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Riciclare la sigla di Game of Thrones è una scelta vincente per House of The Dragon?

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Sono le tre di notte di un lunedì mattina primaverile. Spaparanzati sul divano, con gli occhi stanchi ma in fremente eccitazione, attendete con trepidazione che la vostra serie tv abbia inizio. Lo sfondo si fa nero e il logo HBO fa la sua comparsa su schermo. È arrivato il momento di canticchiare a bassa voce, per evitare di svegliare genitori o vicini di casa, delle iconiche note: la sigla di Game of Thrones, una tra le più apprezzate e amate di sempre. Una sigla che ha fatto tanto la storia da essere stata riconfermata dalla HBO anche per la serie prequel/spin-off House of The Dragon, che da qui a qualche settimana ha iniziato a tenerci compagnia facendoci tornare in quel di Westeros, tra intrighi e battaglie, sesso e draghi. La decisione di riciclare il main theme di Game of Thrones ha di certo fatto scalpore, suscitando da un lato ovazioni, da un altro proteste.

Per House of The Dragon questa è stata una scelta vincente oppure troppo poco coraggiosa?

House of The dragon
House of The Dragon 640×360

Prima di scoprirlo, forse è bene parlare delle origini di questo meraviglioso e iconico brano, per cercare di capire se renderlo l’intero fulcro musicale dell’universo fantasy televisivo nato dai romanzi di George R.R. Martin sia stata una buona idea. La composizione del tema musicale di Game of Thrones e di House of The Dragon si deve al giovane e talentuoso Ramin Djawadi, compositore di origine tedesco-iraniana che già aveva composto nel 2008 la colonna sonora del film Iron Man. Su stessa richiesta dei due showrunner Benioff e Weiss, l’autore evitò di rifarsi all’impiego degli strumenti musicali dai toni tipicamente medievaleggianti come il flauto o il violino e decise di rendere protagonista del brano un violoncello.

La scrittura del brano avvenne solo dopo che Djawadi ebbe visionato il primo rendering dell’iconica animazione della mappa di Westeros: da qui l’idea della musica come una sorta di viaggio tra diverse location, ognuna con una propria e peculiare identità. Ed è ciò che si verificò a prodotto finito, dopo un lavoro davvero ispirato terminato in soli tre giorni: un risultato davvero notevole in cui musica e immagini si compenetrano con ritmo e sintonia.

Game of Thrones sigla

Un risultato davvero incredibile, un vero e proprio capolavoro se si pensa che gli spettatori non hanno mai visto la sigla come un ostacolo fastidioso prima della visione della serie vera e propria, quanto invece come un momento di fomento e di esaltazione. Il brano ha infatti la capacità non solo di catapultarli in men che non si dica tra le lugubri atmosfere di Westeros, ma anche di dare loro preziose informazioni circa quello che avrebbero visto durante la puntata. Perché a colpire non sono infatti solo le musiche, ma anche e soprattutto le immagini, curate nei minimi dettagli e con effetti visivi di prim’ordine. Scenari tanto iconici da essere stati omaggiati nei modi più svariati (come la parodia dei Simpson o il progetto GOT Italy, in cui a elevarsi dalla mappa sono i più famosi monumenti del nostro paese).

L’idea di una mappa animata, grazie alla quale riusciamo a conoscere la tanto complicata geografia di Westeros, le distanze, i luoghi cardini e le casate protagoniste della serie, è stata davvero geniale e ha aiutato non solo a costruire una delle sigle più amate di sempre, ma anche ad agevolare il processo di memorizzazione dello spettatore. Un connubio di altissimo valore che di fatto è diventato il simbolo dell’intera serie. E allora perché non cercare di riproporre una parte di tale successo anche per House of The Dragon, che è sì una serie derivante da Game of Thrones, ma che comunque nutre altissime ambizioni, forse ancora più grandi di quelle della serie madre?

Vediamo dunque come il main theme sia stato mantenuto anche in questo caso: una riproposizione pari passo delle note originali che vogliono rifarsi a ciò che di più bello c’è stato in Game of Thrones, ma che d’altra parte stranisce dal momento che in più occasioni gli showrunner di House of The Dragon hanno dichiarato di volersi distinguere e allontanare dall’opera madre. Perché dunque riciclare il pezzo? Desiderio di creare un senso di unità per tutti i prodotti derivanti dalle opere di George R. R. Martin o semplice scelta di attenersi all’usato sicuro, di certo piacevole, ma senza coraggio? Difficile a dirsi: quel che è certo è che se anche si fosse voluto mantenere un filo conduttore con la serie originale, House of The Dragon avrebbe potuto avvalersi di una variazione sul tema, come tra l’altro capitato sul finire del primo episodio. In tale scena, infatti, compare infatti una versione del brano della sigla rimaneggiata, riarrangiata grazie al tema della famiglia Targaryen, in questo caso vera e unica protagonista delle serie, e accompagnata da evocativi cori.

Una scelta simile forse, infatti, avrebbe costituito il giusto compromesso tra vecchio e nuovo, tra omaggio e inventiva.

House of The dragon

A convincere meno dell’intera sigla della serie, tuttavia, non è stato il tema musicale, seppur discutibile per i motivi sopra elencati, ma sono state le immagini mostrate, nettamente inferiori rispetto a quelle della serie madre, troppo scure e poco chiare. La sigla di House of The Dragon rappresenta infatti la storia della casa Targaryen, nella quale scorre l’antico sangue Valyriano dei Signori dei Draghi. Al centro di tutto troviamo un fiume di sangue, che scorre tra edifici in decadenza non dal punto di vista geografico, ma storiografico e che aziona sigilli rappresentanti situazioni e soprattutto personaggi di appartenenti a questa nobile casata. E così il sangue si espande partire dal Disastro di Valyria fino ad Aegon il Grande e alle sue spose-sorelle. Scorre dai suoi discendenti fino ad arrivare all’attuale linea al trono costituita dal Re Viserys che abbiamo avuto modo di conoscere nel corso dei primi episodi della serie: da lui si diramano due flotti di sangue, uno verso Rhaenyra (Milly Alcock), un altro ancora tutto da scoprire. Siamo infatti piuttosto certi che la sigla andrà a modificarsi nel tempo, mostrando i nuovi eredi e presentando cambiamenti così come avveniva in Game of Thrones.

Un buon concept questo, eppure a tratti molto meno incisivo di quello della serie madre: lo scenario, infatti, pare meno curato in alcuni suoi frangenti, soprattutto per la sua eccessiva cripticità. Pochissimi sono stati i fan che sono stati capaci di decifrare sin da subito i complicati simboli sopra ai meccanismi di questi sigilli/ingranaggi e ad averli ricollegati all’albero genealogico dei Targaryen. La mancanza di una mappa che contestualizzi la storia e gli spostamenti dei personaggi inoltre pare aver lasciato confusi alcuni spettatori, che si sono lamentati della velocitò di alcuni spostamenti senza ricordarsi che i luoghi in questione, in realtà, siano canonicamente molto vicini (come Approdo del Re e Roccia del Drago).

Al di là di questi dubbi e possibili criticità (che tra l’altro siamo sicuri non avranno nemmeno sfiorato la maggior parte del pubblico), non possiamo di certo negare che risentire ancora una volta la sigla di Game of Thrones ci abbia fatto sentire di nuovo a casa. Una dimora che forse ha ben poco di rassicurante, lugubre e ricca di insidie, ma in cui, in fin dei conti, non vedevamo l’ora di tornare.

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