Dal 2017, un intrigante thriller-psicologico, composto da una sola stagione, se ne sta indisturbato su Netflix. Stiamo parlando di Gypsy, serie tv statunitense ideata da Lisa Rubin. La protagonista è la bellissima e sensuale Naomi Watts, che tra non molto vedremo sui nostri schermi anche nell’attesissimo prequel di Game of Thrones, Bloodmoon (su cui la Watts ha espresso un giudizio davvero interessante). Nei panni della psicoterapeuta Jean Holloway, Naomi conduce una vita apparentemente perfetta. Un marito amorevole, un ottimo lavoro, una splendida figlia. Ma le cose non sono mai rose e fiori come sembrano.
«C’è qualcosa di più forte del libero arbitrio: i desideri.»
Già dal trailer, diffuso da Netflix prima della sua uscita, Gypsy rivela tutta la sua carica emotiva e personale, concentrata sulla psicologia non solo dei pazienti di Jean, ma anche e soprattutto sulla sua. Il percorso che il suo personaggio compie è in qualche modo inverso rispetto a quello che cerca di far portare avanti a Sam (Karl Glusman). Lui tenta di recuperare il controllo di sé, mentre lei perde la capacità di non farsi coinvolgere emotivamente nei casi che esamina. E finisce per estraniarsi così tanto dalla monotonia della vita che conduce, da crearsene un’altra.
Una vita da Gypsy, mai ferma, continuamente in lotta con sé stessa.
Due realtà opposte, quelle che Jean crea: Diane è l’altra parte di lei. Una giornalista single che nasconde dei segreti, ma pronta a rischiare tutto per essere accettata da Sydney (Sophie Cookson), una cantante sexy e dark, che non è altro che l’amore tossico da cui Sam sta cercando di allontanare i suoi pensieri. Jean e Diane si somigliano solo esteriormente, figlie dello stesso animo nero di una donna a cui non bastava tenere sotto controllo la sua vita, ha dovuto crearne una seconda per sentirsi appagata.
Una serie tv introspettiva, in cui la trasgressione regna sovrana, i desideri e le pulsioni vengono assecondati senza pensare alle conseguenze. L’istinto spinge Jean lontana da suo marito e da una figlia con problemi di identità sessuale, e la trascina verso ciò che, forse, ha sempre tenuto nascosto, verso la libertà che ha sempre sognato. Michael cerca in tutti i modi di parlarle, si accorge della sua distanza e percepisce l’odore delle bugie perché nemmeno lui è stato sincero fino in fondo.
Non esistono più confini tra la vita dei pazienti di Jean e la sua.
Le barriere imposte dalla terapie vengono rotte e la Holloway rischia di mandare all’aria una carriera costruita con anni e anni di lavoro. Ma è il rischio che cerca, quello che la stuzzica. Il brivido del pericolo, la soddisfazione che gonfia il suo ego a dismisura quando riesce per l’ennesima volta a farla franca. È questo il modo che Jean ha di vendicarsi di una società che le va stretta, che le impone delle categorie da rispettare, un destino già scritto da seguire. Prigioniera di un’etichetta, il personaggio di Diane è la scappatoia di una donna manipolatrice e ingannevole.
Persino Sydney diventa solo un mezzo per mantenere il controllo e dimostrare di essere superiore, di potersi prendere gioco di chiunque. Per poco non ci riesce, ma le bugie hanno le gambe corte.
In solo 10 episodi di circa un’ora, si procede lentamente verso una fine che lascia in sospeso, così come le decisioni di Jean fanno per tutte le puntate. Una conclusione così sembrava presupporre una seconda stagione che, purtroppo, non c’è mai stata a causa della decisione di Netflix di cancellare Gypsy. Un vero peccato, perché le conseguenze delle azioni di un personaggio come quello interpretato dalla Watts avrebbero offerto un’ottima materia per un seguito soddisfacente.