Partiamo subito col dire che il personaggio interpretato da Claire Danes, Carrie Mathison, è uno di quelli che piace o non piace, che si ama o che si odia. Senza mezze misure. E questa è una scelta ben chiara degli sceneggiatori che hanno voluto, e saputo, costruire un personaggio televisivo che non fosse il solito, banale, pupazzetto preconfezionato, dai buoni (o cattivi) sentimenti, capace di accontentare lo spettatore medio televisivo. No, Carrie Mathison, non è nata per accontentare, non è nata per piacere, non è nata per tenere nella bambagia, al sicuro, chi desidera riposarsi e rilassarsi guardando una serie televisiva. E questo al di là del tema, ben chiaro, di Homeland (un cult del quale si parla poco).
Carrie Mathison è indisponente, maleducata, irritante, troppo spesso sopra le righe, destabilizzante, insicura, sfruttatrice, totalmente priva di empatia, senza scrupoli, violenta, antipatica, subdola, meschina, disubbidiente, incapace di sottostare alla gerarchia, impossibilitata a creare legami, pericolosa per sé e per gli altri, eccetera eccetera. Ma ha anche dei difetti, come si dice oggi. Battute a parte l’elenco delle caratteristiche negative della protagonista di Homeland, ovviamente, potrebbe proseguire ancora a lungo. Ogni singolo spettatore che ha guardato la serie sicuramente troverà qualche aggettivo da aggiungere alla lista precedente. Come conseguenza di tali peculiarità comportamentali spesso le azioni di Carrie risultano incomprensibili, prive di logica, assolutamente fuori luogo, a volte addirittura immorali. Sono azioni dettate dall’impulso più che dalla ragione, che sovente hanno conseguenze, nel breve termine soprattutto, infauste e che la fanno apparire troppo spesso vittima di una specie di mania autodistruttiva dalla quale sembra non riuscire, o non volerne, venire fuori.
Ciononostante, malgrado questo dipinto non propriamente idilliaco, Carrie Mathison è un personaggio interessante, sorprendente, intrigante e con un fascino molto particolare che le permette di ottenere l’indulgenza da chi la guarda al di qua dello schermo,
Dunque, è tutto perfetto? Per caso, di fronte a noi, abbiamo l’anti-eroina per eccellenza, alla quale tutto è permesso? Chiaramente no.
Su Carrie Mathison sono stati scritti, come spesso accade con i grandi personaggi televisivi, una quantità di articoli piuttosto considerevole molti dei quali hanno preso in analisi proprio il comportamento della protagonista di Homeland perché, per la prima volta sul piccolo schermo, è apparso un personaggio dietro al quale si celavano problematiche, gravi, reali e concrete tali da giustificare certi atteggiamenti e certi comportamenti. Carrie Mathison, infatti, è affetta da disturbo bipolare che comporta “marcati cambiamenti nell’umore, dell’energia e nel funzionamento individuale“. La scelta di caratterizzare il personaggio con una patologia tanto importante è stata voluta espressamente dai dirigenti di Showtime, l’emittente televisiva americana che l’ha trasmessa e gestita, in fase di scrittura, dall’autrice e produttrice Meredith Stiehm, la quale si è ispirata alla sorella.
Naturalmente il fatto che Carrie sia affetta da disturbo bipolare e contemporaneamente sia un’importante ufficiale della CIA è una di quelle licenze televisive che ci si può permettere quando si crea uno show televisivo. Infatti, proprio in merito Homeland, le agenzie di intelligence americane hanno tenuto a precisare che l’equilibrio mentale degli agenti è uno dei requisiti primari per essere accettati all’interno dell’oscuro mondo dei servizi segreti.
Ma che cos’è il disturbo bipolare? È un disturbo mentale grave le cui persone affette presentano stati emotivi estremi e intensi che si verificano in periodi di tempo ben delineati, definiti come episodi di alterazione dell’umore. Questi episodi, che si differenziano dai normali alti bassi della vita di tutti i giorni, possono compromettere le relazioni interpersonali e causare problemi nella vita lavorativa. Il disturbo bipolare può causare sbalzi d’umore drammatici e incontrollati tali da far passare chi ne è affetto dal buon umore euforico alla depressione e tristezza più totale. Gli episodi “alti” vengono definiti di mania mentre quelli “bassi” di depressione.
Ovviamente questo articolo non vuole, non può e non deve occuparsi della malattia di Carrie in maniera professionale, per questo ci sono gli esperti.
L’interpretazione di Claire Danes delle due fasi della malattia è risultata incredibilmente convincente. L’attrice ha detto in un’intervista di avere visionato moltissimi video online caricati sulle piattaforme come Youtube: “c’erano molti filmati di persone che si registravano quando erano in stato maniacale. Probabilmente erano svegli nel cuore della notte, soli e avevano bisogno di parlare. Così hanno parlato alla telecamera“. La verosimiglianza degli episodi maniacali e depressivi, e quindi la bravura di Claire, ha talmente colpito il pubblico che in moltissimi si sono sentiti in dovere di ringraziarla per aver portato all’attenzione una malattia della quale ancora oggi si ha paura di parlare, rendendola di fatto una cosa normale.
Del resto i personaggi con problemi psichiatrici, fino a un certo periodo, sono stati descritti come intrinsecamente imprevedibili, pericolosi e persino violenti e rappresentavano la parte del cattivo o erano comunque ai margini della società, molto spesso incapaci di relazionarsi con gli altri e di avere, dunque una vita cosiddetta normale. Certo, non è che Carrie Mathison abbia una vita comune tra attentati, esplosioni e tentativi di ucciderla. Ma questo, chiaramente, fa parte del suo mestiere e di chi ha ideato Homeland.
Naturalmente ci sono state anche critiche, in particolar modo rivolte alle scene durante le quali Carrie abbandona i medicinali che sembrano offuscarle la mente e impedirle di vedere chiaramente gli indizi utili celati all’interno di una marea di informazioni. Questa situazione è stata vista un po’ come una sorta di superpotere, una sorta di compensazione e di riparazione al danno procurato dalla malattia, anche un po’ stereotipato. In realtà, secondo gli esperti, non è così: non si tratta di un’intuizione sovrannaturale che viene fuori dalla mancanza di assunzione dei farmaci, per altro pericolosa e dannosa, quanto piuttosto un espediente narrativo utile a far proseguire la serie e del resto mai abusato dagli autori, i quali hanno sempre avuto molta attenzione nel parlare della malattia di Carrie.
È proprio Alex Gansa, l’autore di Homeland, a dichiarare in una intervista che la malattia di Carrie Mathison, inizialmente, non doveva avere un’importanza così grande ma nell’utilizzare la sintomatologia a essa correlata per caratterizzare meglio il personaggio, come i disturbi del sonno, l’abuso di alcol, l’ipersessualità, abbia finito con l’obbligare gli autori a una maggiore consapevolezza e attenzione. Del resto fin dalla sua messa in onda nel 2011 Homeland è stata vista come uno dei migliori lavori di rappresentazione della malattia mentale nella televisione moderna tanto da ottenere Voice Award per il suo intrinseco messaggio educativo di inclusione.
Carrie Mathison è la migliore nel suo campo, nonostante i suoi colleghi e i suoi superiori non le credano quasi mai o, peggio, facciano di tutto per ostacolarla. Lungi dall’essere ritratta come una disadattata sociale con poche competenze o senza alcun potenziale, è un’operativa della CIA di alto rango incaricata di reclutare e gestire le risorse. Con l’aiuto del suo mentore di lunga data Saul Berenson (Mandy Patinkin) rischia tutto, compreso il suo benessere personale e la sua sanità mentale, in ogni momento. Questo è ciò che rende il personaggio di Carrie così elettrizzante.
Lavorare alla CIA è probabilmente una delle professioni più stressanti che ci sia eppure la protagonista di Homeland la svolge in maniera egregia: nonostante o forse a causa della sua malattia? Questo dubbio è alimentato da certi aspetti del suo comportamento piuttosto mutevoli come quando rimorchia in un bar o flirta con Saul cercando di baciarlo. Sedurre Brody o Ayam è il risultato di una zelante dedizione al suo lavoro o di una promiscuità dovuta dalla malattia?
Carrie, malgrado tutti cerchino di minarla, è dotata di acuto intuito e una fede incrollabile nelle sue opinioni. Sa che Brody è un terrorista e ha ragione da vendere. Questa fiducia, però, è una convinzione delirante del suo disturbo bipolare o la fede nel suo acume intellettuale? La diffidenza nei confronti di chiunque non la pensi come lei è paranoia operativa o egocentrismo? E l’abbandono della figlia è consapevolezza di essere una pessima madre o un l’impellente bisogno di soddisfare il bisogno di salvare il mondo?
Sono tante le domande che ci possono venire in mente nei riguardi di Carrie Mathison. Ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo pensiero, potrebbe essere il frutto della grande passione che ha nei confronti del suo lavoro oppure il risultato di un qualche corto circuito nella sua testa. Non ci sono risposte certe, si possono solo fare ipotesi. Del resto, nel campo dello spionaggio come in quello psichiatrico, le certezze sono ben poche: si vive in una giungla, spesso nell’oscurità, con scarse informazioni e colleghi inaffidabili.