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Hannibal Lecter, un mostro imprigionato

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Era l’oscurità la parte della luce che gli interessava di più.

Guardava con spiccata ironia la sua ombra sul pavimento e sorrideva, pensando a quanta malinconia e quanta vecchiaia era costretto a portarsi dietro.
Portarsi dietro, si, perché era costretto a vedere la sua ombra, la incontrava ogni volta che il sole era dietro di lui, ogni volta che doveva voltarsi perché qualcuno lo stava chiamando, bastava abbassare lo sguardo, e l’avrebbe vista.

Era costretto a portarsi dietro la sua ombra, ma non era affatto costretto ad indossarla.

Continuavano ad essere due entità singole, unite da uno stesso destino, da una stessa direzione, ma una di quelle entità era umana, viva, consapevole, l’altra subiva, era costantemente pervasa da un grigio dinamismo, seguiva la sua figura umana con consenziente passività ed era felice quando non doveva essere lì, dietro di lui.

Quando il sole era tramontato e le luci erano tutte finalmente spente, l’ombra andava via.

A quel punto Hannibal era solo, effettivamente, fisicamente solo.

Ed erano quei momenti a rendere l’uomo quello che è.

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Era l’oscurità la parte della luce che gli interessava di più.

Riusciva a guardarla sempre con occhi pieni di sorpresa, in quei momenti la sua ombra scompariva e lui era tutto quello che il giorno dopo sarebbe comparso su di lei, avrebbe ritrovato tutto il male e il disgusto provocato da quei momenti sulla sua ombra, costretta ad abbracciare quella natura come si abbraccia qualunque altra cosa, senza replicare né sorridere, senza dire nulla.

E lui avrebbe apprezzato, Hannibal era pronto a ricominciare a vivere e progredire nella sua opera di sfida della gravità.

Non avrebbe voluto proprio tutto, quello che a lui interessava di più era avvicinarsi a Will e renderlo capace di poter vedere la sua natura, far sì che lui potesse abbracciare la sua natura, così come faceva la sua ombra.

Lui però era diverso, era umano, avrebbe inizialmente provato a cambiarlo, a renderlo umano appunto, così come è lui.

C’era qualcosa in lui che però lo aveva attratto, accanto a quella presunta umanità c’era un mondo a cui nessuno aveva avuto accesso, che forse nessuno era riuscito a vedere, neanche lo stesso Will.

hannibal-trouLui ci sarebbe riuscito, in fondo sapeva di essergli uguale, sapeva di poterlo portare ad amare l’oscurità, quella dei sensi, che lui amava tanto. Era sicuro che anche l’ombra di Will avrebbe accettato tutto questo, così come aveva fatto la sua, d’altronde era lì con lui, sempre, ogni tanto lo lasciava solo, ma sapeva che sarebbe tornata.

Nonostante tutto, nonostante lui.

Avrebbe vinto comunque, ci sarebbe riuscito, bastava solo rompere quel sottile legame che lo legava da troppo tempo alla realtà, una scomoda e inadeguata realtà che non sapeva e non poteva comprenderlo fino in fondo.

La raffinatezza fa parte dell’oscurità, alla luce tutto diventa meravigliosamente perfetto, alla portata di tutti, ma lontano dalla luminosità c’è la vera raffinatezza, quella perfettamente sbagliata, dai toni accesi e oscuri, la raffinatezza di Hannibal, quella più bella, riusciva a metterla in atto quando i suoi sensi diventavano acuti, sensibili anche alla più sottile essenza.

E tutto era circondato dal cupo desiderio di diventare altro e di farlo con maestria e professionalità.

La raffinatezza di Hannibal.

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Non sentiva neanche il bisogno di nascondersi, perché l’uomo, quello plasmato, quello che ama la luce, sarebbe stato lui a nascondersi. Non avrebbe visto nulla di quello che c’era in Hannibal, perché semplicemente non ci sarebbe stato.

Ma Will, lui si, avrebbe visto, e sarebbe rimasto lì a guardare la sua anima prendere la forma naturale del suo essere. Avrebbe dato senso alle loro ombre e avrebbe dato il via al gioco. Fatto di ombre che combattono la luce e che distruggono l’umana perfezione dell’essere.

Era Hannibal ad essere in controllo e sarebbe stato disposto a dividere questo controllo con lui.

Ormai il mondo non avrebbe avuto più importanza, era lui a dover decidere, c’era solo una cosa che avrebbe potuto contraddirlo, una figura da cui non si sarebbe mai potuto dividere.

Come se fosse il suo passato, come se quella figura, distesa sul pavimento che non guarda o che guarda altrove sapesse tutto di lui, ma non potesse dire nulla. Era la sua vita a non poter dire niente di lui, era sua prigioniera.

Come se quell’ombra fosse il suo quadro, e prima o poi Hannibal l’avrebbe uccisa e sarebbe stato finalmente libero.

 

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