Sono sempre stato uno dei detrattori del finale di How I Met Your Mother. A tratti l’ho odiato con tutte le mie forze. Quella tragedia ingiustificata, quella morte affrettata dopo tanta attesa. Avevamo pregato, sperato, amato. Ci eravamo disperatamente aggrappati all’amore romantico, all’idea che alla fine arrivasse lei. Che alla fine arrivasse il nostro amore.
Per anni How I Met Your Mother ci aveva coccolato nella visione di una felicità futura. Pur nella frustrazione dell’attesa, delle relazioni fallite, delle delusioni non ci eravamo mai rassegnati. Non avevamo mai gettato i remi in barca, ostinati e sicuri che la “mamma” arrivasse. Che il nostro grande amore finalmente comparisse. E che da lì in poi sarebbe stato tutto più facile, bello, sereno. Un lieto fine.
Ci siamo crogiolati per tanto tempo nella visione romantica dell’amore.
Siamo stati Ted in ogni sua scelta, in ogni suo errore e nella stupida ostinazione della ricerca dell’anima gemella. Il finale di How I Met Your Mother, dopo un’attesa infinita, ci toglieva tutto questo. Annientava l’amore, cancellava la felicità. No, non potevamo accettarlo. Io non potevo accettarlo.
Ho rimandato il rewatch di How I Met Your Mother per tanto tempo. Una sorta di vendetta silenziosa contro la serie. Ma alla fine è successo. In un ozioso pomeriggio di agosto non ho potuto fermare il tasto play. Ho rivissuto tutto. Tutte le gioie e i drammi: la simpatia bonaria di Marshall, l’amico che tutti vorremmo, l’irresistibile vitalità di Barney e delle sue avventure. La scalata al successo di Robin, l’ingombrante ma imprescindibile presenza di Lily, il personaggio forse più fallibile, e perciò umano, della serie.
Ho rivissuto soprattutto la mia patologica identificazione con Ted: l’idealizzazione dell’amore, l’ostinazione goffa e a tratti del tutto ridicola, il disperato bisogno di vedere la persona perfetta in ogni dove, di crederci sempre. Ho rivissuto i suoi dolori, le sue speranze, la solitudine. Quel “Sei solo, Ted” che ha rappresentato il momento più difficile nel percorso di ricerca della felicità. Ero solo anche io, insieme a lui.
Sono stato solo di nuovo, per un attimo.
E poi ho gioito con lui all’apparizione di quella magnifica donna che era Tracy. Buona, solare, divertente. Dannatamente divertente. La donna perfetta, la donna che abbiamo amato tutti. E che continuiamo ad amare. Ho provato di nuovo rabbia in quel momento, vedendola su quel letto di ospedale, lo ammetto. Ma adesso qualcosa è cambiato.
La perdita è il dolore più grande che possiamo affrontare. È l’ingiustizia che un dio assente ci impone come immotivata condanna. E noi abbiamo gridato al cielo, contro quel dio, anzi quegli dei, i creatori onnipotenti di How I Met Your Mother, che ci avevano privato della felicità. Ma ora, a distanza di sei anni dal finale, la stessa distanza che separava la morte di Tracy dalla silente dichiarazione d’amore del vecchio Ted a Robin, qualcosa è cambiato.
Quello che ci è sempre mancato e quello che ha rappresentato il vero errore degli autori è stato il tempo di metabolizzare. Ted ha avuto sei anni di tempo per comprendere di poter amare di nuovo, noi no. Fino ad ora, almeno. Abbiamo vissuto il ritorno nella braccia di Robin come un tradimento. Tutto accadeva troppo in fretta e noi, come dei figli ancora legati a nostra madre, non abbiamo potuto accettare una nuova donna, fosse anche la ragazza che Ted non aveva mai smesso di desiderare.
Sei anni dopo, però, possiamo riflettere.
Lily e Marshall hanno avuto il loro lieto fine, c’erano forse dubbi? Ma anche Barney ha portato a compimento nel finale un percorso che sembrava aver subito una dura marcia indietro. Stinson sembrava regredito al latin lover di sempre. Nessuna donna era mai riuscito a cambiarlo: Robin, la persona che più c’era andata vicina, era troppo simile a lui e troppo diversa insieme. Due caratteri forti e incapaci di dialogare, infantili e orgogliosi. Eppure Barney non ha amato nessuno più di Robin. Se non lei, chi? “Se non è potuto succedere con Robin, non potrà mai succedere con nessuna“.
Ma poi accade qualcosa. Un “incidente”, una figlia non voluta. Non vediamo mai il volto della madre né conosciamo il suo nome. Una scelta criticata da più parti ma assai significativa: non è lei a cambiare Barney, non può essere lei. Non dobbiamo focalizzarci su questa donna, una delle tante, non diversa dalle altre. Ma su quella neonata. Su quel piccolo essere che Barney stringe tra le sue braccia e d’improvviso inizia ad amare di un amore che solo un genitore può provare e donare a suo figlio.
“Sei l’amore della mia vita: tutto quello che ho e tutto quello che sono sarà tuo per tutta la vita”.
Quella frase, quella stessa frase che Barney aveva pronunciato poco prima nell’episodio, in maniera parodica, al pub di fronte a una donna qualunque, trasmuta ora di significato davanti a sua figlia. Sono le stesse identiche parole: quello che cambia è l’intonazione, la profondità, l’autenticità con cui le pronuncia. L’unica donna che Barney può amare davvero senza remore, la donna che lo cambia in profondità è lei, la sua bambina. Diventato padre, vede ora le ragazze non più come oggetto ma come soggetto dell’amore. Attraverso gli occhi del genitore le donne non sono più prede ma, assimilate a sua figlia, persone da difendere e rispettare.
Così si compie il suo percorso di crescita.
Tutti hanno raggiunto la realizzazione. Ma qualcosa è rimasto indietro. E la vita non manca di ricordarcelo. How I Met Your Mother ha deciso di sconvolgere tutto nel finale, di rivedere le convinzioni su cui ci eravamo sempre assisi e su cui sembrava che la serie poggiasse. L’idea di un unico vero amore a cui segue la beata felicità.
How I Met Your Mother ha scelto il realismo. Il realismo spesso crudo e ingiusto della vita, dei suoi tormenti, dei dolori e delle perdite pesanti. E ha scelto soprattutto di svincolarsi dall’amore romantico, dall’idea di un’unica, assoluta anima gemella. Ted ha amato Tracy, continuerà ad amarla. Per sempre. Il suo sentimento non viene sminuito da quello per Robin, dall’altro grande amore della sua vita.
A separare i due amici per anni era stato il tempismo: un modo diverso di intendere la vita. Ted e la sua fretta di diventare genitore e marito e Robin con la voglia di realizzarsi a livello personale. Non poteva andare. Non è andata. Ma il sentimento è rimasto. Là, sedimentato sotto un pessimo tempismo, l’amore non si è estinto.
E così la coppia che sempre abbiamo saputo essere perfetta nella sua imperfezione si è finalmente ricomposta.
Ora Ted ha i suoi figli, quegli stessi figli che Robin ama con tutto il cuore, quei figli che lei non ha potuto avere. Ora Robin è realizzata a livello professionale ma sente il vuoto sentimentale, il terribile presentimento di essersi lasciata qualcosa di fondamentale alle spalle.
I tempi sono maturi. Lo capiscono i figli per cui appare chiaro che il racconto non è stato altro che un’immensa, segreta dichiarazione d’amore alla zia Robin. Lo capiamo adesso, a distanza di sei anni, anche noi, finalmente pronti a lasciare andare Tracy. Senza smettere di amarla ma pronti ad aprirci all’idea per nulla romantica ma estremamente realistica che nella vita ci possa essere più di un grande amore. E che c’è un tempo per tutto.
Un tempo per l’anima gemella, per la magnifica corrispondenza di casualità, destino e affiatamento e un tempo per il contrappunto, per la persona che ci completa, diversa da noi ma proprio per questo fatalmente importante. Un tempo per la nostra Tracy e un tempo per Robin.
How I Met Your Mother ce l’ha insegnato ma non eravamo ancora pronti per ascoltare, per tornare alla realtà, al mondo e alle sue brutture. Al realismo di un lieto fine che non è mai una fine vera e propria ma esige sempre una continua capacità di adattamento. Una continua apertura alla vita e all’amore. Fosse anche, anzi soprattutto, un amore che il tempo ci aveva tenuto lontano troppo a lungo. Adesso lo abbiamo capito. Forse.