Cara Penny e caro Luke,
eccomi qui, di nuovo, a parlare con voi per dirvi qualcosa che per me è davvero importante che voi sappiate. Stavolta, però, ho optato per scrivervi una lettera: l’ultima volta che vi ho chiesto di mettervi di fronte a me e di ascoltare una mia storia la cosa è andata un po’ per le lunghe, e ho immaginato che non fosse il caso per voi di ripetere l’esperienza. Probabilmente sareste scappati a gambe levate, e per quanto mi dispiaccia ammetterlo avreste avuto anche ragione. Ma lo sapete, sono un po’ prolisso, e forse quindi è meglio che vada al sodo.
Qualche anno fa vi ho raccontato la storia di come ho conosciuto vostra madre.
Sia chiaro, non pensavo che il mio racconto sarebbe durato così a lungo. La mia comunque non è stata una decisione presa a cuor leggero. Parlare di una persona che non c’è più ma che è stata ed è tuttora così importante nelle vite di tutti noi è un’arma a doppio taglio: significa rivivere con la mente i momenti più belli della mia vita, ma anche ricordare costantemente che questi momenti non torneranno indietro. Quando ho iniziato a raccontare non avevo idea di come prenderla, di quali argomenti toccare, di quale sarebbe stato il momento giusto da cui cominciare. Per essere sicuro di non tralasciare nulla, di non dimenticare nessun dettaglio, sono partito diversi anni prima del momento in cui ho effettivamente incontrato la donna più importante della mia vita, e prendendomi il rischio di annoiarvi vi ho raccontato molto più di quanto avevo preventivato, soprattutto in quanto alle donne che ho incontrato.
Zia Robin, Victoria, Stella, Zoey, Karen e persino Jeanette hanno avuto un ruolo importante nella mia storia e, forse vi sembrerà assurdo ma è così, probabilmente non avrei mai incontrato vostra madre se non ci fosse stata ognuna di loro. Oppure forse l’avrei incontrata comunque, ma non l’avrei riconosciuta. Avere a che fare con ognuna di loro, innamorarmene o credere di esserne innamorato, insomma vivere altre relazioni mi ha permesso di capire cosa – ma soprattutto chi – volessi al mio fianco. E quando ho guardato vostra madre negli occhi per la prima volta non ho avuto dubbi, era lei. Tutte le strade sbagliate che ho preso, anche quella non sbagliata ma sicuramente fuori tempo di zia Robin, mi hanno permesso di trovare la strada giusta e di saperla riconoscere subito, senza perdere nemmeno un secondo del tempo troppo breve che avevamo a disposizione.
Ma all’inizio del racconto non avevo neanche idea di dove la nostra conversazione mi avrebbe portato.
Certo, conoscevo le storie che vi avrei raccontato, dato che sono quelle che io stesso ho vissuto e delle quali volevo in qualche modo rendervi partecipi, ma il risultato finale è andato ben oltre le mie più rosee aspettative. Sono state due le conseguenze, o forse è meglio dire le riflessioni, inaspettate che sono derivate dal nostro per niente breve ma sicuramente intenso dialogo. La prima è che forse, ripensandoci, oltre che di vostra madre volevo parlarvi anche un po’ di me, volevo farmi conoscere in una veste diversa da quella a cui siete abituati; la seconda è che pensavo che questo racconto avrebbe fatto del bene più che altro a voi, ma in realtà ne ha fatto molto anche a me.
Parlarvi della mia gioventù mi ha ricordato di averla vissuta. Raccontarvi del mio rapporto con zia Robin, zia Lily, zio Marshall e zio Barney, di tutto ciò che abbiamo fatto insieme, degli Interventi, del Codice dei Fratelli, dei litigi che sembravano aver messo la parola fine alla nostra amicizia e del dietrofront che puntualmente abbiamo fatto mi ha ricordato l’intensità di una vita ormai lontana, talmente tanto da sembrarmi quasi vissuta da un’altra persona. Quasi come se non fossi io il Ted di quei giorni ma una persona diversa, altra da me. E invece, raccontandovi di lui, ho scoperto che quel Ted c’era ancora. Theodore Eveline Mosby, un uomo alla perenne ricerca dell’amore, pieno di passione per il suo lavoro ma soprattutto di affetto per le persone che lo circondano, è ancora qui. È un po’ invecchiato, ha qualche capello bianco in più e qualche esperienza alle spalle che prima non pensava di poter affrontare, ma è qui, pronto a viverne delle altre.
Ma sapete qual è il bello? Che oltre al mio stesso racconto, è stato il vostro ascolto a regalarmi questa consapevolezza nuova. Mi avete ascoltato con amore, curiosità e anche con un bel po’ di pazienza, e ascoltandomi vi siete resi conto di qualcosa che io stesso non sapevo, o forse negavo a me stesso. Il mio sentimento per zia Robin era ancora lì, latente ma vivo anche dopo tanto tempo e tante peripezie. E ad accorgervene siete stati proprio voi, i miei figli. Ancora mi sembra assurdo: mi avete dato la possibilità di ricominciare, di ripartire da quel corno francese blu tanto ridicolo quanto significativo. Mi avete ricordato che l’amore quello vero può assumere tante forme, e proprio io che sono sempre stato così impegnato a cercarlo non me ne ero ancora reso conto.
E quindi vi scrivo questa lettera per dirvi un’unica semplicissima parola: grazie.
Grazie perché non mi avete ascoltato solo con le orecchie ma anche con il cuore. Grazie perché non è assolutamente scontato il fatto che due ragazzi che hanno perso la loro madre siano i primi a spingere il padre a continuare la sua vita: siete proprio come lei, sempre empatici e pieni di gentilezza. Grazie perché avendovi nella mia vita ho scoperto un nuovo livello del significato di completezza, qualcosa che prima non avrei potuto neanche lontanamente immaginare. Grazie perché siete il ricordo più bello che ho di vostra madre e dell’amore che ci ha legato e tuttora ci lega, perché alcune cose durano ben oltre lo spazio e il tempo così come lo percepiamo. Siete il regalo più grande che la vita mi abbia fatto, e giuro che con questo chiudo. Da oggi in poi sarò io a mettermi dall’altro lato del salotto: non vedo l’ora di essere io ad ascoltare le vostre storie.