nella trama lo dimostra – ma che lo affossa episodio dopo episodio. Mi sono sentita presa in giro. E quindi, andando contro quella parte di me che è comunque ancora curiosa di capire cosa succede fra le mura del Grey Sloan Memorial Hospital, ho detto basta e ho cambiato canale. Confesso che ogni tanto continuo a leggere le trame degli episodi, perché una volta entrata in un loop del genere non è facile uscirne del tutto. E capisco benissimo chi continua a guardarla, per passione o semplicemente per abitudine. Però per quanto mi riguarda una cosa è certa: Grey’s Anatomy non doveva arrivare alle stagione diciotto. Forse neanche alle quindici. E io ho capito che alle serie che hanno più di dieci stagioni è meglio non avvicinarmi.

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