Nel 2013, Netflix ha mostrato per la prima volta al mondo intero di cosa fosse capace. Ha partorito un prodotto seriale con i fiocchi, interamente autofinanziato e adornato con personalità artistiche esemplari, quali: Kevin Spacey e Robin Wright; inoltre i primi due episodi della Serie sono stati girati da un certo David Fincher (Seven, Fight Club, ecc.), non so se mi spiego. Stiamo parlando ovviamente di House of Cards.
Un incipit pazzesco: Frank Underwood (Kevin Spacey) ha contribuito considerevolmente all’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, Garrett Walker. In qualità di capogruppo di maggioranza al Congresso del Partito Democratico, ha appoggiato la campagna del proprio candidato, ricevendo in cambio la promessa della nomina a Segretario di Stato (very important) nella nuova amministrazione. Tutto ciò però viene meno e Frank decide di vendicarsi puntando a scalare, passo dopo passo, i vertici della politica di Washington fino alla Casa Bianca. Doppio gioco, inganni e addirittura omicidi corredano il tentativo di scalata di Frank, che, appoggiato dalla moglie Claire (Robin Wright) e da pochi amici fidati, farà tutto ciò che è necessario per compiere l’impresa.
Detta così può sembrare trash, ok, ma vi assicuro che la Serie è ottima: soluzioni narrative geniali, situazioni avvincenti e intrighi politici magnificamente gestiti.
Tutto questo però è perfetto solo nella prima stagione.
Ho utilizzato la parola “perfetto” non casualmente: il format che House of Cards presenta nel suo primo capitolo è realizzato perfettamente, e resta ineguagliato. Nelle altre stagioni utilizza lo stesso format, che però attecchisce meno agli intrecci delle trame e talvolta si trasforma in qualcos’altro che resta indefinito. Non fraintendetemi, l’adoro e considero le stagioni due, tre e quattro di un livello irraggiungibile per altre Serie (la terza… più o meno, eh!), ma la progressiva perdita di qualità è evidente.
Sembra che ad un certo punto la Serie abbia perso il focus, si sia confusa e non abbia più saputo ritrovare la lucidità necessaria prima per scorgere il cammino, e poi per percorrerlo.
Il finale della seconda stagione
Vorrei chiarire immediatamente una cosa: il titolo dell’articolo può trarre in inganno, me ne rendo conto. Quello che tra poco cercherò di sostenere non è che dopo la messa in onda della seconda stagione House of Cards dovesse prendere Emmy e Golden Globe vari e chiudere i battenti, ma che il finale della suddetta stagione (spoiler: Frank che batte le nocche, suo tipico gesto, sulla scrivania della Sala Ovale) fosse il series finale perfetto per questa splendida Serie. Riorganizzando il pensiero: se dopo la visione della strepitosa prima stagione avessi potuto scegliere il finale ideale per concludere tutta la vicenda, avrei senza dubbio scelto questo.
Non mi aspettavo, guardando la Serie, che questo accadesse così presto. Le cose da raccontare erano ancora molte, ma avrei potuto tollerare una terza stagione conclusiva che chiudesse il cerchio, anziché allargarlo. Ho sperato con tutto il cuore che la terza fosse l’ultima, ancor prima di vederla. Perché già allora, dopo il finale della seconda, mi chiesi: cosa ci può raccontare adesso? Pensai che avrebbe trattato di “tutto il resto”. Ma l’altro resto? La vendetta è compiuta (spoileraccio), che facciamo?
Si potevano analizzare tutte le vicende secondarie, raccontando comunque una storia omogenea, che parla di un bastardo che, passando sopra tutto e tutti, cerca di raggiungere il suo scopo e alla fine ci riesce, punto.
Hunt or be hunted, è così semplice?
Si può essere concordi sul fatto che le sottotrame presentate dalla Serie siano estremamente interessanti e trattate in modo serio e intelligente. Tuttavia, nell’ottica del ragionamento qui esposto, queste non avrebbero dovuto in alcun modo alterare l’esito della trama principale: vedere compiuta la vendetta di Frank. Sarebbe stato interessante vedere questo risultato alla fine di tutte le singole vicende raccontate, per fare alcuni esempi: il sempre più corroso rapporto con la moglie; la vicenda Zoe Barnes; la vicenda Doug-Rachel; i vari tradimenti subiti o inferti. Passare attraverso tutto questo, ma raggiungere ugualmente lo scopo.
Qualcuno potrebbe chiedersi dove sia la morale della storia, di fronte a quale dubbio ci pone in questo caso House of Cards. Beh, provate a pensare questo: siete disposti a tradire e a perdere coloro che amate, a mentire, a servirvi di mezzi e persone come se non valessero nulla, addirittura a uccidere per compiere il vostro scopo? Il fine giustifica sempre i mezzi?
House of Cards aveva inizialmente posto le basi per questa splendida riflessione filosofica. Se fosse finita con il finale della seconda stagione avremmo potuto pensarci, dopo la visione. Una sorta di “metaserie” televisiva. Il fatto è che poi ci viene tirata addosso talmente tanta roba da averci fatto distrarre dalla riflessione stessa.
Non più brodo, ma acqua e dado
Molte cose raccontate nelle stagioni tre e quattro sono sembrate fin troppo diluite, oltre all’infinito tira e molla per delle elezioni che non arrivano mai. Ho totalmente detestato alcuni personaggi presenti dalla terza stagione in poi: la giornalista Kate Baldwin e il romanziere Thomas Yates su tutti, storylines veramente inutili. Provate a eliminarle dalla Serie e non cambierebbe nulla. Inoltre non ho apprezzato la deriva di altri come Jackie Sharp e Remy Danton, che dire snaturati è dire poco. Guarda caso, due coppie! Se non li avessero fatti accoppiare probabilmente li avrebbero eliminati molto prima. Qui non si tratta di allungare il brodo, non c’è più brodo, ma acqua e dado. Le paturnie di Doug poi? Troppe e troppo lunghe, ma risolte benissimo.
Bisogna comunque ammettere che la maggior parte delle vicende sono raccontate bene (la risoluzione della backstory su Rachel Posner? Stupenda!), a partire dalle trame principali.
Non so se sia trattato di una consapevole scelta narrativa, ma qualcuno ha notato come, con l’andare avanti delle stagioni, le vicende raccontino di problemi sempre più grandi (stagione due: questione diplomatica con la Cina, stagione tre: questioni militari con la Russia, stagione quattro: terrorismo islamico), allontanandosi dai corridoi dei palazzi washingtoniani, così come Frank si allontana progressivamente dallo spettatore con il sempre meno frequente abbattimento della quarta parete?
Una soluzione narrativa che personalmente ho adorato alla follia nella prima stagione, rendeva tutto più originale e quando Frank si rivolgeva agli spettatori anticipando ciò che sarebbe successo di lì a poco, mi gasava da morire. Era un tratto distintivo della Serie, peccato che poi si sia perso nei meandri delle backstories infinite.
Prima “bad“, poi “good“: da che parte dobbiamo stare?
Ammettiamolo, in tutte le Serie Tv, e a volte anche al cinema, si creano degli schieramenti (Captain America: Civil War docet -#TeamCaptAmRules!-). C’è chi vuole che Jon Snow conquisti i Sette Regni, chi vuole che lo faccia Daenerys, chi vuole che si sposino! (incesto? spoiler alert…) e poi c’è chi vuole… no, Cersei non la tifa nessuno, dai.
House of Cards ti mette da subito di fronte un personaggio per il quale è impossibile non parteggiare: alla fine della prima stagione vorresti essere come Frank, avendo anche Robin Wright a fianco; vorresti un consigliere come Doug, che fa tutto quello che dici e ti aiuta nei tuoi piani diabolici per la conquista del mondo, senza chiedere spiegazioni; vuoi avere il potere ed essere abbastanza furbo e intelligente per mantenerlo. La tua parte “bad” coincide con quella di Frank, tifi per lui perché la Serie ti coinvolge nel farlo.
Successivamente, anche per il discorso della quarta parete che facevamo poc’anzi, il lato oscuro dello spettatore sembra schiarirsi (più per noia in certi momenti) diventando quasi del tutto “good”. La Serie non coinvolge più come prima, Frank si allontana sempre di più e la sua anima coincide progressivamente meno con quella dello spettatore.
In certi episodi, si arriva perfino a detestare Frank per alcune sue azioni e per alcuni suoi comportamenti.
Guardando il lato “good” della cosa, una possibile osservazione sarebbe: tutto quanto è perfettamente studiato per giocare con i sentimenti che gli spettatori possono provare per determinati personaggi della Serie. Ciò non mi stupirebbe, basti pensare a coloro che lavorano per questo prodotto. Talmente bravi che riescono a farti prima amare, poi odiare e poi di nuovo amare un personaggio, senza farti dimenticare questa alternanza. Come se fosse una reale esperienza con una persona.
Guardando il lato “bad”, mi viene in mente solo una domanda: bravi eh, ma era veramente necessario? Cioè, questo meccanismo lo trovo straordinario, ma funziona per 5 o più stagioni? (Sì, sono due domande). Il rischio di perdere l’interesse del pubblico, cosa che si è verificata, è altissimo. Se pensano che siano molti quelli che continuano a vedere le Serie per inerzia, anche dopo essersi addormentati più volte, guardando un episodio da 50 minuti in tre giorni, si sbagliano di grosso.
Qualche passo indietro, poi sempre avanti per inerzia
Ho paura, ho tanta paura che il tempo possa rovinare questa Serie. Devo ammettere che nonostante la ritenga una delle mie Serie preferite, sto portando avanti la visione più per inerzia che per altro. Voglio vedere la fine di questa storia. Sto soffrendo. House of Cards merita un grande finale. Siamo in attesa di una quinta stagione (di cui vi anticipiamo alcune info) ormai alle porte, ma che non sembra presentarsi come epilogo.
L’ho già detto che ho paura?
Ancora una volta mi viene da pensare che tutto poteva essere riorganizzato, in un massimo di 3/4 stagioni, senza snaturare troppo la Serie e i personaggi, per farlo poi confluire nella stramaledetta vendetta di Frank. Lui vince comunque, poi ci saranno coloro che ne saranno contenti e coloro che lo odieranno, ma andrebbe bene così. Non si deve per forza accontentare tutti, anche perché, conoscendo il mondo delle Serie, qualsiasi finale è sbagliato.
Amanti di House of Cards, che dite? Se tutto fosse stato compiuto in 3 o 4 stagioni, il finale della seconda stagione sarebbe stato il migliore possibile, oppure no?