Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su How I Met Your Mother e Cobra Kai
Daniel LaRusso o Johnny Lawrence? Cobra Kai o Miyagi-Do Karate? La difesa o l’attacco? Pietà o no? Non avevamo dubbi sulle risposte, fino a due anni fa: chiunque abbia visto almeno una volta nella vita Karate Kid non può non esser stato dalla parte di Daniel, un ragazzo che come un piccolo Rocky Balboa nasce per essere tifato e amato. Quasi uno stereotipo nella demarcazione nettissima tra il bianco e il nero, tipico della cinematografia fino all’avvento dei grigi antieroi.
Daniel è il povero underdog bullizzato, umiliato, piccolo e smilzo in balia dei compagni di scuola ricchi, fighetti e cattivi, un’icona ideale per gli anni Ottanta senza sfumature. Così come Johnny, dall’altra parte: figlio di papà di bell’aspetto e dalla grande prestanza fisica, fin dal primo momento fa di tutto per farsi detestare dal pubblico, centrando perfettamente l’obiettivo. E che dire del dualismo tra l’etereo Miyagi, un uomo fuori dal mondo capace di essere il mentore che chiunque vorrebbe avere, e quel bastardone di Kreese, un miserabile infame a sua volta immerso al contrario in un universo tutto suo?
Insomma, tutti con Daniel e nessuno con Johnny, messo al tappeto da un calcio in faccia dato collettivamente da milioni di persone. Fino a due anni fa, perché dal 1984 al 2018 la cinematografia si è evoluta radicalmente e la serialità si è a sua volta cinematografizzata, vivendo sempre più di sfumature e caratterizzazioni più imprevedibili e realistiche dei protagonisti. Succede allora che YouTube peschi l’unico vero jolly della sua storia da producer e si inventi dal nulla un sequel di Karate Kid. Una spudorata operazione nostalgica che di base non avrebbe dovuto configurare niente di buono e sembrava essere un fallimento annunciato, utile solo per rinverdire un franchise ormai agonizzante.
Prevedibile quasi quanto un Rocky VI o un Rambo IV, purtroppo realmente esistenti, Cobra Kai aveva contro tutti i pronostici e sembrava non avere niente da raccontare, ma diffidare dalle apparenze è sempre un bene e le cose sono andate diversamente, facendo della serie un trionfo totale sotto ogni profilo.
Perché? Perché Cobra Kai gioca con la nostalgia per confezionare un prodotto del tutto nuovo ideale per ogni target di pubblico, perfettamente al passo con i tempi: politicamente corretta ma non buonista, con due protagonisti riconoscibili, fedeli a se stessi ma allo stesso tempo in continuo movimento. Profonda e un po’ tamarra, dai tratti eroistici con due grandi antieroi, sovverte ogni nostra sicurezza: col pretesto di buttarci dentro una macchina del tempo e tornare indietro, Cobra Kai si fissa camaleonticamente nel 2020 per esserne un riferimento assoluto sul piano seriale, rimettendo in discussione le basi sui nostri preferiti. Perché Daniel LaRusso ha un’infinità di limiti, mentre Johnny ha una marea di pregi. Il bianco e il nero si scindono per mescolarsi, raccontando una storia completamente diversa.
Cobra Kai, d’altronde, è una storia in movimento. Ed è soprattutto una storia di redenzione, quella di Johnny, capace di rialzarsi in piedi dopo aver preso una miriade di calci in faccia dalla vita per decenni, mettere fine al suo processo autodistruttivo e ritrovare se stesso sotto una nuova luce. Una luce che continua in qualche modo a contrapporlo a Daniel, seppure l’uno stia capendo col tempo di non essere realmente la nemesi dell’altro. Lo scontro tra i due vive infatti di contraddizioni, fraintendimenti, incroci fortuiti e, soprattutto, di un dualismo radicato in un passato ormai remoto.
Al di là degli ostacoli che il rapporto tra i due continuerà a incontrare, è ormai evidente l’intenzione di Cobra Kai: portare avanti un percorso parallelo per i due personaggi, arrivando a fare del loro confronto un’occasione per limitare i rispettivi difetti ed esaltare i pregi di ognuno. Antieroi imperfetti e allo stesso tempo empatici ed efficaci, ideali per un mondo in cui le figure senza macchia non possono più trovare spazio e quelle più umane hanno sempre una nuova occasione. Insomma, niente di più distante da Karate Kid, nel quale invece non c’era il minimo dubbio su chi e cosa fossero “bene” e cosa “male”. Ed è in fondo la medesima polarizzazione che troviamo in Rocky IV e non riscontriamo invece ne La Regina degli Scacchi, come abbiamo affermato in un approfondimento di qualche giorno fa che per molti versi finisce col sovrapporsi con quello che stiamo dicendo in questa sede.
In ogni caso, al di là di come si svilupperà nella prossima, attesissima, stagione, una cosa è certa: Cobra Kai è il trionfo di Barney Stinson. Una sua creatura immaginaria e immaginifica, figlia di un pensiero che l’ha contraddistinto senza alcuna ambiguità: il “good guy” di Karate Kid era Johnny e Daniel, nonostante tutto, non era certo un santo. Se da una parte è evidente che il protagonista di How I Met Your Mother avesse esasperato come sempre la sua visione delle cose, è altrettanto vero che un fondo di verità ci fosse. E quel che ci sembrava pressoché impossibile nel 2013, al tempo della messa in onda del 22esimo episodio dell’ottava stagione della comedy, nella quale assistemmo al sorprendente addio al celibato di Barney con protagonisti Daniel e Johnny, è ora diventato possibile: l’allievo di Kreese ha fatto una marea di cavolate, ma non è il cattivo della storia. Così come l’allievo di Miyagi non è il buono, o comunque non lo è fino in fondo. Questo significa dover comunque sostenere l’uno invece dell’altro, seppure a parti invertite rispetto a 30 anni fa?
No, affatto. Cobra Kai ci fa amare molto di più Johnny e odiare un po’ di più Daniel, ma quel che fa davvero è portarci a stare dalla loro parte, insieme. Sognare di vederli ancora complici in una bella serata con le rispettive compagne, insegnarsi qualcosa di nuovo anche sul karate, essere amici ed essere dei mentori impeccabili per le nuove generazioni, relegando al passato ogni vecchia tossina rappresentata da storici dissapori e anziani leoni, incapaci di redimersi come sta facendo Johnny. Possono farlo e siamo sicuri lo faranno senza essere in alcun modo stucchevoli. Solo così quella grande serie di Cobra Kai potrà diventare una grandissima serie. E la leggenda di Karate Kid sarà accompagnata definitivamente da un mito altrettanto luminoso, nonostante fosse nato per fallire. Sulla falsariga di Barney Stinson. E di una profezia divenuta realtà.
Antonio Casu