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Hannibal Lecter rassicura e terrorizza

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Assaggino. Vellutata. Uova, frutti di mare, sorbetto, formaggio, arrosto. Piccante. Saporito. No, non stiamo leggendo il menu di un ristorante stellato, da qualche parte in Francia. Assaporiamo i titoli di alcune delle puntate della prima stagione di una serie consacrata a uno dei personaggi più inquietanti e affascinanti al tempo stesso della letteratura, del cinema e della televisione: Hannibal Lecter.

Quando la NBC annunciò nel 2011 di essere in procinto di creare uno show televisivo dedicato al più iconico tra i serial killer i fan del dottor Lecter storsero non poco il naso. Dopo Il silenzio degli innocenti (1991), infatti, il palato raffinato dei suoi ammiratori era stato rovinato da un prequel, Red Dragon (2002) e un sequel, Hannibal (2001). Sebbene interpretati dal grandissimo Anthony Hopkins, nel primo accompagnato da Edward Norton nei panni di Will Graham e nel secondo da Julianne Moore nei panni di Clarice Starling, entrambi i film non hanno lasciato il segno come quello pluripremiato, girato da Jonathan Demme.
Oltretutto, a trasmettere la serie sarebbe stato un canale televisivo come la NBC, non propriamente avvezzo a mandare in onda storie di serial killer per di più tendenti all’antropofagia. Comprensibile dunque il timore di un altro flop.

In un periodo durante il quale la concorrenza metteva in campo serie del calibro di Mad Men, Breaking Bad, Game of Thrones e Homeland, per citarne alcune tra le più famose e più premiate, l’idea di rispolverare un personaggio piuttosto datato (il primo film su Hannibal Lecter è del 1986, Manhunter – Frammenti di un omicidio, di Michael Mann) apparve un azzardo vero e proprio. A capo del progetto venne messo Bryan Fuller creatore, tra le altre cose della commedia fantastica Pushing Daisies (vincitrice di sette Emmy) e sceneggiatore di Heroes, Star Trek: Voyager e American Gods.

Fuller, considerato come uno dei più importanti sceneggiatori, all’inizio sviluppò il progetto dedicato ad Hannibal Lecter preparando semplicemente un pilot. La NBC, senza nemmeno mandarlo in onda, premette per una intera stagione che avesse la durata di non più di tredici episodi, come se a trasmetterla fosse una tivù via cavo e non un canale generalista. L’idea di una serie che non avesse la quantità tipica di episodi (solitamente una ventina) fu di Fuller stesso il quale raccontò in seguito che, insieme ai vertici della NBC, decisero di optare per stagioni più brevi per sviluppare il discorso più sul lungo periodo.

Il progetto di Fuller doveva durare sette stagioni. Inizialmente lo showrunner pensò di creane tre di suo pugno per poi ricollegarsi ai libri di Thomas Harris e concludere con un’ultima nuovamente di sua invenzione, in modo da dare una chiusa non soltanto alla serie ma anche ai libri. Il progetto, che nel frattempo aveva avuto delle modifiche, non andò in porto poiché la NBC chiuso lo show alla fine della terza stagione.
Malgrado l’inspiegabilmente basso numero di spettatori, la serie su Hannibal Lecter è stata candidata a cinquantadue premi televisivi vincendone ben ventiquattro. Soprattutto, viene considerata dalla critica e dal pubblico come una delle più belle e straordinarie serie a tema horror di tutti i tempi, divenuta un cult per milioni di telespettatori in tutto il mondo.

In Hannibal tutto è incredibilmente ricco: i colori, i cibi, i vestiti, i suoni. Tutto è lussureggiante e al tempo stesso inquietante. I decori che arricchiscono gli interni della casa del dottor Lecter, per esempio, sono scelti con una attenzione ai dettagli quasi maniacale; così anche le minuzie delle tavole imbandite in maniera minimalista, quasi che la vista potesse supplire all’impossibilità dello spettatore di assaporare i gustosi piatti cucinati dallo psichiatra. Accompagnata da una colonna sonora che utilizza strumenti musicali ai quali il nostro orecchio occidentale non è abituato restituendoci così sonorità all’apparenza cacofoniche, questa attenzione al dettaglio disturba q.b, quanto basta, lo spettatore portandolo sul baratro della follia che accomuna i due protagonisti: Hannibal Lecter e Will Graham, magistralmente interpretati da Mads Mikkelsen e Hugh Dancy.

Will Graham ha un dono: è capace di entrare nella mente degli assassini, vederli all’opera e, in un certo senso, prevederne le mosse successivo. Questo dono, ovviamente, comporta un grosso pegno in cambio. Le immagini che si producono nella mente del profiler dell’FBI, infatti, sono spaventosi incubi che Graham vive in prima persona, sulla propria pelle patendo le pene dell’inferno. La strada di Graham incrocia quella di Lecter, il quale è già il tipo che tutti conosciamo molto bene, seppure il personaggio interpretato da Mikkelsen sia lontano anni luce da quello interpretato da Anthony Hopkins. Lecter è incuriosito e affascinato dal dono di Graham e, a modo suo, deciso a studiarlo il più da vicino possibile. Da qui il meraviglioso dualismo che si sviluppa per trentanove puntate.

Graham e Lecter sono le classiche facce della stessa medaglia. Al di là della banale esemplificazione i due protagonisti di Hannibal viaggiano mano nella mano lungo una strada a loro dedicata sulla quale è impossibile fare dietro front. Attorno a loro un universo che sta a guardare, intervenendo sì, ma senza mai deviare la loro rotta. La loro unione è salda e sebbene siano su due fronti opposti, tra loro non c’ è il classico dualismo Bene versus Male che molto spesso vediamo nelle serie televisive. Tra Will e Hannibal c’è ben di più.

Attraverso una scrittura minuziosa, infatti, viene a galla l’ambiguità che li lega, in un continuo gioco di ruoli. Tra loro non esistono gerarchie né configurazioni prestabile e per questo fisse. Il loro rapporto, in un rossiniano crescendo, è basato sull’interscambio e sulla loro capacità di adattamento. Graham e Lecter sono seduttori e sedotti, cacciatori e prede. Non c’è un maestro e non c’è uno scolaro perché entrambi siedono uno di fronte all’altro, sullo stesso piano. È come se si guardassero attraverso uno specchio riconoscendo nell’altro quella parte più profonda, e per questo più terribile, che li rende indissolubili.

Fuller, in questo, è magistrale. I lunghi dialoghi filosofici che accompagnano le riflessioni dei due protagonisti, sottolineati da regie capaci di sostenere qualcosa di estremamente delicato, li scollano dalla realtà terrena per unirli insieme come lo Yin e Yang.
Will e Hannibal, come due forze antagoniste ma complementari, necessitano di stare insieme per poter sopravvivere sapendo di avere dentro di loro una parte dell’altro. Uccidere il proprio avversario significa uccidere una parte di sé e questo, né Lecter né Graham possono permetterlo.

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In questa sorta di gioco di prestigio dove le cose non appaiono mai per quello che sono realmente, la scelta dei due attori protagonisti è azzeccatissima. Da una parte abbiamo la freddezza scandinava di Mikkelsen che dona al personaggio di Lecter un fascino oscuro molto lontano da quello decisamente più british di Antony Hopkins. Mikkelsen è stato capace di prendere un personaggio ben radicato nell’inconscio collettivo e trasformarlo completamente rendendolo più letale e al tempo stesso più rassicurante. Il Lecter di Mikkelsen è inquietante e manipolatore al punto giusto, non esagera mai e ha dalla sua una sicurezza tale da renderlo una sorta di porto sicuro.
Dall’altra abbiamo il caos di Dancy, attore inglese che riesce a dare al suo personaggio, americano, quei tratti tipici del poliziotto solitario, incompreso dal mondo, al limite della follia patologica e spremuto dal suo capo per questo dono terrificante che gli permette di vivere le scene del crimine. Non è un caso, quindi, che Graham trovi ristoro in Lecter, una persona capace di ascoltarlo, comprenderlo e, in un certo senso, amarlo per quello che è.

Hannibal, andata in onda tra il 2013 e il 2015, è stato un esperimento folle, studiato e costruito in maniera meticolosa e perfettamente riuscito malgrado sia stato cancellato. Nella sua complessità questa serie sembra dimostrare quanto sia ingarbugliata la mente umana. Come in una casa degli specchi, i due protagonisti si affrontano dando sfogo ai loro più reconditi sentimenti, senza paura di ferirsi. Entrambi si aprono perché hanno la consapevolezza di avere di fronte l’unico altro individuo capace di comprendere. Amore e odio, appagamento e delusione, stima e disprezzo, attrazione e repulsione, rassicurazione e turbamento, coraggio e paura. Infine, vita e morte: Hannibal costringe lo spettatore a guardarsi dentro e scoprire che il piacere dell’orrore, della paura e della violenza sono sentimenti ed emozioni che gli appartengono come appartengono ai protagonisti. Con la differenza, grazie al Cielo, di sublimarli facendo sì che il mondo non sia pieno di serial killer cannibali.

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