Lo sappiamo. I confronti sono inutili; pericolosi e sbilanciati, talvolta. Una serie tv può raccontare una storia, far riflettere, coinvolgere, emozionare oppure può semplicemente intrattenere. Non deve certo gareggiare con le altre, tantomeno con i propri parenti. Sebbene ogni spin-off, sequel, prequel e reboot sia un prodotto a sé stante e per quanto alcuni superino addirittura la serie madre, senza quest’ultima non esisterebbero (oppure partirebbero da presupposti completamente diversi). È fuori discussione, dunque, che la serie tv derivata, come lo è House of The Dragon, si alimenti anche della luce riflessa di Game of Thrones. (Serie Tv simili a Game of Thrones? Ecco le 5 migliori da vedere). È fuori discussione anche il fatto che il prequel abbia potuto compiere delle scelte che erano precluse alla prima arrivata. Ci troviamo perfino nello stesso universo narrativo, quella meravigliosa follia grigia creata da George R. R. Martin. Sì, forse i confronti sono inutili.
Tralasciamo anche il fatto che le due serie tv sono figlie di due momenti differenti e che la prima ha rappresentato un rito collettivo durato un decennio mentre l’avventura con il prequel è appena iniziata. Sorvoliamo anche sul fatto che possiedono un impianto narrativo antitetico, uno corale e maestoso, l’altro intimo, asfissiante e concentrato su una sola famiglia. Eppure c’è un confronto a cui non possiamo sottrarci: quello tra i personaggi.
Siamo nell’universo sanguinario creato da Martin, ma nella trasposizione televisiva, a gareggiare in una giostra brutale, troviamo due sfidanti. Da un lato della staccionata abbiamo i tanto amati, e poi contestati, David Benioff e D. B. Weiss (lo strano caso di Daenerys Targaryen), dall’altro, invece, la nuova guardia – finora molto apprezzata – rappresentata da Ryan Condal, un team creativo sopraffino e lo zampone dell’autore in persona. Una squadra, l’ultima, che a partire dal fattore “personaggi” sembra aver già vinto una pima sfida poiché partiva decisamente svantaggiata. I personaggi della serie madre, infatti, erano diventati ormai reali, così tangibili, che pensare di tornare indietro nel tempo per seguire una storia con i loro antenati ci suonava una pazzia. E non dei parenti alla lontana qualsiasi, ma di Jon Snow e Daenerys. Cioè i personaggi più contestati dell’ultima stagione di Benioff e Weiss. Ovvero quelli che all’ennesimo “My Queen” hanno rischiato di beccarsi una ciabatta volante. La mastodontica eredità delle cose buone fatte dai creatori di Game of Thrones pesava sul nuovo progetto, ma le cose brutte (come la fretta messa in alcune storyline) pesavano molto di più. Il confronto potrebbe sembrare una follia, eppure a nostro avviso la soluzione non è per niente scontata.
********SEGUONO SPOILER********
House of The Dragon Vs Game of Thrones: il nostro bilancio sui personaggi dell’adattamento televisivo
DRAGHI:
Partiamo con un primo punto a favore per House of The Dragon. Nonostante all’inizio la grafica apparisse di fattura leggermente inferiore, nel corso delle dieci puntate ci siamo lasciati stupire dalla gestione sapiente e funzionale dei draghi messa a punto dal team di Condal. Trattandosi di Targaryen, ovviamente, la loro centralità era quasi scontata. Eppure il prequel è andato oltre le aspettative. Si è soffermato accuratamente sulla caratterizzazione di ogni drago, delineandone personalità e comportamento. Interagiscono con possenti urla di avvertimento, ci stupiscono con l’unione viscerale che hanno con il proprio cavaliere (pensiamo all’aborto spontaneo di Rhaenyra); la mancanza e la necessità di conquistare il proprio drago non è stata resa come se questi fossero degli oggetti passivi, ma dei soggetti attivi e reattivi. Non da ultimo, la loro personalità è stata mostrata anche attraverso l’incapacità di controllarli, non solo durante uno scontro, ma anche quando il proprio cavaliere ordina qualcosa che non si sentono di fare (pensiamo a Laena). I draghi parlano in House of The Dragon. E non era affatto facile incastrarli con disinvoltura in una maglia già molto fitta. In Game of Thrones i draghi sono diventati una risorsa bellica importante e uno snodo di trama significativo nel corso delle numerose stagioni. In House of The Dragon, sin dalla prima puntata, queste creature si sono imposte invece come dei protagonisti a tutto tondo.
CASTING:
Ammettetelo, anche voi eravate molto scettici! Non appena abbiamo sentito il nome di Matt Smith nei panni di Daemon abbiamo seriamente dubitato della sanità mentale di Kate Rhodes James, la casting director di House of the Dragon. Paddy Considine nei panni di un re Targaryen, poi, sembrava una scelta insensata. Il suo volto, così docile e familiare, non aveva senso. Per non parlare della scelta di sostituire le due protagoniste in corso d’opera. È vero che le attrici titolari, nonché le prime ad essere state scelte, fossero Emma D’Arcy e Olivia Cooke. Tuttavia per gli spettatori contava solo l’imprinting iniziale, cioè quello avuto dalle loro eccezionali versioni teen. Inoltre il casting del prequel è stato sotto la pressa mediatica per anni, tanta era l’attesa. Sarà per questo che il risultato è stato così accurato, centellinato, meticoloso e millimetrico, a tal punto che ci siamo ricreduti dopo una manciata di frame. Le scelte di cast vanno ben oltre la perfezione. Pensiamo a Ewan Mitchell, il quale sembra essere nato per interpretare Aemond One-Eye.
Game of Thrones, invece, ha avuto solo un ostacolo da fronteggiare: le aspettative dei lettori di Martin. Ma non c’erano grandi eredità da gestire. Tutto considerato, l’operazione è stata una lenta scivolata in discesa. Nina Gold e Robert Sterne, i principali direttori del casting di Game of Thrones, hanno assemblato il cast principale attraverso un lungo processo di letture, audizioni e re-casting (ad esempio, Catelyn Stark era interpretata da Jennifer Ehle mentre Daenerys da Tamzin Merchant). Ad attirare il grande pubblico ci hanno pensato (oltre alla firma di Martin), Peter Dinklage e Sean Bean, scelti dagli sceneggiatori stessi, la cui reputazione ha aiutato il progetto a decollare. La bravura del cast, la novità , il sangue e la magnificenza delle prime stagioni, poi, hanno fatto il resto. Si tratta di due operazioni riuscitissime, altrettanto difficili e rischiose. Eppure quella del prequel era tutta in salita. Per noi è un altro punto per House of the Dragon.
CAST:
Game of Thrones è densa di prove attoriali da urlo, inutile menzionare ogni battuta pronunciata da Peter Dinklage (Le 30 migliori frasi di Tyrion Lannister) o Iwan Rheon (Ramsay Bolton). Tuttavia la serie madre si regge su pilastri più vistosi, come le ambientazioni spettacolari, il sapiente intreccio di trame e, prime fra tutte, le complicatissime, numerosissime e poetiche scene di azione. House of the Dragon, invece, si regge interamente sulla bravura degli attori e la scrittura dei personaggi. Portare in vita dei personaggi così oscuri, complicati, travagliati e discutibili è un’impresa che solo degli attori dalle doti così acute e dalla sensibilità così profonda possono compiere. Senza considerare che la maggioranza delle scene chiave è supportata solamente dal linguaggio del corpo. Pensiamo alle scene finali di ogni puntata, dalla morte di Viserys al gran finale. L’ultima scena vede una Emma D’Arcy strabiliante che, pur stando di spalle, trasmette tutte le sfumature del dolore. Poi si volta e ci regala un’espressione finale che urla più di mille parole. Infine il cast di Game of Thrones non era ancora così famoso, tranne qualche elemento, e un’eventuale caduta sarebbe stata più lieve. Al contrario, il flop per il cast del prequel sarebbe stato dolorosissimo. Insomma, un altro punto per il team Condal? Decisamente sì.
“SERPI”:
I sussurratori, i cortigiani, gli strateghi. Gli artefici degli intrighi sono l’essenza del mondo di Martin. Ci troviamo appena all’inizio, eppure il personaggio di House of The Dragon che ci sembra meno riuscito in termini di sviluppo (ma scommettiamo che nel corso delle prossime tre stagioni ci regalerà tante soddisfazioni) è Larys Strong. Un personaggio dal potenziale malefico e strategico sconfinato che non è stato ancora sfruttato a dovere. Al contrario di un Petyr Baelish che, invece, ci ha conquistato per la sua squisita viltà e raffinata scaltrezza fin dai primi fotogrammi. Così come ha saputo fare Varys. Ebbene Baelish ci guarda ancora tutti dall’alto: un punto “serpi” per la squadra di David Benioff e D. B. Weiss, e i rispettivi interpreti.
GRIGIUME:
Concludiamo questo confronto impietoso con l’aspetto più importante per valutare l’adattamento televisivo migliore dei personaggi di George R. R. Martin: la personalità grigia. Sono tanti, sono diversi, sono caratterizzati con sapienza e dovizia di particolari e soprattutto sono stati scritti per restarci appiccicati addosso. Tutti i personaggi provengono dalla stessa penna e abitano la stessa dimensione sanguinaria e complicata, sebbene siamo in epoche differenti. Martin si è distinto per la sua capacità nel creare personalità grigie, complesse e sfumate, spiccando così tra gli autori del cosiddetto “grimdark“, un sottogenere della narrativa fantasy che si distingue per i toni, lo stile o le ambientazioni particolarmente distopici, amorali e violenti. Per restituire ai telespettatori una visione squisitamente cruda, cupa, pessimistica o nichilista del mondo c’è bisogno quindi di un lavoro sinergico tra il reparto scrittura e il cast. In ciascuno dei due adattamenti televisivi, entrambe le squadre hanno svolto un lavoro eccezionale. Gli orizzonti tra bontà e cattiveria si perdono a tal punto che dobbiamo acquisire nuovi paramenti morali per ricalcolarli. Eppure in Game of Thrones è facile individuare “i buoni”, perdonateci il termine semplicistico. Cioè coloro che operano complessivamente nel giusto. I personaggi per cui fare il tifo, insomma. Ormai è inutile specificare che l’adattamento televisivo si è scollato dalla pagina scritta oppure che chiunque a Westeros si sia macchiato la coscienza di una o più azioni brutali.
David Benioff e D. B. Weiss hanno dato vita a dei personaggi multidimensionali che amiamo oppure amiamo odiare. La lista è lunga e – indipendentemente dalle simpatie personali – è indubbio che gli Stark, Tyrion Lannister, Brienne di Tarth, Samwell Tarly, Jon Snow, Lord Varys, Daenerys Targaryen (prima dell’ottava stagione) Lady Lyanna Mormont o Missandei, per citarne solo alcuni, rappresentino un faro nell’oscurità . Ce n’è per tutti i gusti. Grazie alla loro evoluzione, abbiamo rivalutato persino Jaime Lannister e Sandor Clegane e imparato a comprendere Cersei Lannister. Si può apprezzare la complessità e la struttura del personaggio, ma difficilmente riusciremo a parteggiare per Ramsay Bolton, Joffrey Baratheon o Viserys Targaryen (il fratello di Daenerys). O quanto meno, ad ammettere in pubblico che tifiamo per Bolton! E in House of The Dragon, invece, come la mettiamo? In tutta coscienza, come si fa a stare dalla parte di un qualunque personaggio del prequel (dove solo qualche bambino si salva)? La coralità è il tratto distintivo di Game of Thrones, cioè, prima o poi un personaggio con cui identificarsi o per cui tifare si trova. C’è n’è almeno uno “buono” in ogni casata. Indipendentemente dalle preferenze, gli Stark sono ormai di famiglia. Sono giusti e operano per una causa nobile (malefatte individuali a parte). È facile amarli e seguire la loro disavventura. Quanto meno, andremmo volentieri a cena a Winterfell!
In tutta coscienza, è difficile dire lo stesso dei personaggi di House of The Dragon. Davvero accettereste di andare in una di quelle cene di famiglia dove, se vi va bene, perdereste solo un occhio? È impossibile fare il tifo per uno o l’altro personaggio, o schieramento, perché la scala dei grigi che li caratterizza è troppo complessa, diluita. È impossibile intravedere un colore netto, neanche in Rhaenys, la Regina che non fu mai o nelle figlie di Daemon e Laena. Nessuno ha ragione, ma nessuno ha torto. Tutti fanno cose crudeli ma, in qualche modo, ogni azione potrebbe essere difensiva. Ma soprattutto, non esiste nessun Ned Stark. Tutti sono consumati dall’ambizione, dal dolore e, in generale, sono mossi da sentimenti profondi, viscerali, oscuri. Eppure, Ancor più di Game of Thrones, con pochi personaggi a disposizione – prevalentemente negativi – il prequel dell’HBO è riuscito a conquistare, stregare e polarizzare il pubblico. Ci ha schierato in fazioni nette, proprio come avveniva sullo schermo, pronte a farsi a pezzi a colpi di analisi psicologiche. Daemon ha commesso in ordine sparso: un’esecuzione pubblica gratuita e sanguinaria, un femminicidio, incesto, tradimento, furto, sventolano bandiera bianca invano; si è macchiato di tutti i peccati capitali e possiede tutti i vizi capitali, nessuno escluso. Eppure è il personaggio più amato. In pratica ci siamo lasciati sedurre da una versione meno sadica di Ramsay Bolton! Siamo forse disturbati oppure abbiamo lasciato all’Ikea la nostra bussola morale? No, l’inganno viene dalla bravura con cui è stato scritto, adattato e interpretato il principe del caos. Con poche battute e una presenza scenica monumentale, con qualche sguardo e un’alzata di sopracciglio, Matt Smith ha travolto gli spettatori, anche quelli che inizialmente lo vedevano come un impostore con la parrucca posticcia. E come ha fatto lui, a mano a mano, tutto l’ensemble ci ha lasciato a bocca spalancata. Inclusa quella zanzara fastidiosa e rancorosa di Ser Criston Cole.
Game of Thrones è una scala cromatica variopinta. Si va dal nero scuro al chiaro pallido. Un ensemble pazzesco di personalità sfumate, ma con picchi di luce o di oscurità netti. Ci viene concesso il privilegio di avere, e fare il tifo, per i nostri personaggi preferiti, sebbene il loro operato non sia sempre candido. House of The Dragon, invece, dai protagonisti ai personaggi di supporto, è una distesa desolante di grigio. 50mila sfumature di grigio, verrebbe da dire. Più che un pantone, è un pantano. Nel mondo di Martin, ciò che è buono o cattivo, giusto o sbagliato viene modulato continuamente, uno sguardo dopo l’altro, un pensiero, un’azione, una mossa dietro l’altra. Per questo, anche questa volta, il team Condal si è distinto. Il merito è anche della bravura del cast, che ha saputo interpretare ogni non-detto e ogni sopracciglio inarcato. Insomma, House of The Dragon conquista anche il premio “grigiume”. Lo stesso George R.R. Martin si è detto rapito dal Viserys di Paddy Considine, che ritiene addirittura superiore alla sua versione.
Per quanto ci riguarda, i personaggi del prequel dell’HBO sono superiori a quelli di Game of Thrones. Almeno con la prima stagione, il team creativo e gli attori di House of The Dragon ci hanno regalato dei personaggi qualitativamente superiori per interpretazione, introspezione psicologica, profondità nella scrittura, multidimensionalità e complessità emotiva e morale. Non c’è dubbio che il successo del prequel si fondi sui personaggi stessi. Come in Succession, sono loro l’arma più potente.
Otto, Daemon, Alicent, Rhaenyra, i draghi e tutti gli altri si sono staccati dallo schermo e si sono seduti insieme a noi, sul divano del nostro salotto, come fossero parenti serpenti da amare e allo stesso tempo da odiare.