Un paio di mesi fa uscì su Netflix una Serie Tv che attirò la mia curiosità, e come me immagino quella di molti altri. Principalmente per due motivi: la trama e la presenza di Naomi Watts come protagonista. La Serie in questione si chiamava Gypsy ed è stata la mia grande delusione estiva.
Evidentemente del mio stesso parere devono essere stati i grandi capi di casa Netflix dato che la Serie Tv è stata cancellata dopo una sola stagione. Un peccato a ben vedere perché le premesse c’erano ed il cast pure. Ma andiamo per gradi.
Gypsy racconta la storia di una terapista, Jean Holloway, che travalica il confine medico-paziente intrecciando pericolose relazioni con le persone che fanno parte della vita dei suoi pazienti. Tutto questo dà il via a una serie di bugie e inganni che minano non solo la vita della donna ma dei miglioramenti dei suoi stessi pazienti.
Gypsy, creata da Lisa Rubin e diretta per i primi due episodi da Sam Taylor-Johnson, non riesce a trovare un’evoluzione concreta finendo per chiudersi in se stessa e soffocare con le proprie idee. Le premesse per un buon drama, come ho detto, c’erano tutte e per i primi episodi l’attenzione rimane abbastanza alta, curiosa di sapere fino a che punto si spingerà Jean. Appare ben presto chiaro, però, che Jean è un personaggio tutt’altro che complesso e affascinante ma invece fondamentalmente egoista e infantile. La donna vuole tutto e subito credendo di poter vivere una doppia vita, quella della madre e moglie felice e appagata e quella della ventenne che fu, ribelle e spericolata.
Teme che il marito la tradisca, l’ha odiato quando per breve tempo pensava a un’altra donna ma dal canto suo non prova alcun senso di colpa per le proprie azioni. Azioni che si ripercuotono sulla figlia e sul marito, interpretato da un bravissimo Billy Crudup che appassisce miseramente all’interno di questo progetto.
Il personaggio di Jean è un personaggio con cui non si riesce ad entrare in empatia, con il quale non si stabilisce un legame. Inevitabile quindi che tutto lo show non possa avere successo. Le azioni e le parole della protagonista non hanno significato, si succedono una dietro l’altra in maniera surreale perdendo persino quel minimo brivido che ci si aspetterebbe in una storia di tradimenti. L’aspetto omosessuale lascia il tempo che trova, lo spettatore non viene scalfito da ciò che vede ma guarda annoiato puntata dopo puntata in cerca di una svolta che non avviene.
Naomi Watts si muove incerta nei panni di una terapista che per dieci episodi non ha una forma definita, quasi non la capisse neppure lei. La durata di ogni singolo episodio di Gypsy non aiuta e calca sulla lentezza della storia che si trascina fino ad un punto in cui non è più ben chiaro cosa stia succedendo. Le bugie di Jean si trasformano in paranoia e addirittura in un accenno di disturbo della personalità che, pare di capire, faccia da sempre parte della vita della protagonista.
Il problema di Gypsy è che ciò che vediamo sullo schermo sembra essere completamente scollegato.
La relazione clandestina che pian piano Jean inizia con la provocante Sydney, ex di un suo paziente, comincia dal nulla con niente che giustifichi logicamente la scelta di Jean. Lo stesso palpabile anche se mai dichiarato disturbo della protagonista rimane una sensazione o meglio un dubbio dello spettatore che unisce pian piano i pezzi. Tutta la storia così non assume concretezza, rimane sospesa come se, a parte quello che noi vediamo nei dieci episodi, non ci sia stato un prima, non uno vero almeno.