È la morte in un abbraccio. La fine di una storia così come tutte hanno fine, staccando i piedi da terra e lasciandosi andare. L’antipasto era già stato servito con le tormentate notti di Will, il loro sopraggiungere ha permesso l’azione di Hannibal. Come complice però di una lotta alla pari.
Improvvisamente la redenzione diventa dettaglio fondamentale. Nel precipitare di Hannibal e Will siamo al loro fianco, apriamo gli occhi e vediamo ciò che era rimasto nascosto nelle pieghe del tempo. Quasi come fosse una poesia che mai ha avuto senso, che abbiamo sempre odiato e che poi d’improvviso comincia a prendere forma e diventa nostra. Sembravano versi quasi inutili atti a trasformarsi nella terapia perfetta.
Prima della vittoria tutto rallenta, l’adrenalina si trasforma nelle note di Love Crime e diventa sottofondo della sconfitta di un uomo ormai svuotato. Privato delle sue ali nella calma della concitazione, non può più ribellarsi. Sul pentagramma della melodia perfetta rimane così il suo solo essere umano, guarda quello che è stato e nel fuoco sa di doversi estinguere.
La raffigurazione della sua anima e del suo essere bruciano nello schizzo di William Blake che si espande, diventa sangue nelle ali di un angelo dannato. L’ultimo, il più bel contrasto con l’immobilità della figura del Drago Rosso.
Diversa è la traiettoria del sangue dell’uomo ancora vivo che dal suo volto scivola e cade dall’alto come ennesima goccia. Alimenta una scena ferita, vicina alla morte, precipita e nel suo mare si disgrega in tante altre piccole molecole.
È la conferma della vita che a un passo dalla sua fine comincia ad avere senso e importanza. Qui, dove l’epilogo segue fedelmente le orme della trama, è sublime la caccia di Hannibal e Will per porre fine al tempo.
Si fermano esattamente a metà strada, lasciandosi dietro un passato di incontri e di tradimenti. Senza alcuna spiegazione si perdonano e tornano a guardarsi, così come le loro anime hanno guardato l’abisso nel tempo che fu. In profondità appartiene solo a loro quella visione distorta eppure così perfetta.
Entriamo nell’ultima scena percependo l’attimo prima di un sospiro, quando ancora si trattiene il fiato. In apnea è solo Siouxsie Sioux a trascinare i secondi a compiersi, la sua voce è l’inchiostro di un biglietto d’addio. Una poesia, l’ultima, che incide a fuoco gli sguardi e gli scatti prima dell’abbraccio finale. In effetti fa fatica Will a trascinarsi verso l’uomo che ha ridato il giusto colore al sangue delle tenebre. È consapevole di cosa sta per abbracciare, sarà il suo carnefice diventato complice, il terapeuta innamorato della sua indole. È la salvezza sbagliata, quell’incontro di corpi è la motivazione peggiore per dirsi addio, eppure è di nuovo sublime il modo in cui diventano vittime insieme. Quando le singole storie diventano trama di due vite che si compiono nel momento perfetto, sull’orlo di un precipizio.
Per un attimo rimangono soggetti a sinistra dell’immagine, come protagonisti di una foto costruita ad arte, quasi immobili ma capaci di dare prova di essere ancora vivi.
È il passo di Will a completare l’ultimo verso di quella poesia scritta sul biglietto d’addio. Un messaggio scritto con il sangue delle vittime fino a poco prima degli ultimi versi. Quelli sono riservati ai protagonisti, gli unici a essere sopravvissuti alla fine e i soli a poterne creare un’altra. Chiudono il cerchio mettendo un punto lì dove era giusto smettere. Prima dell’implosione, sospendono lo scorrere del tempo, ormai tutto è immobile, le onde che si infrangono contro la roccia rallentano e infine diventano fermoimmagine.
Nella realtà ormai spezzata, dove il sogno onirico e la dimensione vera non si distinguono più, rimane un pezzo di storia. È ancora in vita una parte fondamentale del gioco, una pedina non è stata ancora mangiata, è lei a porre fine a quel poco che è rimasto del mondo di Hannibal. Bedelia è la conferma di come sia estremamente complesso e addirittura impossibile uscire dall’ambiguità emotiva della sua stessa costruzione. Anche lei come Abel Gideon viene risucchiata nel vortice dell’autodistruzione, operata da Hannibal o da se stessa non importa.