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House of the Dragon 2×05 – Le ceneri della vittoria

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su House of the Dragon 2×05.

Alba. Il mattino risorge faticosamente dalle ceneri di una battaglia spietata, segnando l’inizio di una nuova era. L’era del terrore e dell’irrazionalità, della brutalità e degli inevitabili orrori della guerra. Un uomo appena rimasto vedovo, privato dell’amore della vita, si trascina appena verso un trono ormai spogliato d’ogni gloria: i giorni migliori sono alle spalle, resta solo il senso del dovere. Alba, su Westeros. Dopo il conflitto che ha dato vita alla Danza dei Draghi, è il momento del riposizionamento delle pedine chiave. Vincitori e vinti riordinano le idee, in attesa del prossimo appuntamento. Ma davvero ci sono vincitori o vinti? No, la guerra non fa altro che prigionieri: la differenza è tutta nella narrazione degli eventi secondo prospettive contrapposte, più che nella sostanza dei fatti.

House of the Dragon 2×05 tira così il fiato, si ferma, estende le posizioni e allarga le visioni: la guerra è iniziata, mentre Verdi e Neri cercano di capire dove si andrà da qui.

Una puntata (disponibile su Sky e Now) in cui l’azione lascia spazio alla riflessione, ai personaggi e ai rispettivi destini. Con una domanda chiave che aleggia intorno all’intero episodio: dov’è la vittoria?

House of the Dragon 2×05 – La vittoria di Pirro

“È davvero una vittoria?”. Così Gwayne Hightower pungola Criston Cole mentre sfilano trionfalmente tra le strade di Approdo del Re. La prospettiva non potrà mai essere unitaria: se da un lato i Verdi hanno mostrato uno strapotere militare al momento insostenibile per i Neri e hanno portato a casa, oltre alla morte di Rhaenys e alla distruzione del drago più temibile tra le fila nemiche, una percezione consolidata di egemonia sul campo, dall’altra devono fare i conti con l’altissimo prezzo pagato. Novecento caduti tra i soldati, un drago messo fuori gioco per chissà quanto e un re in fin di vita.

È davvero una vittoria? Sarà la storia a emettere una sentenza dal responso già palese.

Si domanda altrettanto Helaena, mentre formula una domanda dai risvolti molteplici: “Ne è davvero valsa la pena?“, chiede a Aemond, l’unico potenziale vincitore della battaglia, mentre il nuovo reggente osserva il Trono di Spade con la consapevolezza di averlo fatto suo. La prospettiva di Helaena è unica e irripetibile, nello scenario attuale: come aveva già mostrato a più riprese nel corso delle puntate precedenti, la sua è una figura che accoglie lo spirito profetico dei Targaryen senza legarlo al senso del dovere, con una profonda avversione alle dinamiche del potere. Lei sembra sapere benissimo cosa abbia fatto Aemond, e perché l’abbia fatto. Riconosce in lui la cieca ambizione e la sfrenata voglia di rivalsa, riflessa nell’odio radicato per il fratello primogenito.

Secondo il suo approccio, il Trono di Spade non è un privilegio reale: è una condanna all’infelicità. Una condanna che l’aveva portata a immaginare un futuro diverso per suo figlio, erede al trono, e l’aveva poi spinta a consegnare lo stesso nelle mani di un boia pronto a decapitarlo. Non esiste vittoria, nel cuore di Helaena: il suo destino è ormai segnato, così come sente sia segnato quello di suo fratello.

La vittoria sul campo di Aemond è associabile, sempre più direttamente, alla presa di Harrenhal da parte di Daemon: una vittoria altisonante, con un prezzo troppo alto da pagare. La conquista di un obiettivo chiave della geopolitica di Westeros è una mesta caduta verso gli inferi: Daemon ha avuto in dono dalla sua iniziativa un vecchio rudere ormai a pezzi, in cambio della propria anima. Un’anima fatta a pezzi ogni volta che il sole sparisce nell’orizzonte e si fa largo una lunga notte di incubi terribili e presagi inquietanti. Ne è davvero valsa la pena? La risposta non potrà mai essere affermativa.

House of the Dragon 2×05 – La guerra personale di Aemond e Daemon

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A proposito di Daemon ed Aemond, House of the Dragon 2×05 ha riproposto ancora una volta uno dei temi portanti della stagione: in un gioco speculare di riflessi che caratterizzano le interazioni indirette tra le due fazioni, i due Targaryen si ritrovano a condividere una parabola che prima o poi arriverà sul campo di battaglia. Avevamo già evidenziato questo dualismo all’interno della recensione di una settimana fa, mentre il quinto episodio enfatizza i personalismi di personaggi che sfuggono alle dinamiche della guerra globale in nome di loro stessi.

  • Aemond si ritrova ad accarezzare il Trono di Spade, dopo averlo conquistato con un tentativo manifesto di regicidio (nonché di fratricidio): la sua è una presa del potere subdola, ma anche plateale. Al punto da esibire in bella vista una delle conquiste principali della battaglia: la famigerata daga in acciaio di Valyria, fin lì appartenuta a Aegon. Aemond combatte così una guerra personale, in nome del proprio riscatto: la sua è un’azione indipendente che trae beneficio dalla comunione d’intenti coi Verdi. Lotta, primariamente, per cambiare le sorti di un destino che l’aveva relegato a un ingeneroso ruolo da subalterno. E lo fa mettendo in secondo piano tutto il resto.

La sua ascesa ha palesato, fin da subito, una maggiore adeguatezza agli oneri di un re.

Il suo è un atteggiamento istintivo e impulsivo, caratterizzato tuttavia da un contraltare in cui le sue abilità strategiche emergono con grande forza da ogni punto di vista. Abbina allo strapotere del guerriero un’arguzia assente nel fratello, riflessa nella sua decisione istantanea di rimuovere i corpi degli ammazza-topi, fatti impiccare ed esporre dal fratello con insolente miopia. Aemond dimostra così di essere un vero Targaryen e di aver assimilato, allo stesso tempo, alcune delle dinamiche gestionali degli Hightower, facendone un buon candidato al ruolo: il suo istinto, però, avrà sempre la meglio sulla ragione.

Così come Aemond combatte una guerra tutta sua, altrettanto fa Daemon: i due si rifugiano nella guerra per scappare da loro stessi, trovando nella forza brutale un timido palliativo per alleviare uno spirito a pezzi.

  • Daemon vive così l’ennesimo capitolo dell’incubo di Harrenhal: ormai soggiogato dai poteri di Alys e dalle forze primordiali che aleggiano da quelle parti, il Targaryen si ritrova a scoprire un’altra parte di sé che avrebbe suscitato l’interesse profondo di Freud. Dopo aver incarnato coi sogni il senso più profondo dei concetti di Eros e Thanatos, onnipresenti nella natura tossica della sua relazione con Rhaenyra, emerge stavolta un complesso edipico da manuale. Daemon si ritrova a evocare lo spettro di un rapporto sessuale con la madre, funzionale all’esposizione di un impulso deviante legato all’amore e al sesso. Ma non solo: rispecchia, soprattutto, la necessità di strappare al destino la possibilità di essere un vero re, non un secondogenito. Cerca allora i “favori” di una madre che l’aveva sempre preferito al fratello maggiore, suscitando in lui una nuova consapevolezza che si rifletterà sul campo di battaglia e nella rivendicazione di un ruolo egemone.

House of the Dragon 2×05 – La guerra del patriarcato

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Un altro dei temi portanti di House of the Dragon 2×05 ci riconduce a un altro aspetto già esplorato nelle recensioni precedenti: le figure femminili di potere soffrono infatti le spinte patriarcali della società, finendo per essere svilite anche quando ricoprono ruoli di primissimo piano.

  • Ne sa qualcosa Alicent, la cui autorità viene disconosciuta dal Concilio Ristretto in favore di Aemond. Una scelta unitaria, dettata dalle esigenze della guerra. L’azione e l’impeto hanno preso il posto della razionalità, trovando in Aemond un perfetto interprete: la forza, allora, “diviene l’unico dio”. Se da un lato lei aveva dimostrato spiccate abilità gestionali nei tempi di pace in cui dovette sostituire l’infermo re Viserys, dall’altra si preferisce suo figlio, perfettamente inserito nelle dinamiche di guerra, alle sue notevoli capacità politiche. Alicent, d’altronde, è la degna figlia di suo padre, e sa individuare i rischi di una scelta del genere: dopo aver riconosciuto l’errore commesso nel momento in cui ha favorito l’ascesa del suo primogenito, ritrova nel secondogenito un pericolo incombente. La spinta tirannica della sua azione, certificata da una spudorata tendenza all’esposizione della sua forza, ne fa una bomba a orologeria destinata a esplodere.

Parallelamente, Rhaenyra deve affrontare un problema simile.

  • Gli impulsi patriarcali del suo Concilio, gli stessi che avevano impedito a Rhaenys di diventare regina, si ripresentano ancora una volta nel momento in cui viene messa in discussione la sua figura. Una figura ritenuta inadeguata ai tempi di guerra, pur essendo dotata di grande forza potenziale sul campo. Rhaenyra ha fatto tutto il possibile per evitare l’esplosione del conflitto, anche con atti estremamente rischiosi, ma è ora determinata a combinare la forza con la ragione. Una forza che dovrà fare i conti con l’attuale subalternità sul campo e con una mancanza di esperienza dettata, a sua volta, da una formazione inefficace per scenari del genere. In lei, però si trova una figura capace di dialogare e di farsi assistere al meglio dai propri collaboratori.

In tal senso, assume una centralità crescente Mysaria, sempre più vicina alla regina. Mysaria sa individuare le problematiche e sa trovare delle soluzioni creative, esercitando un’influenza che le permetterà di combattere andando oltre la sola forza dei draghi e delle alleanze che si stanno definendo. In tal senso, si dischiude un elemento di analisi intrigante che segnerà a fondo i prossimi episodi: il ruolo del popolo nella Danza dei Draghi.

House of the Dragon 2×05 – Le mille strade di una guerra: la funzione sacra dei draghi e il popolo come strumento di potere

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L’avevamo già evidenziato qualche settimana fa: la verticalità della guerra porta a perdere di vista la base. Ma il popolo ha e avrà una funzione decisiva nel corso della Danza dei Draghi. Mysaria lo sa, e adotta un approccio che sembra essere del tutto assente nella fazione dei Verdi dopo l’allontanamento di Otto: il consenso popolare è fondamentale per gestire al meglio un regno. Mysaria si infila allora tra le pieghe lasciate dai primi conflitti attraverso un sapiente utilizzo dei “media” e dell’informazione, cercando di spostare definitivamente i favori dei sudditi. Il popolo è dimenticato e affamato, oltre che spaventato dall’atteggiamento degli attuali governanti. Molti preferirebbero Rhaenyra a Aegon, pur senza conoscere le reali condizioni dell’attuale re: fondamentale, in tal senso, “l’occultamento” della sua caduta nell’ultima battaglia, in modo da salvaguardare una percezione rassicurante di forza che si combina con una componente divina e del diritto derivante.

  • In questa situazione, la parata trionfale che ha portato il cadavere del drago Meleys tra le vie della capitale è un errore strategico grave. I Targaryen fondano gran parte della loro forza su una presunta matrice divina, molto connessa ai draghi. Deridere (e non onorare) uno di essi, seppure sia “parte” della fazione nemica, “umanizza” la figura dei Targaryen agli occhi del popolo, creando un pericoloso corto circuito. “Tutti dicono che i Targaryen sono più vicini agli dei che agli uomini, ma lo dicono per via dei nostri draghi. Senza di loro, siamo come tutti gli altri”, disse Rhaenyra nel corso della prima stagione. Ma cosa succede se un presunto “dio” uccide un drago, ritenuto un essere pressoché divino, e lo mostra con un atteggiamento derisorio? Il popolo lo vivrà come un atto blasfemo, scatenando oltretutto superstizioni che possono far crollare la fiducia nei confronti del regnanti.

I Verdi, qui guidati con ogni probabilità dall’inadeguatezza di un Primo Cavaliere come Criston Cole, mostrano un totale scollamento dalla realtà popolare e suscitano così un’estrema sfiducia da parte dei sudditi, pronti per questo ad allontanarsi dalle fragili mura della capitale.

  • Oltretutto, riemerge ancora una volta il ruolo di una storia “dimenticata” dai Verdi, ignorata e calpestata in nome di un presente eterno. L’orrore non ha memoria, perde le radici e ribalta le prospettive, salvo poi presentare il conto al momento opportuno. La strategia dei Verdi va in questa direzione, ma le esigenze del presente finiranno per condizionare anche le prossime mosse della fazione favorevole a Rhaenyra, custode della profezia di Aegon il Conquistatore. Anche per questo motivo, è interessante la proposta del figlio Jacaerys. Il giovane erede, uno che conosce molto bene la storia di Westeros e della propria famiglia, valuta comunque la possibilità di adottare un approccio più pragmatico e meno vincolato agli assiomi legati al proprio sangue, in nome di una guerra da vincere con ogni mezzo.

L’evento che chiude House of the Dragon 2×05 ha un’importanza che solo i prossimi episodi faranno cogliere sul serio. Su consiglio del figlio, infatti, Rhaenyra decide di dare la possibilità ai cosiddetti “semi di drago” – i figli illegittimi dei Targaryen – e a membri di casate cadette di cavalcare i numerosi draghi a disposizione dei Neri. Una scelta che potrebbe cambiare le sorti della guerra, ma che finirà per svilire definitivamente la figura “divina” della famiglia regnante, appiattendo le leggende su un piano sempre più umano e per questo meno potente.

Basta una singola frase, pronunciata da uno dei semi di drago in questione, per capirlo. Hugh, infatti, si riferisce alla scomparsa del drago Meleys con un’espressione sacrilega: “È solo carne”.

È solo una frase, ma in realtà è molto di più: la distruzione dei Targaryen non è passata solo attraverso le conseguenze devastati della guerra, ma anche attraverso la distruzione della propria storia. La dileggiante blasfemia in un contesto del genere, rappresentata anche dai disonorevoli atti commessi nelle sacre Terre dei Fiumi da Daemon e Criston Cole, è un fattore chiave della Danza dei Draghi che si ripresenterà poi in diversi passaggi di Game of Thrones: la storia è maestra di vita, ma non c’è più nessuno disposto a studiarla e rispettarla. Con un presupposto come questo, la sconfitta collettiva sarà sempre più inevitabile. E della vittoria, quella che nasce dall’unione e non dalle divisioni, non ci sarà mai l’ombra.

Antonio Casu