Tutto in Hannibal viene scomposto, analizzato da ogni angolatura e ricostruito in modo da trasformarlo in qualcosa di diverso, ma che può essere ricondotto a una cosa soltanto: arte. E non solo quella magnifica che vediamo a Firenze. Le morti elaborate, i pranzetti sfiziosi, le sedute di psicoterapia, le indagini approfondite… tutto ciò profuma di bellezza, anche là dove questo termine non dovrebbe essere usato. Proprio come succede nei film di Stanley Kubrick. Le sue opere, bellissime, simmetricamente perfette, con quegli spazi distorti talvolta così enormi da perdersi dentro (come in Shining) e talvolta così stretti da sentirsi oppressi e schiacciati (come in Arancia Meccanica). Lui, che ha rivoluzionato il cinema smembrando i vari generi, scardinandoli ed estraendone le varie componenti base, per poi ricomporle in qualcosa di completamente nuovo.
Sono puzzle i cui pezzi non formano l’immagine della scatola, eppure si incastrano alla perfezione.
Shining è il ritratto dell’horror come dimensione creativa che conduce l’artista al suicidio, 2001: Odissea nello spazio è la fantascienza della psiche piuttosto che della tecnologia, Arancia Meccanica ribalta il thriller politico confrontando violenza individuale e istituzionale e portandoci a un’identificazione col cattivo.
Semplicemente Kubrick è stato ed è un’ispirazione per molti, compreso il creatore di Hannibal Bryan Fuller.
Effettivamente l’atmosfera di Hannibal è molto kubrickiana, con la spettacolarità dell’estetica minimalista e i quadri grotteschi, il gioco delle dimensioni e la simmetria spaziale sia degli ambienti che dei personaggi. È lo stesso Fuller ad ammetterlo:
“David Slade e io abbiamo avuto lunghe conversazioni sull’atmosfera kubrickiana della serie. Stiamo raccontando la storia di un uomo che si guadagna da vivere con la sua immaginazione e che lentamente perde la testa. È una versione di Shining, solo che il protagonista non è un alcolizzato.”
Subito nel pilot di Hannibal c’è il bagno rosso in cui parlano Jack e Will che richiama troppo vividamente quello in Shining, dove Jack Torrance dialoga con il vecchio guardiano Grady riguardo l’uccisione della sua famiglia. Uno spazio puramente psicologico, irreale proprio perché anacronistico con la sala da ballo, con un contrasto di colori così forti che dà quasi fastidio. Il bianco in Kubrick è sempre contaminato, mai puro, e usato nel suo significato opposto: Arancia Meccanica non potrebbe essere più esplicito con il latte corretto e i vestiti dei Drughi. In Shining si mescola, lotta e soccombe al rosso, simbolo della follia omicida in cui sta scivolando Jack, della violenza e del sangue. Ed è questo che Fuller ha cercato di riprodurre in Hannibal:
“In ogni mio spettacolo volevo costruire un bagno che assomigliasse a quello. È come se avessero immerso l’intero set nel sangue. Ho capito guardandolo a 10 anni che si trattava di una narrazione psicologica. Non gli interessava cosa fosse reale o cosa no”.
Il bianco e il rosso infatti contrastano in maniera inquietante, la follia nelle sue diverse forme si sprigiona in quel bagno, in Jack Crawford e in Will. Il rosso è il sangue che verrà versato in e da Hannibal: Will prova a lavarselo via ma non se ne libererà finché continuerà le indagini con l’FBI, finché c’è Hannibal, finché non accetterà il suo vero io.
Come la scena precedente, anche quella che contiene il secondo omaggio a Shining nel settimo episodio, fa riferimento alla disintegrazione della sanità mentale di Will e alla pazzia in cui sta cadendo. Il profiler deve usare la sua abilità per risolvere l’omicidio di un uomo, ritrovato in una camera d’hotel identica alla stanza 237 dell’Overlook. Per ricordarci, è quella onirica e misteriosa in cui Jack abbraccia una giovane che si trasforma in una vecchia donna coperta di piaghe. Hannibal immerge la scena nell’ombra, Shining nella luce là dove Kubrick inserisce il male, ribaltando il solito tropo dei film horror. Le vibrazioni dei due momenti, però, sono identiche, con quella musica in sottofondo che non fa che aumentare la tensione, l’ansia e l’orrore che ne conseguirà. Nonostante nella serie ne abbiamo già avuto un assaggio.
Ancora una volta otteniamo scatti quasi identici, inquadrati in modo spettacolare con quell’attenzione maniacale degna di Kubrick.
Il verde, poi, correlato ad ambienti chiusi perde tutti i suoi significati positivi di rinascita, speranza e nuovo inizio. In Shining e Hannibal anticipa un pericolo, contribuisce a creare un’atmosfera oscura e sinistra, e dà l’idea della perdita di contatto con la realtà che i protagonisti stanno avendo, quella realtà che per loro è noia, routine malsana che spinge alla follia.
E come dimenticare l’iconica scena della cascata di sangue in Shining? Che appartenga agli indiani sepolti nel cimitero su cui è costruito l’hotel o a tutte le vite rivendicate dalle forze dell’Overlook, il sangue è simbolo di morte che invade ogni stanza annegando tutto nel rosso. Lo stesso significato è applicabile a questa scena di Hannibal: nel secondo episodio della terza stagione riviviamo l’orrore di Will, ferito ed esamine a terra, che assiste alla morte di Abigail. Il grigio monocromatico viene spezzato dal rosso intenso del mare di sangue che emerge dal cervo – che rappresenta lo psichiatra – inondando tutti, compreso l’animale. La fuga di Molly e Walter dalla Fatina dei Denti, poi, è stata girata allo stesso modo di quella di Danny e Wendy da Jack. La coppia a un certo punto si separa, con i piccoli che scappano dalla finestra e si ritrovano immersi nel gelido e poco rasserenante bianco della neve e, una volta riunitasi con la madre, scappano a bordo di un veicolo.
Fuller non si ferma con Shining, inserendo quello che lui stesso ammette essere un omaggio completo ad Arancia meccanica. Il cineasta inglese in questo film usa quello che Ejzenstein (il regista della Corazzata Potemkin) definì asincronismo: è la discrepanza o non-associazione tra suono e immagini. Ad esempio canzoni allegre diventano il sottofondo di scene violentissime, come Singing in the Rain durante la sequenza di stupro e La Gazza Ladra di Rossini mentre Alex pesta i suoi Drughi.
Nell’episodio cinque della terza stagione di Hannibal, Jack ha finalmente trovato il Cannibale a Firenze. Ingaggia con lui una lotta all’ultimo sangue, meravigliosamente cruenta, orribilmente feroce, di quell’ultraviolenza degna di Alex DeLarge. Mentre i due si picchiano usando anche gli strumenti di tortura presenti nel museo dove si trovano, risuona in sottofondo la Gazza Ladra. Non contento di usare solo la stessa musica di Kubrick, Fuller ha anche applicato tecniche di editing simili, rallentando i colpi chiave e accelerando gli altri.
Anche 2001: Odissea nello spazio trova il suo momento in Hannibal.
Sempre nella terza stagione il killer si arrende, facendosi catturare dall’FBI solo perché così Will sa sempre dove trovarlo. L’uomo è rinchiuso nella cella più bella della prigione, dove ha tutto ciò di cui ha bisogno e passa il tempo a immaginare luoghi in cui preferirebbe essere, a disegnare e a tenere il passo con la sua corrispondenza. Come fosse chiuso in una realtà separata, che esula da spazio e tempo, e dove può essere più cose contemporaneamente. Una prigione e una situazione molto simile a quella del finale di 2001: Odissea nello spazio (confermato da Fuller), in cui il protagonista, trasportato in una stanza chiusa, in totale solitudine e tranquillità sopravvive e invecchia in un letto francese del ‘700, per poi rinascere. E così vi lasciamo, con lo stesso Kubrick che, dopo anni e anni di silenzio, ha finalmente spiegato questo finale criptico:
“Il protagonista viene prelevato da queste entità quasi divine. Lo mettono in questo luogo, uno zoo umano, perché vogliono studiarlo e la sua vita comincia a passare in quella stanza, senza percepire lo scorrere del tempo. Queste entità provano a replicare l’arredamento francese ma è inaccurato, perché loro possono solo averne un’idea, senza esserne davvero sicuri. Proprio come facciamo negli zoo, quando cerchiamo di replicare l’ambiente naturale degli animali. Quando finiscono con lui, diventa una specie di super essere vivente e viene rimandato sulla terra, come succede in molti miti appartenenti a diverse culture, come se fosse diventato una specie di Superman”