Attenzione: nel seguente articolo ci sono spoiler su True Detective.
Caro diario,
sono io, Rust.
Questa è la prima pagina, forse l’ultima, forse questo diario l’ho già scritto in un’altra vita.
Forse mi sono fermato a pensare dieci, cento, mille volte se iniziare a scrivere pensieri sparsi colorati da inchiostro.
E l’unica certezza che ho, è che questo è successo in tutte le vite che ho vissuto.
Ogni tanto mi fermo a riflettere, quando dentro quella stanza vuota fisso il crocifisso, su quanto tutto questo sia profondamente ingiusto.
Penso a quanto il tempo ci odi, per condannarci a rivivere ogni singolo istante di questa trappola che è la vita.
Mi sforzo di capire cosa porti un uomo ad accettare la sua crocifissione, ma poi penso che ogni singolo uomo, ogni giorno, accetta questa tremenda condanna.
La condanna di vivere una vita piatta, schiacciata, come una statua che si sovrappone a se stessa.
Viviamo in una dimensione che ci comprime in stretti cunicoli, che ci costringe verso il nostro destino.
E tutto quello che è al di fuori della nostra dimensione è eternità.
L’eternità ci osserva dall’alto, ci giudica e fissa le nostre vite insignificanti come un bambino fissa una colonia di formiche.
E la terra è il formicaio.
Ora per noi è una sfera, ma per l’Eternità è un cerchio.
Ho visto la conclusione di migliaia di vite, caro diario.
Giovani, vecchi.
Ognuno era certo del proprio essere reale, che la propria esperienza sensoriale avesse costituito un individuo unico, dotato di scopo, di significato.
Erano tutti sicuri di essere qualcosa di più di una marionetta biologica.
Poi però la verità si fa epifania e tutti si rendono conto che, una volta tagliati i fili, tutti cadono.
E tutti si rinchiudono dentro se stessi.
Le persone, gli uomini è come se neanche sapessero che esiste un mondo al di fuori del loro piccolo orticello del cazzo, potrebbero vivere sulla luna.
Tutti sanno di avere qualcosa che non va.
Semplicemente, non sanno cosa sia.
E per questo nasce la fede.
Vogliono tutti una confessione.
Vogliono tutti un racconto catartico per descriverla, specialmente i colpevoli.
Ma siamo tutti colpevoli, in qualche modo.
Siamo tutti complici della profonda inumanità che permea il mondo.
Siamo senza una coscienza, ma al tempo stesso troppo consapevoli di noi stessi.
Siamo un tragico passo falso evolutivo.
Siamo tutti convinti di poter contare qualcosa, ma siamo inutili.
Ti scrivo dalla stanza dietro al mio bar, caro diario, e tutto sembra rimanere immobile fuori e dentro queste quattro mura.
C’è solo una cosa che muta e incede.
Quella creazione della Signora Morte che fa crescere e nutre tutto ciò che lei ucciderà: il Tempo. Secondi, minuti, ore e giorni.
Istanti e secoli che non fanno altro che accompagnare gli esseri viventi all’eterno oblio.
Una volta ricordo di aver detto che tutti incappiamo nella trappola della vita.
Questa profonda certezza che le cose saranno diverse, che ti trasferirai in un’altra città e conoscerai persone che ti saranno amiche per il resto della tua vita, che ti innamorerai e sarai realizzato.
La realizzazione non si raggiunge, non fino all’ultimo istante.
E niente finisce davvero.
E ripensando a quelle parole ho capito una cosa: questo è un mondo in cui niente viene risolto.
Eppure, una volta c’era solo l’oscurità. Se me lo chiedessi, ti direi che la luce sta vincendo.