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House of the Dragon 2 – Non bisogna combattere per forza per vincere

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Il seguente articolo contiene grossi SPOILER su House of the Dragon e Game of Thrones.

House of the Dragon e Game of Thrones, da un punto di vista strutturale, hanno tantissime differenze. Per quanto si parli della stessa pasta, o meglio, dello stesso sangue, lo strato superficiale non deve trarre in inganno. Perché facciamo questo discorso? Perché una valutazione comune sulla seconda stagione House of the Dragon (di cui trovate qui la recensione) riscontra una certa lentezza. Una flemma a quanto pare inaspettata che avrebbe compromesso la riuscita qualitativa del secondo capitolo dello spin-off sulla caduta dei Targaryen. Non si tratta di aspre critiche, quanto più di aspettative non rispettate.

Aspettative che però lasciano il tempo che trovano. La stessa Game of Thrones, e tra poco arriviamo alle diversità strutturali, non ci ha mai abituato a un clima perennemente teso. Lo aveva fatto invece proprio House of the Dragon, in una prima stagione fenomenale. Stagione che, è bene ricordare, fungeva da anticipazione a qualcosa di molto più grande.

La prima stagione ha creato un precedente e delle conseguenti aspettative che per ovvi motivi non potevano essere rispettate

Re Viserys poco dopo la sua incoronazione

Con il primo capitolo di House of the Dragon le abitudini degli spettatori sono cambiate parecchio rispetto a Game of Thrones. La storia si sviluppa su un arco narrativo di circa vent’anni, ben 190 anni prima rispetto agli eventi della serie principale. In 10 episodi, dunque, vengono concentrate le vicende di due decadi. Da un lato lo sviluppo dei personaggi appare molto più frenetico rispetto a quanto visto in Game of Thrones, ma questo tipo di approccio narrativo preclude anche altre caratteristiche della serie principale. House of the Dragon, infatti, ha sempre avuto un tono ancora più drammatico rispetto alla serie madre, o meglio, molto meno disteso. Vista la “frenesia” della prima stagione, c’era molto meno spazio per raccontare la quotidianità dei singoli. Tutto ciò ha funzionato alla grande, regalando ai fan una stagione coerente e ben strutturata in termini di suspense. 

Questo porta a una sorta di contraddizione con ciò di cui parliamo oggi nello specifico, ovvero dell’aspetto bellico, dell’azione pura, quella che mantiene incollati allo schermo. Gli eventi narrati nella prima stagione di House of the Dragon, eccetto che per il finale di stagione, sono tutti ambientati in un’epoca florida per Westeros. I Sette Regni erano in pace, eccetto che per le minacce esterne, ma il pubblico non ha avuto modo di lamentarsi di tale assenza proprio perché l’approccio narrativo andava a scongiurarne il bisogno.

Nonostante ciò, tutti sapevano a che cosa si andava incontro, la Danza dei Draghi non è mai stata un segreto. Ed è proprio per questo che i fan hanno covato per tanto tempo l’interesse rispetto alla guerra fratricida tra i Targaryen. Eppure la seconda stagione di House of the Dragon, per certi versi, non ha rispettato queste aspettative. Il punto è: si tratta per forza di un difetto? Assolutamente no.

Paradossalmente, la seconda stagione di House of the Dragon ha segnato un “ritorno alle origini”, puntando su una narrazione lineare

Rhaenyra in una scena della seconda stagione di House of the Dragon

Non siamo qui a sindacare sul se e sul quanto ce ne fosse bisogno, ma le scelte di scrittura hanno portato comunque i loro frutti. Innanzitutto, questo secondo capitolo ci ha dato la possibilità di approfondire in modo concreto la psicologia di tantissimi personaggi. Daemon su tutti ha vissuto una storia praticamente a parte. Per l’intera stagione è stato dislocato per il bene del regno (e del suo matrimonio), vivendo in solitaria nelle terre di Harrenal. Dalla sua spedizione in cerca di alleati è nato un vero e proprio viaggio spirituale che ha catapultato Daemon in una dimensione totalmente diversa da quella cui ci aveva abituato. In tutti i sensi. Il fratello di Viserys ha sempre avuto il ruolo del lupo solitario, dell’anima in pena che vaga per Westeros in cerca di risposte. E questa seconda stagione di House of the Dragon, finalmente, ha colmato il suo vuoto.

Daemon è solo un esempio. Perché come per lui, questa nuova distensione temporale ha dato nuova linfa a tanti altri, Rhaenyra compresa. La figlia di Viserys ha compiuto il passo decisivo verso il trono e ora è molto più preparata sia al conflitto che alla possibilità di governare. Insomma, l’azione disperatamente attesa ha lasciato ampio spazio al racconto e all’intensità emotiva. Basti pensare al sacrificio di Rhaenys, o agli incontri segreti tra Rhaenyra e Allicent. Tutti elementi che nella prima stagione erano mancati, per via della necessità di fondo di cui abbiamo parlato. Sicuramente da questo punto di vista Viserys ha giocato un ruolo fondamentale nel primo capitolo. Mentre tutti vivevano la propria vita, crescevano, sbagliavano e imparavano, Re Viserys era quasi immobile, una costante fonte di saggezza e profondità. Non per altro, la sua morte ha segnato l’inizio del caos.

La parziale assenza di azione ha cambiato la percezione generale dei fan, ma il risultato è stato coerente dal primo all’ultimo episodio

Rhaenys a bordo del suo drago

Non stiamo affermando che la seconda stagione di House of the Dragon sia stata impeccabile, anzi. Aemond su tutti ha avuto più volte la possibilità di consacrarsi come uno dei maggiori villain dell’intero universo di Game of Thrones. La distruzione di Punta Acuminata avrebbe aiutato, in questo senso. Il punto è che, guardando il risultato finale da una prospettiva che accetta in qualche modo la scelta di non basare tutto sul ferro e sul fuoco, si ha la percezione di una stagione molto importante e ricca di sfaccettature. Detto ciò è anche giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, visto che lo scontro tra Aemond, Aegon II e Rhaenys è stato a dir poco eccezionale.

Questa stagione di House of the Dragon non avrà rispettato le aspettative di una parte dei fan per quanto concerne il discorso battaglie sanguinarie, ma ha saputo dimostrare che queste non sono tutto. Lo spin-off di Game of Thrones è riuscito a trovare un’intensità narrativa e psicologica che nel primo capitolo si era vista a tratti. O meglio, che nel marasma generale degli eventi tendeva a perdersi. La Danza dei Draghi è già cominciata, e ora che gli schieramenti sono delineati la guerra più sanguinaria di tutte è alle porte. Certo, toccherà aspettare del tempo prima di vedere il sangue, ma per un conflitto così leggendario una preparazione lenta e ricca di nuovi dettagli non fa altro che alimentare la suspense.