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Quei machiavellici macchinatori degli Hightower

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sull’ottavo episodio di House of the Dragon

“Non è un Re a sedere sul Trono di Spade in questi giorni: è una Regina”.

Vaemond Velaryon apre così l’ottavo episodio di House of the Dragon. Con un messaggio semplice e chiarissimo, rivolto a Rhaenys: gli Hightower hanno preso il posto dei Targaryen. Non formalmente, sia chiaro, ma nella sostanza sì. Non è difficile comprendere il motivo: il Re, Viserys, è ormai moribondo e del tutto incapace di gestire gli onerosi impegni destinati al suo incarico, e al posto suo si sono sostituiti nel tempo due personaggi. La Regina Consorte divenuta Regina Reggente e il Primo Cavaliere del Re. Un padre e una figlia. Due Hightower. I due Hightower: Alicent e Otto. Finora niente di strano e di difficilmente spiegabile, ma ci sono un’infinità di ma. Perché l’arrivismo di un padre, connesso a una mal digeribile visione d’insieme che gli permette di analizzare e stravolgere il quadro geopolitico dei Sette Regni, si unisce al senso del dovere di una figlia che non ha mai rinnegato le sue origini ed è disposta a sacrificare se stessa in nome di un male necessario, fino ad andare ben oltre la reggenza: gli hanno portati a mettere le mani sul Trono di Spade e detronizzare, de facto, I Targaryen. Una casata militarmente ineguagliabile, eppure relegata a un ruolo secondario. Persino marginale, per certi versi. Come è stato possibile?

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In fondo sarebbe sufficiente il frame che vedete qui sopra per offrire un quadro quasi completo. In particolare, è necessario analizzare nel dettaglio l’outfit presentato da Alicent in alcuni dei momenti chiave di The Lord of the Tides. A partire dal colore, il verde: come aveva illustrato Larys Strong nel corso del quinto episodio, nell’iconografia degli Hightower è un chiaro segnale di guerra. Ma è solo la punta dell’iceberg, fin troppo esplicita. Meno espliciti sono i due simboli evocati dalla stella e dalla catena: mentre la prima richiama il Culto dei Sette, al quale Alicent è molto vicina, la seconda si ricollega invece ai Maestri della Cittadella, onnipresenti in tutta Westeros (inclusa, ovviamente, King’s Landing), detentori della conoscenza scientifica, umanistica e non solo: in sostanza, con una sottile forzatura delle definizioni, rappresentano un sistema universitario.

Cosa significa tutto ciò? Perché Maestri e Septon si associano con nettezza agli Hightower, tanto da essere a loro fedeli, e hanno un peso sociopolitico rilevante al punto da esser decisivi in un silenziosissimo e informale colpo di stato?

Per la prima risposta è più che sufficiente ricondurre tutti alla comune origine: Old Town, sede della Cittadella e luogo nel quale il Culto dei Sette si è affermato ed è cresciuto prima di sbarcare nella capitale. Governata da secoli da chi? Dai loro principali sostenitori: gli Hightower, e chi sennò. Persino “Difensori della Cittadella”, secondo uno dei loro titoli, giusto per chiarire ancora meglio il concetto. Per la seconda, invece, è necessario fissare un concetto essenziale: il sapere accademico è un’arma preziosissima, specie in una società di stampo medievale. E si può affermare altrettanto a proposito della religione, unico faro per gran parte della popolazione. Lo capiranno benissimo anche i Lannister, nel futuro di Game of Thrones: Pycelle, storico Gran Maestro, rappresenterà una figura chiave per l’ascesa di Tywin dalla Ribellione di Robert in poi, mentre Cersei cercherà di usare l’Alto Passero e la sua peculiare personalità per finalità strettamente politiche, salvo poi pentirsi della scelta. Per gli Hightower, quindi, l’alleanza con figure sulla carta neutrali rappresenta un passaggio essenziale per l’acquisizione e la gestione del potere.

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Rhaenyra e Daemon, una volta tornati nella capitale dopo aver vissuto per diversi anni a Dragonstone, sembrano averlo capito fino in fondo e lo rimarcano più volte nel corso dell’ottavo episodio di House of the Dragon. Ritrovano innanzitutto una Fortezza Rossa molto cambiata sul piano estetico, pressoché irriconoscibile: la roccaforte dei Sette Regni è stata spogliata nel tempo della lussureggiante energia dei Targaryen e rivestita con l’iconica austerità del Culto. Ma non solo: sono soprattutto diffidenti nei confronti dell’operato dei Maestri che curano da tempo il re. Viserys, infatti, è costantemente sedato con il latte di papavero e reso così del tutto incapace di agire con lucidità. Un’operazione subdola e per molti versi incontestabile: la conoscenza scientifica è in mano al Gran Maestro, nessun altro, e il confine tra una sedazione necessaria e una sedazione funzionale all’avanzata nel gioco del trono è davvero sottile.

Sottile, ma House of the Dragon ha allo stesso tempo fatto di tutto per mettere in discussione la buona fede dei Maestri: nel corso degli anni, infatti, sembra non si sia mai fatto niente di davvero concreto per migliorare le condizioni di Viserys. Anche quando qualcuno aveva proposto delle soluzioni alternative alle solite sanguisughe adoperate da Mellos e dal successivo Gran Maestro. Seppure esposte in modo esplicito da almeno un collaboratore (lo vediamo nel quinto episodio), le certezze granitiche del massimo esponente della Cittadella sembrano essere sospettosamente inscalfibili. Visti i saldi rapporti tra loro e gli Hightower, non pare quindi assurdo teorizzare che il percorso terapeutico affrontato possa aver celato un vero e proprio complotto.

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Non sarebbe la prima volta, d’altronde. Otto Hightower, infatti, divenne il Primo Cavaliere di Jaeraerys I (nonno di Viserys), dopo la morte in giovane età del predecessore (Baelon, padre di Viserys): un decesso improvviso e per certi versi misterioso, certamente funzionale all’ascesa dell’uomo che divenne poi il mentore dell’erede al trono. Viserys lo rimarca senza filtri nel momento in cui decide di allontanare Otto e affidarsi a Lyonel Strong. Così come parla di Aemma e della sua tragica morte, a seguito di un parto, e dell’avvicinamento ad Alicent poco dopo il terribile lutto. In ognuno di questi dolorosi passaggi, Viserys sembra vedere dei complotti orditi da Otto nei suoi confronti, anche in cooperazione coi Maestri che potrebbero aver ucciso Baelon e non aver fatto abbastanza per salvare Aemma.

Alla luce di tutto ciò e delle evidenti mire personali perseguite negli anni dagli Hightower, la cupa teoria che si aggira intorno al tragico destino di Viserys sembra assumere una certa consistenza. E rientrerebbe pienamente nel modus operandi del machiavellico Primo Cavaliere dalle mille vite. Così come non sarebbe incoerente l’idea che i Maestri abbiano persino avvelenato Viserys in giovane età e l’abbiano così colpito col terribile male che ha distrutto, lentamente, il suo fragile corpo: un’agonia protratta nei decenni con un accanimento terapeutico mirato a gestire il potere in sua vece e tenerlo in vita (ma non troppo) fino a quando Aegon, primo dei figli avuti con Alicent, non sarebbe stato pronto a sostituirlo al posto di Rhaenyra. Se si uniscono i fili, tutto assume un senso. E diventerebbe improbabile l’idea che ogni evento sia andato accidentalmente verso un rafforzamento dei poteri di Otto: l’uomo più fortunato del mondo è in realtà uno tra i più furbi.

Può però l’uomo più arrivista dei Sette Regni avere anche delle ragioni condivisibili nell’aver fatto quello che ha fatto per tutta la sua vita? Per dimostrarlo, si dovrebbe rispondere a un quesito vecchio quanto l’uomo: il fine giustifica o no i mezzi? Machiavelli, seppure non fosse l’autore della citazione erroneamente attribuita a lui, aveva le idee chiare in questo senso: qualsiasi azione del suo “Principe” è in qualche modo giustificata, anche se in contrasto con le più essenziali leggi della moralità. Otto Hightower, evidentemente, la pensa allo stesso modo. E lo chiarisce nel corso dell’intenso dialogo avuto con Alicent nel corso del quinto episodio di House of the Dragon, nel quale la figlia comprende fino in fondo le motivazioni del padre, avvia la sua rivoluzione col maestoso ingresso in scena al matrimonio di Rhaenyra con Laenor e pone la prima base per trasformarsi nella Regina che stiamo imparando a conoscere.

Alla base delle azioni della donna, d’altronde, non c’è solo un senso di responsabilità nei confronti della sua casata, la conduzione di una battaglia personale con la primogenita di Viserys e una generica brama di potere, ma anche (se non soprattutto), il timore di una guerra civile che rischierebbe di distruggere i Sette Regni e gettare il mondo nel caos. Otto lo esplicita nel momento in cui sta lasciando la capitale, con grande cinismo e una discreta obiettività: la scelta di una donna come erede al Trono di Spade, conseguenza anche dei suoi consigli dettati dallo spauracchio di vedere Daemon prendere il potere, è una scelta divisiva che finirebbe col rendere instabile Westeros e scatenare un inevitabile conflitto. La scelta di un uomo no. Alicent sembra convivere a fatica con un conflitto interiore che scinde la sua sensibilità nel valutare cosa possa essere giusto o meno, e un senso del dovere che la costringe ad agire contro la sua natura e vivere poi un costante senso di colpa, rispecchiato dalla svolta religiosa a cui abbiamo assistito nell’ultimo episodio. Una svolta forse sincera, al di là del legame opportunistico coi Septon del quale abbiamo parlato in precedenza. La complessità della sua personalità sembra quindi unirla e allo stesso tempo dividerla dalla figura del padre, certamente più distaccata sul piano emotivo.

In definitiva, diventa più evidente la dualità degli Hightower nel Gioco del Trono finora esposto da House of the Dragon: rappresentano un male tossico, lo specchio fedele dei vizi di un mondo che si aspetta esattamente questo da loro. Ma anche un male per certi versi necessario, vista l’altalenante affidabilità dei Targaryen. E allo stesso tempo un tumore che ha innescato la sequenza di eventi che culminerà nella sanguinaria Danza dei Draghi. Rappresentano, soprattutto, una delle migliori lezioni politiche dai tempi di Tywin Lannister in Game of Thrones, attraverso un’equilibrata e stabile gestione fondata sul potere religioso, il potere accademico e le macchinazioni di una casata che osa sempre senza azzardare. Facendo sentire la propria presenza senza mai farla sentire davvero ingombrante. Essere al potere facendo finta di non esserlo sul serio. Esserci e basta, senza esserci. Sconfiggere un esercito di draghi e guerrieri valorosi con la subdola forza della manipolazione. E occupare un Trono, il Trono di Spade, senza mai farlo ufficialmente. Fantasmi del potere, arrivati a occupare ogni spazio vitale dopo un percorso durato decenni. Con un colpo di stato lungo svariati lustri e fondato su secolari basi solide, silenzioso, fondamentale e allo stesso tempo velenoso. Invisibili come un male che ti divora internamente, ti permette però di sopravvivere e mostra i suoi segni solo nel momento in cui è troppo tardi. Fino a diventare imprescindibili persino nel momento in cui non lo sarebbero affatto: antidoto e tossina allo stesso tempo, interpreti di un gioco dalle regole non scritte da loro. Medesimi volti di una società che trova in loro un riflesso ideale. Un riflesso che va oltre ogni concetto morale in nome di un presunto bene superiore.

Antonio Casu

A proposito di House of the Dragon, un approfondimento e una teoria dedicati all’oggetto più misterioso della serie – Se solo quella maledetta daga potesse parlare