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Hollywood – E il sogno realtà diverrà

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Mentre guardavo Hollywood continuavo a pensare “Tra poco succederà qualcosa di brutto” o “Non ce la faranno… non finirà bene”. E intanto aspettavo, aspettavo che accadesse quel qualcosa. Ho aspettato di vedere i sogni infrangersi, la situazione precipitare. E intanto speravo, tifavo per quei protagonisti sognatori e rivoluzionari, per quella Hollywood che è davvero la patria delle meraviglie e dei desideri realizzati. E più immaginavo quanto sarebbe stato bello se tutto fosse andato per il meglio, più mi costringevo a pensare che no, non poteva finire bene. Perché ormai siamo così abituati alle serie che ci mostrano la cruda e spesso triste realtà che ci siamo dimenticati che a volte è importante anche illudersi, nel senso buono del termine. E trarre forza da quelle fantasticherie.

Hollywood mi ha stupito.

Traendo spunto da personaggi dello show business realmente esistiti e da situazioni e accadute davvero in America negli anni del secondo dopoguerra, non pensavo che il suo obiettivo fosse proprio quello di partire dal concreto per deviare verso una nuova strada. Una strada che se fosse stata intrapresa in quegli anni avrebbe cambiato da tempo le carte in tavola.

Anche i personaggi risultano essere quasi tutti figure positive. Alcune sicuramente più in ombra di altre, ma comunque hanno modo di dimostrare che c’è del buono anche nella persona peggiore e che si può sempre migliorare. Tutti, di fronte alle impetuose aspirazioni visionarie dei giovani protagonisti che vogliono davvero cambiare il mondo – non solo dello spettacolo – non possono far altro che lasciarsi travolgere e assecondare il flusso di questa corrente rivoluzionaria. Perfino, Henry Wilson (qui parla della sua Danza dei Sette Veli) un viscido e spietato manager che approfitta della posizione subalterna suoi clienti per soddisfare i suoi desideri, alla fine si redime. E si espone per realizzare la prima pellicola con protagonista una coppia gay.

Ed è questo la sorpresa: non c’è cattiveria. E, quando c’è, può essere sconfitta. I buoni trionferanno. Quanto è tipico nelle miniserie degli ultimi anni? Le difficoltà, gli ostacoli, le paure possono essere superate grazie alla solidarietà tra colleghi e tra esseri umani. I sogni possono davvero diventare realtà se ci credi e fai di tutto per realizzarli. E se hai accanto a te una o più fate madrine pronte a tenderti la mano per compiere la scalata.

La stessa sigla non è che una metafora della storia che la serie racconta.

I protagonisti si arrampicano sulle iconiche lettere di Hollywood, come allegoria della scalata verso il successo. Ma non tentano di prevalere gli uni sugli altri: si aiutano. Ciascuno si allunga per aiutare il compagno a salire, guarda preoccupato l’amico che incespica e alla fine, insieme, raggiungono la vetta. Impossibile che accada nella vita quotidiana, direte. L’uomo ha insito il desiderio di predominare, di imporsi sugli altri. Ma questo vuol dire che non possiamo neanche sperare che accada in una serie? O che non possiamo provare a essere migliori e solidali?

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La storia ruota intorno a sei ragazzi diversi tra loro per estrazione sociale, colore della pelle e orientamento sessuale, ma che hanno un obiettivo comune: entrare a far parte dello sfavillante mondo del cinema degli anni ’50. Alcuni sognano di diventare attori, come Jack Castello o Camille Washington, e ognuno con agganci e mezzi differenti riusciranno a entrare negli ACE Studios e avere una parte. Raymond Ainsley desidera diventare un regista e Archie Coleman vorrebbe essere uno sceneggiatore. Partendo proprio da un suo scritto, rivoluzionandolo completamente, questi ragazzi si ritroveranno a lavorare per una nuova sconvolgente pellicola: Meg. Il primo film basato su una sceneggiatura realizzata da un nero omosessuale, che ha come protagonista un’attrice nera e che lancia un forte messaggio di speranza: tu non sei solo. Anche se il mondo ti volta le spalle, ci sarà sempre qualcuno o qualcosa per cui vale la pena vivere. Ci sarà sempre qualcuno pronto a tenderti la mano.

Come è tipico di Ryan Murphy, la serie punta molto sull’inclusività, sulle discriminazioni subite dalle minoranze etniche e dagli omosessuali, al tempo costretti a nascondersi. Ma non risulta stucchevole o finto. Risulta solo… giusto. E anche questo è piuttosto raro se si pensa che il politically correct è diventata più una moda che un messaggio da lanciare.

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Alla fine, nella notte degli Oscar, il film risulta essere un vero successo. È l’apoteosi di nomination e premi per Meg. L’amore trionfa, l’amicizia altrettanto e nessuna buona azione viene sottovalutata. Non dico che non ci siano serie tv che hanno un lieto fine o che inneggiano alla realizzazione dei propri sogni. Sarebbe un’eresia! Ma è sempre più raro trovare delle miniserie che – senza risultare melense o eccessive – portino davvero nelle case degli spettatori la speranza.

Hollywood stupisce con il suo ottimismo. È la favola di cui non sapevamo di aver bisogno. Che ti trasporta in un universo parallelo e ti assorbe. Ti svuota e al tempo stesso ti riempie di energia e di aspettative. Perché, alla fine, tutto è così perfetto che sai che non può che essere finzione. E proprio perché ne sei consapevole l’effetto che ha su di te è amplificato. Come da bambino, torni ad avere fiducia nel mondo e nelle tue capacità e, con uno sguardo cinicamente innamorato, ti prepari a compiere la scalata.

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