“Il cervo selvaggio vagando sul sentiero salva l’anima umana dal suo pensiero”.
William Blake, Auguries of Innocence
Che un prodotto televisivo potesse avere al suo interno un caleidoscopio dell’orrore ma anche della filosofia, della psicanalisi, dell’etnologia e della magia così intenso e aggrovigliato di significato è un miracolo per cui non ringrazieremo mai abbastanza Hannibal. Il capolavoro incompiuto (ma stupendo nella sua incompiutezza) di Bryan Fuller racchiude una quantità di simbologia che difficilmente una serie aveva mai esplorato prima: uno dei significati più affascinanti, oscuri e intensi è legato alla simbologia del cervo.
Il cervo, in Hannibal, è una presenza costante, a volte soffusa e discreta e a volte conturbante, capace di paralizzare e travolgere con i suoi significati: l’equivalente dell’espressione “l’elefante nella stanza”, che si usa per indicare una verità evidente che viene, però, ignorata o minimizzata. Dall’arredamento ai sogni di Will alle scene dei delitti che si trova a dover decifrare, spesso con l’aiuto dell’ambiguo psichiatra, il cervo è sempre presente, raffigurato con i suoi eleganti palchi, spesso insanguinati, gli zoccoli e il manto scuro.
Tradizionalmente, il cervo ha un significato positivo: rappresenta una forza virile pura, dedita al cambiamento, come accade con il rinnovarsi continuo dei palchi. Questa raffigurazione acquisisce però un significato più ambiguo quando viene accostato alla dea greca della caccia, Artemide. Il simbolismo religioso del cervo è presente in tutte le antiche religioni e ha sempre avuto una connotazione tendenzialmente positiva: in Hannibal, però, questo animale mostra un lato differente a partire dalla sua raffigurazione, che punta su aspetti più oscuri come i palchi insanguinati e il colore nero del manto, che sembra quasi un piumaggio.
Nelle visioni di Will cervo e corvo si fondono spesso in un ibrido inquietante ma ricco di significati esoterici, a simboleggiare le due nature dei protagonisti principali: quella demoniaca ma allo stesso tempo portatrice di conoscenza e rinnovamento di Hannibal e quella sensibile e ricettiva dal punto di vista spirituale e quasi dotata di preveggenza di Will. Il cervo diventa quindi Ravenstag, combinazione onirica di cervo e corvo che echeggia la caccia selvaggia della mitologia nordica, con Odino a condurre le danze accompagnato dai corvi Munin e Hugnin, “memoria” e “pensiero”: le caratteristiche che Will mette in pratica quando interpreta le scene del delitto, vestendo i panni di Odino in una caccia selvaggia al killer al suo fianco.
Il corvo, Will, caccia il cervo, Hannibal: ma il cervo è tutt’altro che preda in Hannibal, e si rivela un inaspettato e feroce cacciatore.
La combinazione di corvo e cervo nelle visioni di Will ricorda un’altra figura tutt’altro che rassicurante ma che racchiude in sé significati che per Brian Fuller sono oro che cola. In demonologia, Furfur è un Gran Conte dell’inferno, un demone dall’aspetto di cervo alato con tratti umani, proprio come quello che appare all’atterrito Will. I poteri del Conte (caratteristica che condivide con Hannibal, che a sua volta discende da una famiglia nobile) contemplano l’evocazione di fulmini, lampi e tempeste, una sapienza sconfinata e un’inclinazione alla bugia, che va arginata con un appropriato rituale magico, che gli fa assumere la forma di un cervo, riconfermando l’accezione positiva in chiave religiosa di questo animale.
Oltre a queste caratteristiche demoniache, il Furfur è capace anche di evocare e creare l’amore: un risvolto inedito per una creatura tanto oscura, ma anche Hannibal si rivelerà capace di sedurre Will con la sua oscurità.
Le visioni di Will prendono una piega sempre più inquietante mano a mano che la presa a livello psicologico ed esoterico di Hannibal sulla sua psiche si fa più forte: e iniziano le allucinazioni davvero inquietanti. La figura del Ravenstag, inquietante ma anche solenne e che sprigiona una oscura bellezza, si alterna a quella del Windigo, che è invece la sua controparte bestiale e demoniaca e che appartiene alla mitologia dei nativi americani Algonchini.
Il Windigo, secondo l’interpretazione psicoanalitica, rappresenta una sorta di sindrome etnoculturale che si manifesta nel bisogno irrazionale e incontrollabile di cibarsi di carne umana e, al tempo stessi, la paura di diventare cannibale e l’impulso a nascondere le proprie inconfessabili pulsioni. Una sorta di senso di colpa dei cannibali in forma mostruosa, che perseguita un Will già avviato verso la strada del mutamento dal Ravenstag, che il Windigo indirizza verso gli anfratti più inesplorati e bui della psiche umana.
Vediamo una sorta di cervo di carne mostruoso avanzare verso Will nella Cappella palatina, così come la figura di Hannibal si fonde con quella del cervo generando il Ravenstag ogni volta che il profiler si ritrova faccia a faccia con un “dono” dello psichiatra: una nuova vittima. Le due figure si alternano in una sorta di sussurro perenne alla psiche martoriata di Will, mentre lo conducono nei meandri di se stesso, alla ricerca di una metamorfosi che lo trasformerà definitivamente nel corvo, l’animale simbolo del cacciatore selvaggio Odino.
Bryan Fuller si serve a piene mani della simbologia tradizionalmente positiva del cervo, svelando però i retroscena che quella figura imponente nasconde: l’animale simbolo di saggezza, bontà e rinnovamento diventa un emblema della trasformazione oscura, del viaggio introspettivo che diventa discesa all’inferno.
Il cervo, sul quale Will proietta l’immagine inquietante di Hannibal, diventa un vero e proprio animale totemico per il profiler, nell’accezione più mistica quando è in forma di Ravenstag, in quella più selvaggia e irrazionale quando è in forma di Windigo. Nei suoi sogni lucidi Will vedrà spuntargli i palchi in testa o sulla schiena (sentendosi alternativamente vittima o carnefice), ribaltando dunque su di sé quella visione inquietante che accostava allo psichiatra e prendendo consapevolezza del cambiamento in atto a livello inconscio.
La conferma dell’accezione benevola della presenza del Ravenstag è nel significato che assume in alcuni sogni, come quando segue bonariamente il profiler, facendosi addirittura accarezzare. Il Ravenstag diventa anche un’arma per sconfiggere Hannibal, come quando grazie alle sue corna Will immagina di stringere delle corde intorno allo psichiatra e ucciderlo.
Ma se il significato più profondo del cervo è il rinnovamento, il cambiamento, anche la sua presenza nella serie non può restare invariata.
Il Ravenstag morirà insieme ad Abigail Hobbes, la “figlia adottiva” di Hannibal e Will, l’unica sopravvissuta alla furia omicida di suo padre, il serial killer Garret Jacob Hobbes, altro personaggio che dimostra una predilezione per i cervi, usando i loro palchi per “confezionare” le sue vittime. Il Ravenstag si dissangua sul pavimento di Hannibal insieme a Will e Abigail, nel finale della seconda stagione, morendo o andandoci molto vicino.
Abbastanza vicino da trasformarsi per ritornare in una forma del tutto diversa dalla figura imponente e in qualche modo anche rassicurante che conoscevamo. In una delle scene più conturbanti dell’intera serie, l’origami heart della terza stagione, il Ravenstag risorge dalle ceneri rivelandosi nel corpo orrendamente mutilato di Anthony Dimmond, una delle vittime di Hannibal, spellato e piegato a formare un cuore. La figura che si rivela in quella terrificante visione e che avanza verso Will non ha più i connotati benevoli del Ravenstag, ma è un essere inquietante, una sorta di zombie che, invece di guidare Will, tenta di incornarlo.
Il cervo della terza stagione rappresenta l’acquisita consapevolezza di Will di voler entrare in contatto con quella parte oscura e proibita che Hannibal gli aveva rivelato ma che, fino a quel momento, non era stato capace di ascoltare. Il mutamento è completo, i palchi sono pronti per ricrescere, il piumaggio sta cominciando a spuntare: è il momento di spiccare il volo.
La vita rassicurante e anonima che Will aveva scelto per allontanarsi dalla tentazione per l’oscurità che l’aveva condotto a un passo dalla follia e dalla morte non gli bastano più: basterà un’ultima, grande investigazione per segnare il punto di non ritorno nella metamorfosi del profiler nella vera anima gemella di Hannibal.
Il cervo che conduce al cambiamento, alla mutazione, all’introspezione, diventa una figura mitica e demoniaca capace di invocare amore ma anche ambigua e bugiarda, con i tratti di una bestia selvaggia e sanguinaria assetata di sangue ma al tempo stesso divorata dal senso di colpa. Ravenstag, Furfur e Windigo si fondono l’uno nell’altro così come Hannibal e Will si scambiano ognuno l’essenza con l’altro, diventando una figura così nera, complessa e densa che non è possibile capire dove cominci uno e finisca l’altro, così come non è possibile determinare il male e il bene.
Una fusione che non poteva terminare che in un abbraccio mortale, un lampo di amore e follia in cui l’estasi dell’orgasmo si mescola con il tremito della morte.
Giulia Vanda Zennaro