Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di High Fidelity
Iniziamo col dire che il cinema di Spike Lee, nella sua interezza, è qualcosa che va molto aldilà di una mera analisi stilistica. E anche per questo influenza prodotti come High Fidelity. Il cinema di Spike Lee è un cinema che ha influenzato generazioni di uomini e donne e che ha ispirato lotte sociali, comunità intere e una cultura nella sua totalità. I film diretti da Spike Lee, nessuno escluso, portano con loro un bagaglio culturale piuttosto rilevante. Non solo critica cinematografica, ma soprattutto lotta all’emancipazione, battaglie per la libertà, amore per le sue radici.
Negli anni Ottanta soprattutto, Spike Lee inizia la sua carriera da regista e comincia a muovere i primi passi in un mondo che lo ostacolerà in modi diversi. E per il quale, nonostante questo, lotterà strenuamente.
Perché Spike Lee ha l’obiettivo di coinvolgere la sua comunità in quel tipo di cinema che solo lui sa fare. Spike Lee fa un cinema unico nel suo genere, è lui stesso ad aprire la strada a molti altri autori che verranno dopo di lui.
I film di Spike Lee sanno essere molto duri e molto diretti, ma anche molto divertenti e sarcastici. I temi che affronta sono sempre molto complessi: la libertà della comunità afroamericana, la gentrificazione, i dislivelli nella società, l’emancipazione femminile. È anche grazie al suo lavoro se oggi esistono prodotti come High Fidelity (qui i motivi per cui dovreste recuperarla subito). Serie televisiva del 2020, Zoe Kravitz come protagonista, colonna sonora impeccabile, una Brooklyn troppo pettinata.
Storie come quella di High Fidelity non solo richiamano il cinema di Spike Lee ma lo omaggiano, certe volte senza neanche saperlo fino in fondo. La Rob di High Fidelity (che è tratta da un libro di Nick Hornby) è una donna che si riprende i suoi spazi. Che lotta ogni giorno contro se stessa e gli altri. Ma soprattutto è una donna che vive la società in cui è calata. Vive la cultura da cui proviene, la scena musicale a cui prende parte costantemente.
In questo, il rimando al cinema di Spike Lee è palese e immediato. I temi che affronta ci ricordano, a volte vagamente altre volte in maniera più sfacciata, una moderna Lola Darling.
Lola Darling (il cui titolo originale è She’s Gotta Have It, da cui è stata tratta anche una serie omonima, diretta dallo stesso Spike Lee) è forse il film da cui High Fidelity trae più ispirazione. È la storia di una donna afroamericana che lotta per la sua emancipazione. Ma che si divide anche tra vari amanti, senza mai sentirsi in dovere di dare grandi spiegazioni a nessuno. Rob di High Fidelity è forse meno forte e sicuramente più ansiosa di Lola Darling. Ma ha la stessa attitudine alla ricerca dell’amore, la stessa indecisione personale e, soprattutto, la stessa voglia di indipendenza.
Non si divide tra vari amanti, piuttosto cerca di capire dalle sue vecchie frequentazioni cosa possa aver sbagliato. Rob ha un unico vero innamorato, anche se fatica a capirlo (affronta, come altre serie, il tema del tempismo emotivo). Eppure, condivide con Lola Darling una spinta all’autodeterminazione che le permette di rimanere ferma sulle sue idee. Di non farsi trasportare da ciò che la società vorrebbe imporle.
Rob è più indifesa di Lola, è più fragile. Ma ha la stessa identica consapevolezza, da donna afroamericana che vive la sua città e la sua comunità. E che è alla costante ricerca di un certo tipo di stabilità.
Tutte le riflessioni che nascono da High Fidelity (che ha in sè varie istanze diverse), intorno all’influenza del cinema di Spike Lee, ruotano attorno ad un unico grande motivo. Spike Lee, come uomo e come regista, ha fatto sì che si potesse parlare di tutto ciò, anche sul grande schermo. Le lotte che il regista afroamericano ha dovuto sostenere perché oggi possiamo vedere High Fidelity sono molto complesse. E rientrano in un immaginario in cui non è semplice addentrarsi. Basti sapere che, quando girò il film Malcolm X, fu ostracizzato dalla critica e per poco non si rischiò di eliminare il film.
In High Fidelity, come in altri prodotti simili in materia di tematiche, c’è un’ovvia riconoscenza nei confronti di Spike Lee, che ha aperto la strada ad un mondo di storie bellissime, che avrebbero altrimenti rischiato di essere taciute.
In High Fidelity c’è anche Fa la cosa giusta (film del 1989), perché in entrambi i prodotti si racconta della vita di quartiere e di varie personalità che si incontrano e si scontrano anche e soprattutto attraverso la cultura che definisce la città. Rob ha la sua parte nel suo quartiere, ha il suo ruolo e ci tiene in maniera particolare. Fa parte di lei, come la musica.
La musica è un tema centrale in High Fidelity e, ancora una volta, è impossibile staccare tutto ciò da una storia del cinema come quella di Spike Lee, campione di colonne sonore. Mo’ Better Blues, meraviglioso film del 1990, è la storia di un uomo che vuole solo fare musica e che è pronto a farla ad ogni costo. Oltretutto, non è capace di decidere tra due donne. In questo senso, Rob di High Fidelity sembra incarnare le due istanze rileggendole sotto una lente femminile ma anche più moderna. Rob non fa musica nel senso più stretto del termine ma vive di questo, il suo negozio di dischi è la sua vita.
La sua socialità, infatti, gira intorno alla musica e ai dischi, e allo stesso modo anche le sue relazioni.
È come se Rob leggesse la vita attraverso le lenti della musica e per questo crea playlist dedicate ad ognuno dei suoi amanti, cammina con una sorta di colonna sonora in testa, affronta gli ostacoli un brano alla volta. La musica, in Spike Lee, e quindi anche in High Fidelity, è parte integrante della quotidianità del quartiere. È ciò che lo rende vivo e vivibile, oltre ogni sovrastruttura.
In High Fidelity e in ogni prodotto simile, ci sono inevitabilmente delle influenze del cinema di Spike Lee perché è uno dei primi che ha avuto il coraggio di mettere in scena una tema complesso come quello razziale. È forse il primo ad aver avuto la faccia tosta di andare avanti nonostante critiche e ostacoli.
È grazie alla sua battaglia se oggi si sono aperte tante strade, anche molto diverse tra loro, per molti giovani registi e talenti afroamericani.
Spike Lee, che dirige molti documentari su storie vere che segnano una comunità intera, continua ad essere di ispirazione per prodotti come High Fidelity, che spesso si prefissano l’obiettivo di mettere in luce determinati temi ancora troppo poco dibattuti. Anche quando non è il focus centrale, come succede in High Fidelity che è una storia romantica ma che non può lasciare indietro determinate istanze. Perché Rob è una donna moderna (e per fortuna non è l’unica), è una donna afroamericana che vive in una società diversa da quella di Spike Lee. Ma Rob è ancora un simbolo, è ancora necessaria, è ancora una donna da ascoltare. È una piccola parte di quella storia che Spike Lee non ha ancora finito di trasmettere e che forse non finirà mai di raccontare.