Will Graham è il quadro di Hannibal Lecter.
Dipinto magistralmente, protagonista una figura sublime, giovane, non ancora corrotta, un volto che nasconde un dolore lancinante, impossibile da notare nella sua genesi, ma ben visibile nel tempo che scorre via dai suoi occhi e dalla sua pelle.
Il tempo invecchia la cornice, ciò che contiene quel dolore, ma ha un’influenza fin troppo insignificante su quello che i bordi sostengono e proteggono. I cambiamenti del microcosmo all’interno della cornice non sono opera del tempo, ma di altro, di qualcun altro.
Della nemesi della figura rappresentata, di un uomo che vive nella pelle del quadro, trasferendo il suo dolore, lo scorrere del tempo e la morte nella tela colorata, nel volto di un uomo che non rappresenta se stesso, ma solo la sua ombra.
Will Graham è il quadro e l’ombra di Hannibal Lecter.
Eppure Will Graham è lontano da Hannibal, vive come sua ombra (che ha aperto il cerchio e che viene descritta qui), sente la vicinanza del mostro, ma non la tocca, salva se stesso allontanandola, svegliandosi ogni volta in tempo, prima di finire in una dimensione oscura e brutale. Ma non basta. I segni di ciò di cui Hannibal è colpevole cominciano a vedersi, compaiono dal nulla, come cicatrici notturne di una vita mai vissuta.
Will resiste, anche vedendo segni e ferite comparire sul suo volto, crede non siano reali, vuole guarire da se stesso, da ciò che gli procura dolore e sofferenza. Vuole davvero guardare la vita da una prospettiva realistica, sana.
Ma la sanità mentale è piacevole e calma, e non corrisponde a Will, né tanto meno agli assassini in cui si immedesima. Nel suo disegno non c’è calma, nel disegno dei mostri che interpreta non c’è piacevolezza, ma caos e solitudine. E Will Graham è solo, tanto da immaginare una parte di sé come un animale, possente ma inerme, è la sua anima e nello stesso tempo la sua parte più indifesa. Rappresenta la volontà di essere forte e la sua passività nel subire gli atti dei mostri che pian piano incontra, e che infine fa suoi.
Ed è per questo che tutto comincia ad avere senso quando nella sua vita entra la causa del suo malessere, il colpevole delle cicatrici e dei segni, quando a controllare il suo male è Hannibal. Sembra poter salvare il suo mondo, riportarlo a riva dopo averlo salvato dall’annegamento, è la ragione delle sue speranze.
Ma questo non è Hannibal, che alla fine si rivela il mostro che lo annega, che lo fa morire per potergli raccontare la sua storia e per far sì che Will accetti finalmente la sua parte più oscura.
Nessun controllo e nessuna possibilità di fermarsi.
In un ballo al confine con l’inverosimile, è Hannibal a condurre le danze quando ancora Will non conosce i passi, ma li subisce.
Tutto ha inizio così, con un incontro, ed è già tutto deciso.
Chi sarebbe stata la vittima, chi il carnefice e chi, poi, si sarebbe accorto di volere intensamente quel male.
È stato Will a volerlo, alla fine ha scelto di essere ciò che ha sempre respinto, di non essere più un quadro e l’ombra del male, ma di essere un nuovo tipo di oscurità. Ha scelto di essere consapevole nel valzer del sangue.
Non più parte del quadro, ma causa delle sue cicatrici, come lo era stato Hannibal.