Quando Hanno Ucciso L’Uomo Ragno è arrivata sullo schermo, nessuno immaginava tutto questo. Nessuno poteva neanche lontanamente credere che, da quel momento, si sarebbe creato un varco. Un prima e un dopo. Si era scettici, condizionati da opere simili che vedevano i protagonisti spesso ingessati nei loro ruoli, impotenti di fronte alla possibilità di aggiungere qualcosa di più. Di mettere al primo posto la persona, e solo dopo il mito. E così, forse, ci si aspettava un Mauro Repetto di Serie B. Un personaggio complice, dedito ai sogni dell’amico Max Pezzali, ma sempre un passo indietro. Un collaboratore del sogno. Colui che sul palco balla e lascia tutto il potere alla voce di Max Pezzali. Era questo che più o meno si immaginava, quando per la prima volta ci siamo approcciati ad Hanno Ucciso L’Uomo Ragno.
Ma poi lo schermo si è illuminato. La sigla è partita. La puntata è cominciata. E Mauro Repetto ha parlato. Solo quattro parole: che poi, perché Massimo? Solo quattro parole, ed eravamo già di fronte a uno dei personaggi che più hanno messo nero su bianco il costante senso di smarrimento di chi tanto vorrebbe ma nulla riesce a ottenere. Di chi si costruisce un sogno, e poi ne diventa personaggio secondario guardando il successo degli altri. Di chi da protagonista diventa sempre telespettatore di un mondo fatto di gente sempre più brava di lui. Portatore sano di un’unica condanna, l’unica cosa che ha sempre portato dietro di sé come un fardello: l’assenza di quel tanto così.
Mauro Repetto è la vulnerabile e assordante frustrazione che insegue chiunque di noi. La certezza costante di essere qualcosa, ma mai abbastanza. Non per gli altri, non per noi stessi
Quel tanto così di Mauro Repetto è quel tanto così che ha modellato la nostra vita. La costante certezza dell’impotenza di fronte a tutto quello che inventiamo, che vogliamo, che sognamo. L’assordante rumore del fallimento che arriva anche quando non siamo così male ma, nonostante tutto, restiamo spettatori di chi quel che vogliamo fare noi lo fa meglio. Un paragone che non nasce naturale nella nostra testa, ma che tutto quello che ci sta intorno ci ricorda costantemente. Perché magari non siamo neanche così male. Ma quel tanto così farebbe la differenza. Non basta un sogno da sognare. Non basta neanche costruirselo con tutte le proprie forze. Per quel tanto così ci vuole molto di più, come cominciare a pensare di essercelo guadagnato. Una cosa che a Mauro Repetto, nonostante tutto, riesce incredibilmente difficile. Perché è il senso di smarrimento, la sua più grande condanna.
E così prima cerca di capire quale sia il suo sogno. Poi prova a realizzarlo. E, quando è oramai tutto pronto, comincia a chiedersi che ruolo abbia. Se non sia un ospite non desiderato, seppur sia in fondo lo stesso che ha organizzato la festa. Mauro Repetto vive la sua vita nella costante certezza di non essere indispensabile. Di essere facilmente dimenticabile, sostituibile. Per tutte le puntate Mauro Repetto è stato questo. Lo è stato quando ancora di Max Pezzali sapeva soltanto che le rane avevano molteplici funzioni. Quando ha lasciato Pavia per Milano o è tornato nelle vesti di animatore consapevole che la realtà prima o poi busserà sempre alla tua porta.
Lo è stato anche quando il sogno si è realizzato e su un palco c’era davvero, ma senza che nessuno lo vedesse sul serio. Perché la domanda che lo ha seguito per tutta la vita si è invitata anche al suo traguardo più importante, portandolo di nuovo davanti alla sua più grande condanna: ma che ruolo ha quindi ‘sto Mauro? Un loop paradossale da cui non si trovava più via d’uscita. La disgraziata disavventura di un personaggio alla perenne ricerca di un ruolo che puntualmente gli viene tolto, e che invece – adesso – per noi un ruolo lo ha eccome. Ed è tra i più importanti mai visti sul piccolo schermo, in Italia.
Ci aveva provato (riuscendoci) Zerocalcare con Strappare Lungo i Bordi. Ci aveva dato uno specchio. Ma era, seppur realistico, sospeso tra la realtà e la fittizia avventura di chi doveva parlare con un armadillo. In questo caso, invece, Mauro Repetto è reale. Ed è una delle cose più vicine a noi che si siano mai viste sul piccolo schermo. Con la sua incostante felicità fatta ciclicamente a pezzi da tutto quel che non è, Mauro Repetto si dimentica spesso di quel che è. Una condanna che tocca a tutti. Con cui ci dobbiamo scontrare ogni giorno, trattando quel che sappiamo fare come qualcosa di Serie B. Come qualcosa che, sempre, conta meno di quel che non ci riesce.
Ma Mauro per questo non ci fa le menate sopra. Va avanti dritto, ridendoci sopra e tentando comunque. Sale su quel palco. E se la ride. E se la balla. E diventa Mauro Repetto. Per alcuni il ballerino, per altri l’indefinibile. Il cantante, il coro, lo scrittore, colui che ha sistemato l’asfalto e ci ha costruito sopra un concerto. Mauro Repetto è il personaggio più sofferente di Hanno Ucciso L’Uomo Ragno. Lo avremmo capito anche senza l’ausilio di quei piccoli momenti in cui si lascia andare al frustrante senso di smarrimento di chi per campare deve pensare di doversi accontentare di quel pezzo mancante.
Lo avremmo capito anche solo attraverso i suoi sguardi. Dal modo con cui dà la cassetta di Max a Gozzard, senza neanche immaginarselo un duo. Perché Mauro Repetto si è sempre re-inventato. Si è affidato alle possibilità di una vita che forse qualche sorpresa te la riserva anche. Solo che la sua possibilità non aveva a che fare con le cose di tutti i giorni. Ma con Pezzali Massimo, il suo migliore amico e compagno di banco. Mauro Repetto quel tanto così lo aveva sempre avuto, ma aveva bisogno di qualcuno che finalmente ci credesse. Quel tanto così era la sua ostinazione. La sua risata. La caparbietà di chi perde e non s’arrende neanche se tutto sta crollando.
Mauro Repetto c’è sempre stato. Era nascosto nella vulnerabilità di ogni essere umano che per riconoscersi poteva fare affidamento su personaggi doppiati, sottotitolati o ritratti in modo fumettistico. Mauro Repetto era quel tanto così che ci mancava, e che adesso conosciamo. E’ il nostro specchio riflesso che finalmente ha un volto autenticamente vicino al nostro. I capelli lunghi. Gli occhi castani. Balla sul palco ed è la persona più estiva che conosciamo. E quando è triste come noi si mette a letto e pensa a tutti i sogni che non ha più, pur avendoli tutti.
Annalisa Gabriele