In quella che mi sembra ormai la mia vita precedente, passata nel campo rom insieme a una famiglia che aveva come unico obiettivo quello di vendermi al miglior viscido offerente, non avrei mai pensato di poter tenere un diario. Se solo a casa mia qualcuno lo avesse scoperto mio padre mi avrebbe riempito di mazzate, dato che sicuramente non ci sarebbero stati complimenti né per lui né per nessun altro al mondo. È passato un tempo minimo che però a me sembra infinito e adesso, in un modo e in un mondo che è finalmente mio, posso esprimere per davvero tutto quello che per tanto tempo ho potuto solo tenere dentro.
I ragazzi e le ragazze dell’IPM mi prendevano quasi per pazza quando mi vedevano tornare.
Andava così ogni volta: loro non vedevano l’ora di uscire, fremevano alla sola idea di prendere un permesso premio e andarsene da là dentro. Per loro quella era una condanna, una prigione dalla quale se ne volevano andare il prima possibile per tornare alla loro vita di prima, alla loro vita libera. Io invece la libertà potevo respirarla solo una volta chiusi i cancelli dell’IPM con me dentro, in un posto che era il mio rifugio e l’unico modo per mettere in pausa la mia vita per un po’, per allontanare il momento in cui avrei dovuto fare i conti con i piani che la mia famiglia aveva per me. In cella con me c’era Silvia, c’era Serena, e pure quando a un certo punto è arrivata quella cessa di Viola il fastidio per la sua presenza non era paragonabile alla gioia di avere accanto a me persone che mi volevano davvero bene. A me gli amici dentro e il mare fuori bastavano per essere felice.
Poi ho incontrato Filippo, O’ Chiattill, e sono cambiate tante cose. È cambiato tutto. Quella volta in cui abbiamo suonato insieme alla stazione della metropolitana chi se lo aspettava che ci saremmo innamorati. Io gli ho rubato il portafoglio e lui mi ha chiamato zingara di merda, non è che abbiamo cominciato proprio bene. Mamma mia quanto se lo credeva, come se ce l’avesse solo lui. L’ho baciato e lui mi ha guardato in una maniera assurda: lo sapevo che sarebbe caduto ai miei piedi, e quando poi sono tornata all’IPM e l’ho trovato lì, farlo innamorare di me è diventata una sfida personale oltre che una scommessa. Quello che però non sapevo ancora, caro diario, è che mi sarei innamorata pure io, e sarei caduta a mare con tutti i panni.
Filippo il mare di fuori me lo ha portato tutto dentro.
La maniera di guardarmi che ti dicevo: quella mi ha fatto sentire speciale per la prima volta in tutta la vita. Me, che di speciale non avevo proprio niente. Ho sempre pensato di essere una persona qualunque condannata a vivere una vita che non volevo, perché per quanto io provassi a scappare ogni volta, una parte di me non è mai stata sicura di poterci riuscire per sempre. Prima o poi avrei ceduto e stavo effettivamente cedendo, ci è mancato davvero troppo poco. Il fatto è che io non ho mai avuto niente, e con niente intendo nemmeno amore degno di questo nome. Avevo un po’ di gioielli, la capacità di cavarmela e niente più. Quando uno non è abituato ad avere niente e poi all’improvviso trova qualcosa, ha paura di perderla. E io quando ho trovato Filippo ho cominciato a fare un sacco di cazzate per paura di perderlo. Pure quando stavo a casa sua temevo che non mi amasse, che cretina. Ho avuto talmente tanta paura da preferire sposare un cugino schifoso. Ma poi O’ Chiattill è arrivato, con la sua musica e quello sguardo che mi faceva sentire in un altro mondo. E anche con Carmine, perché senza di lui non saremmo andati da nessuna parte. E io finalmente ho pensato di potercela fare.
Siamo stati fuggitivi per un po’ di tempo che è stato il più bello della mia vita. Il fatto di non avere niente non mi preoccupava: sono abituata a campare con poco, a vivere in mezzo alla strada. Filippo però no, e questa cosa ha cominciato a dargli un po’ alla testa, per un attimo ho avuto quasi paura di lui. Avere paura del Chiattillo, ma ci pensi? Come si può? Ragionandoci col senno di poi, forse non ho avuto davvero paura di lui ma piuttosto di quello che temevo potesse diventare restando in latitanza. Lui non è così, non è come me, questo l’ho sempre saputo. E a volte, caro diario, l’amore non basta.
L’ho lasciato andare e mi sento morire ogni giorno per questo, ma è stata la scelta giusta.
Filippo tiene talento e un cuore grande che non poteva rischiare di perdere. Andare via da lui è stata la cosa più difficile che ho fatto in tutta la mia vita, ma era l’unica cosa da fare per provare a regalargli un futuro, una prospettiva come quella che lui aveva dato a me. E dandola a lui spero di averla data anche a noi. Io non lo so quando, caro dià , ma so che io e Filippo ci rincontreremo. Magari gli prenderò il portafoglio dalla tasca alla stazione di Milano, ma solo per gioco, io ormai ste cose non le voglio fare più.
Sono andata via da Napoli il giorno stesso che l’ho lasciato: a casa mia non ci potevo tornare e nemmeno volevo, mio padre mi avrebbe ammazzata. Un’altra volta all’IPM non sarebbe servita a niente. Da quando non c’è Filippo con me mi sento spezzata a metà , e l’unico modo che avevo per cercare di recuperare l’altra metà di me era attraverso un pianoforte. E quindi ho preso un treno, poi un altro, poi un altro ancora, e chissà quanti altri ne prenderò. Sono arrivata a Bari, e sto in un convento in cui mi fanno suonare il pianoforte in cambio di cibo e alloggio. Figurati a me che me ne fotte della Messa, ma così mi sento più vicina a Filippo che, suonando in una Chiesa, mi ha ridato una vita che non voglio spezzare. Per adesso sto qua, ma non lo so mica dove starò tra un mese, un anno o dieci anni. Ma non fa niente, mi piace vivere alla giornata, basta che ci sia il mare fuori.