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Gypsy – Le incredibili e folli vite degli altri. Un’occasione sprecata

Gypsy
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La stesura di questo pezzo è figlia di una continua procrastinazione. Rimandare è un’arte a cui siamo avvezzi in tanti, ma con Gypsy viene quasi naturale. Perchè? Perchè non è mai troppo bello parlare delle occasioni sprecate. E Gypsy è assolutamente un’occasione sprecata.

Non ne ho scritto subito, una volta finita la visione, e avevo più o meno abbandonato l’idea di farlo. Ho cambiato opinione quando mi sono resa empiricamente conto che ci sono davvero poche occasioni tanto sprecate. Occasioni seriali, s’intende.

Gypsy

Gypsy aveva, in teoria, tutte le carte per entrare nell’Olimpo delle serie tv. Gli ingredienti c’erano tutti: Naomi Watts nel ruolo della protagonista, una trama semplice – volendo proprio vedere – trita e ritrita, ma comunque di presa praticamente sicura. Una psichiatra, all’apparenza talentuosa e dalla vita equilibrata e quieta, crea dei legami pericolosi e patologici con i pazienti, le cui vite sono meno serene, ma anche decisamente più avventurose della sua.

Per quanto l’originalità non sia la caratteristica principale di questa storia, essa costituisce quanto meno un espediente narrativo interessante. Così come ci viene presentata, pare che Gypsy sia un viaggio d’esplorazione nelle più recondite e ombrose lande della psiche umana. Un’indagine in quel che è l’uomo al di là della sottile linea di demarcazione che separa i pensieri dalle ossessioni. Ma non è così. Gypsy rimane in superficie, galleggia appena nel mare immenso della mente, delle relazioni. I personaggi finiscono per essere macchiette bidimensionali: un insieme di clichè ormai non più seducenti.

Non c’è ritmo in una sceneggiatura che si presterebbe ad averne uno più che incalzante, i personaggi sono loffi e scontati, l’erotismo sa sempre di costruito, Jean Holloway  – il personaggio interpretato dalla Watts – è al limite del credibile. In più di un momento la nostra sospensione dell’incredulità viene messa a dura prova.

Sembra una lotta tra Es e Super-Io, tra il perbenismo di una vita all’apparenza perfetta e il brivido di altre vissute sul filo del rasoio, ma la serie tv Netflix di Lisa Rubin finisce con il banalizzare queste dicotomie fino a renderle, talvolta, insopportabili. Persino l’occasione di scendere più in profondità nelle vite degli altri, di raccontarne le sfumature, di apprenderne i colori viene persa.

E insopportabile diventa anche il gioco omoerotico tra Jean e Sydney (interpretata dalla bellissima Sophie Cookson). Con due attrici così belle e sensuali era difficile mancare il bersaglio, eppure, anche questa parte della trama è stata un fallimento.

Insomma, il grande errore di Gypsy è stato ingabbiarsi in se stessa dopo aver messo così tanta carne al fuoco. Forse la strada che la Rubin ha pensato di percorrere non era facile: restare originali non è un compito semplice con del materiale di partenza simile. Ma avremmo certamente perdonato la scontatezza per un’analisi più profonda dei personaggi o per un ritmo degno dello Psycho Thriller che Gypsy si proponeva di essere.

Questa serie rimarrà sempre un boccone amaro: non c’è nulla di peggio delle (ottime) occasioni sprecate.

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