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Dovete assolutamente recuperare House of Cards, una Serie Tv da riscoprire oggi a dieci anni dall’uscita

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Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di House of Cards

Quando tantissimi di noi ancora non sapevano nemmeno cosa fosse Netflix, né come si utilizzasse, House of Cards faceva la sua prima apparizione sulla piattaforma. Come in tutto quello che fa, in anticipo sui tempi, sbalordisce in sordina, in maniera sinuosa e seducente, arrivando alla fine a fare il botto. House of Cards è una delle prime serie tv commissionate appositamente per la piattaforma di streaming Netflix, nel 2013 ancora in ascesa, quasi neonata. Senza quasi rendersene conto House of Cards diventa un apripista, un cult senza il quale molti dei prodotti che conosciamo così bene oggi, non sarebbero nemmeno mai esistiti. Ma quei pochi che non avevano avuto modo di vederla nel 2013, e di seguirne quindi lo sviluppo in contemporanea con la sua nascita, possono finalmente recuperarla oggi, nel 2024, sempre su Netflix. Sì, perché House of Cards è tornata a casa, su quella piattaforma che non solo le ha dato uno spazio ma che ha sfruttato la sua magnificenza per progredire. Ma ha senso vedere, dieci anni dopo, House of Cards? Ha ancora qualcosa da dare? La risposta è certamente sì. House of Cards è una di quelle serie che riesce ad abbattere il muro del tempo, risultare sempre attuale e, soprattutto, intrigante. Vediamo perché.

Partiamo dall’inizio: House of Cards è basata sul romanzo omonimo di Michael Dobbs ed è anche un adattamento di una serie britannica del 1990, che porta lo stesso nome e che racconta le vicende della politica britannica alla fine degli anni Novanta. Negli Stati Uniti, con la trasposizione ad opera di Beau Willimon, vediamo la stessa narrazione politica, ambientata però alla Casa Bianca. House of Cards parla di politica ma parla soprattutto di intrighi politici e di sotterfugi di dubbia moralità; parla di sesso e di potere, di dipendenze e di alleanze. House of Cards è un abilissimo gioco di equilibri tra tutte queste cose e ha come punto cardine Frank Underwood, il deputato al Congresso interpretato magistralmente da Kevin Spacey. È abbastanza chiaro che, anche solo partendo da questa piccola sintesi, si intuisca come House of Cards abbia posto le basi narrative per tantissime serie tv che oggi si rifanno allo stesso tipo di storia e soprattutto alla stessa struttura. La serie, infatti, non è solo maestra longeva, ma è più che altro insegnante severa di alcune istanze narrative che tutti (o moltissimi) riprenderanno a partire dal 2013. I colpi di scena, la narrazione thriller, la sottile ironia e gli intrighi sono diventati parte della narrazione seriale contemporanea anche grazie a House of Cards.

House of Cards

Fin dalla sua nascita, cambia per sempre il panorama delle serie tv andando a mescolare generi e creando un nuovo star system che comprendesse, nei prodotti televisivi, anche star del cinema del calibro di Kevin Spacey. Prima di lei, questo tipo di meccanismo non era affatto scontato: infatti, serie apripista come Lost non erano riuscite a mettere in atto questo cambiamento, nonostante il loro ruolo fondamentale nella storia della serialità. House of Cards, invece, sfida le leggi del cinema e anche le leggi della televisione, facendo incontrare per la prima volta due mondi apparentemente molto differenti. Ma se oggi non ci scomponiamo affatto se una star del cinema mondiale prende parte ad un progetto televisivo, dobbiamo tutto a Beau Willimon e a Kevin Spacey stesso. House of Cards ha messo in gioco il cinema in un contenitore apparentemente molto diverso, quello della televisione, e con la sua acutezza e la sua severità è riuscita a creare un nuovo immaginario collettivo proprio sulla serialità; è anche grazie ad House of Cards se lo scenario televisivo ha potuto acquisire credibilità in un mondo molto cinematografico e poco incline al cambiamento.

A vederla oggi può sembrare una serie come tante, abituati come siamo al tipo di narrazione che porta avanti, e anche se non sembra mai omologarsi a nulla, in realtà si comprende facilmente come abbia inquadrato la strada giusta per tutto ciò che è venuto dopo di lei. Per andare nello specifico: è una delle prime serie che sfrutta i cliffhanger e i colpi di scena per andare a creare quell’effetto suspence che tiene incollato lo spettatore non solo allo schermo ma all’idea in generale della visione della serie, sviluppa in poche parole quello che oggi chiameremmo il binge watching;  rompe la quarta parete, coinvolgendo per le prime volte il pubblico stesso, facendolo diventare parte della narrazione e facendogli prendere parte in prima persona alle stesse azioni di Frank Underwood, che ironizza col pubblico, quasi prendendosene gioco e rendendolo suo complice; delinea una storia intrigata e intrecciata, complessa e ingarbugliata che però non perde mai il filo e rimane sempre coerente con se stessa. House of Cards è, senza dubbio, la serie madre di un tipo di serialità che non solo prenderà piede subito dopo di lei ma che si affermerà come genere di culto.

House of Cards

Da poco le avventure personali e politiche di Frank Underwwod e di sua moglie Claire, sono state reintrodotte su Netflix, a dimostrazione di come anche un prodotto del 2013, se ben scritto e ben congeniato, possa avere successo anche dieci anni dopo il suo esordio. House of Cards non ha un’arma vincente quanto, piuttosto, un complesso arsenale a disposizione da cui trarre idee vincenti e ben strutturate. Kevin Spacey, il traghettatore dell’intera storia, è sicuramente il perno attorno cui gira tutto, il suo mondo e quello degli altri. La sua magistrale interpretazione di Frank Underwood fa scuola, in termini di intensità, di credibilità e di sofisticatezza. E come lui, come fosse appunto il maestro, tutti quelli che non sono per forza protagonisti. Non a caso da House of Cards sono usciti tanti di quelli che oggi sono volti molto noti della serialità televisiva e non solo, come Kate Mara, Mahershala Ali, Rachel Brosnahan, James Simpson. Il mix vincente tra cinema e televisione cambia non solo il modo di vedere la televisione ma anche il modo di concepire il lavoro dell’attore, che si mette in gioco in un ambiente potenzialmente non congeniale. House of Cards mischia le carte e manda all’aria ogni regola scritta.

Parlare oggi di House of Cards, e soprattutto recuperarla, ha moltissimo senso perché è come parlare della storia della serialità, di ciò che ha fatto sì che la serialità televisiva potesse esistere e possa avere un suo spazio.

È un prodotto che appare incredibilmente attuale, se non nei contenuti, nel gioco di riprese e di scrittura narrativa ineccepibile e coerente con sé stessa; è una serie che riesce nell’intento di essere al passo coi tempi anche quando non lo è davvero: si prefigura come insegnante di qualcosa che non vuole insegnare (o che non vorrebbe). House of Cards va recuperata, anche dieci anni dopo, perché nonostante il finale troppo poco in linea col resto delle stagioni (causa le note vicende private di Kevin Spacey), può e deve insegnarci a guardare, nel vero senso della parola. In un mondo ricolmo di prodotti che spesso ci portano a guardarli con poca attenzione, con frenesia e troppa superficialità, House of Cards può riportarci sulla retta via, sulla via della conoscenza vera di un prodotto, di una storia, di una narrazione fatta come si deve. E anche chi potrebbe essere, inizialmente, più scettico sarà costretto a ricredersi, a dover ammettere che anche con la politica si può fare qualcosa di interessante al di là dei gusti personali. Perché laddove c’è la qualità, non c’è attrazione che tenga. House of Cards sopravvive e sopravviverà.