Cosa succede quando moriamo, Riley?
Non lo so e non mi fido di nessuno che dice di saperlo
Ieri notte io e Riley ci siamo fatti delle domande alle quali ognuno ha dato risposte diverse. E stamattina, con la mia tazza di tè in mano, penso alla morte. Durante la nostra conversazione Riley ha dato una risposta così scientifica, così conciliante eppure c’era qualcosa che non mi ha detto, qualcosa che ha tenuto silente. Forse in lui c’era tristezza quasi rassegnazione alla vita, così come alla morte. E non so per quale motivo sento il bisogno di scrivere considerando che il dolore della vita mi tocca di prima mattina, ma sento un istinto dentro di me che mi spinge a scavare. E alle prime luci dell’alba farò questo, scaverò con le unghie i concetti nascosti nel buio dell’omertà.
Questa sensazione pressante mi ha lasciato un amaro in bocca che neanche il tè può addolcire, ma voglio continuare a scrivere memore delle cose che ci siamo detti io e lui stanotte. Non posso parlare per Riley perché le sue ragioni sono nascoste nei suoi stessi pensieri, ma posso parlare per me, Erin, ne sento il disperato bisogno. Stanotte la mia risposta sulla morte era per lei, la piccola creatura che ha regnato nel mio mondo interiore, seppur per poche lune. Il suo dono più grande è stato scegliere il mio ventre fra tutti gli altri. Ma qualcosa mi dice che la mia risposta era incompleta, era una risposta che creava una domanda:
ha senso parlare dell’io davanti alla morte?
Me lo chiedo di continuo dopo ieri sera perché quando ho detto “Cos’è la morte per te” la mia voce interiore ha capito che nella domanda c’era qualcosa di sbagliato. Per te o per me non hanno senso, anche se so che nascono dalla paura. La paura di perdere sé stessi nel mondo che ho definito una roccia blu triste e grossa. Ma questa paura di annullarci davanti al tutto non deve impedirci di parlare di un noi. E’ questa la risposta che ho dimenticato di dare, il me o te non esiste se non in funzione alla grammatica, ma il mondo (e l’universo intero) vive nel noi. Se diventiamo consapevoli di questo principio non avremo più il terrore della morte e potremo pregare il Dio giusto.
Arriviamo dunque al grande dilemma partendo dalla premessa che la domanda che io e Riley ci siamo fatti fosse errata. “Cos’è per te la morte” non è la frase giusta, ma dovrebbe essere “Cos’è la morte“. Il soggetto è la morte stessa e non esistono legami personali con essa, come non esiste una morte per Erin o per Riley, c’è solo la fine in senso universale.
Allora chiedimelo di nuovo Riley, chiedimi “Erin, cos’è la morte“? E ti risponderò che la morte è tutto, così come la vita è tutto. E morte e vita sono uguali, sono l’estensione delle nostre galassie. Noi, io e tu sono solo il loro riflesso. La mia morte sarà anche la vita del mondo perché le mie particelle si uniranno alla terra e alle galassie ed io sarò tu e, infine, sarò… noi.