Hannibal è una di quelle serie pressochè impossibili da categorizzare. Nato dall’intuizione di Bryan Fuller nel 2013, questo prodotto si è presentato come un classico thriller più o meno liberamente ispirato ai romanzi di Thomas Harris. Infatti, la serie si mostra al pubblico come un format piuttosto comune, improntato sui canoni del crime, secondo cui il filo conduttore narrativo viene annodato a omicidi che si sviluppano e risolvono nell’arco di un episodio. Una faccenda alla CSI, per intenderci. Un espediente semplice ma efficace per raccogliere a sé il maggior numero di telespettatori, ingannandoli. Poiché Hannibal va al di là del genere investigativo. Molto più in là.
Serial killer e delitti non sono che un pretesto per districare un caso ben più complesso: il rapporto tra Hannibal Lecter e Will Graham.
Per quanto ambiguo possa apparire, ciò che unisce l’agente FBI e lo psichiatra cannibale rispecchia uno dei più convenzionali (seppur malati) archetipi relazionali: il doppio legame narcisistico. Infatti, Hannibal è il manipolatore per eccellenza: individua una vittima, la raggira e, nella migliore delle ipotesi, pasteggia con le sue carni. Le persone che cadono nella trappola di Lecter non sono però prede: un animale cacciato avvertirebbe l’odore del pericolo, ma questo è un sentore che Hannibal non emana. Le sue vittime ripongono una quasi cieca fiducia nella proiezione sana e perbene che il serial killer offre, e si abbandonano a ogni parola che egli sussurra nelle loro orecchie. Tutte, tranne Will. Graham, per natura o per presagio, diffida di Hannibal sin dal primo istante.
Ed è grazie a quel ribaltamento dei ruoli che Lecter avverte in lui qualcosa che era estraneo a tutte le sue precedenti vittime: il potenziale.
Will è un uomo estremamente sfaccettato. Egli infatti gode e soffre di un particolare dono, l’empatia, grazie al quale riesce a immedesimarsi nel killer di turno e fornire un profilo accurato di questo. La sua peculiarità, però, è un’arma a doppio taglio che rischia di farlo scivolare nei meandri più oscuri della personalità umana, in questo caso deviata. Ma Hannibal ha l’intuizione più che fondata che Graham non sia immune all’oscurità, ma che piuttosto covi dentro sé un groviglio di pulsioni pronto a essere alimentato e liberato. Lecter è dunque intenzionato a sguinzagliare l’omicida che è in Will, che innalza a suo erede. Ma è solo nel momento in cui lo psichiatra svela la sua natura autentica di assassino antropofago che il rapporto tra le apparenti nemesi assume le dinamiche della caccia.
I ruoli, però, si invertono in continuazione, ed è difficile comprendere chi sia il gatto e chi il topo.
A Will è ormai chiaro quali intenzioni Hannibal nutra nei suoi confronti, e sfrutta tale consapevolezza alimentando l’ego dello psichiatra con accondiscendenza, facendogli credere di essere suo complice. Una mossa astuta, che fa guadagnare all’agente FBI un ulteriore vantaggio: la fiducia di Hannibal. E non è forse la fiducia la conditio sine qua non che determina il decollo o il collasso di una relazione, qualsiasi essa sia? Per quanto determinato sia a contrastare il potere persuasivo di Lecter, Graham non ha tenuto conto della fondamentale forza che li unisce reciprocamente: la co-dipendenza. Entrambi ormai sono entrati in una spirale di assuefazione, un morboso equilibrio che, nonostante gli sforzi di Will, non può più essere smantellato. La via d’uscita è una sola: cedere all’istinto. Infatti, l’agente si abbandona infine alla sua vera natura, scatenando la vena omicida, che Hannibal aveva odorato, insieme al suo stesso mentore.
Attenzione, però: Will Graham non si arrende al volere manipolatorio di Hannibal, bensì si lascia andare.
Lecter non ha creato un mostro, né soggiogato una mente con la tendenza alla sottomissione. Bensì, ha semplicemente mostrato a Will il varco che l’avrebbe reso libero. È stato Graham, con volontà e consapevolezza, a oltrepassare la soglia.
A lungo si è speculato sulla natura di questo rapporto e, come il secolo corrente vuole, tanti hanno voluto vedere un sottotesto sentimentale. Certamente di amore si tratta, del tipo malato e tossico che la tv e il cinema ci hanno portati a normalizzare. Ma non tutti gli amori sfociano nell’erotismo, e voler ad ogni costo incollare un’etichetta alla relazione tra Hannibal e Will non solo è una forzatura, ma una caricatura di un sentimento mostrato nella sua forma più pura e platonica. Del resto, niente è categorizzabile né categorico in Hannibal. Eccezion fatta per i maleducati: quelli verrano di sicuro mangiati.