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Qualcuno ci spieghi perché Viola Davis non è stata nominata agli Emmy Awards 2020

Emmy Awards
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Le stavamo aspettando con impazienza le nomination degli Emmy Awards. Le abbiamo lette, con ingordigia, con la speranza di trovare nelle liste gli show, gli attori e le attrici che amiamo. Di evitare le delusioni. Certo, sapevamo di non poter essere accontentati tutti. Sapevamo che le scelte sono limitate. Ma arrivati alle migliori attrici protagoniste in una serie tv drammatica, ecco che arriva una doccia gelata. Ci sono nomi importanti come Jennifer Aniston e Olivia Colman, la sorpresa Zendaya, le conferme di Sandra Oh e Jodie Comer. E la bravissima Laura Linney di Ozark. Ma manca qualcuno che, in quelle nomination agli Emmy Awards, doveva esserci.

Stiamo parlando proprio di lei: la grandissima Viola Davis.

Fu un’autentica rivelazione nella stagione 2014-2015 nei panni di Annalise Keating, tanto che quell’interpretazione le valse un Emmy. Quella vittoria fece la storia: fu la prima donna afroamericana a portarsi a casa quel premio. Quindi una statuetta l’ha già vinta. Allora perché lamentarsi di una mancata nomina? Semplice: gli Emmy Awards dovrebbero premiare i migliori. E Viola Davis lo è. Sempre.

È la spina dorsale di How to Get Away with Murder, una serie tv che non sempre è stata impeccabile negli anni, incartata com’era spesso nelle solite trame e meccanismi narrativi con rivelazioni certe volte deludenti. Se è arrivata alla sesta stagione è principalmente merito di Viola Davis. Ed è proprio nelle ultime puntate che l’attrice afroamericana mette in scena una performance mostruosa, considerata da molti la migliore di How to Get Away with Murder e, forse, una delle migliori nella storia delle serie tv.

Un’esibizione che puntava dritta agli Emmy Awards.

Emmy Awards

Basti pensare al suo percorso nella sesta stagione, alla sua crescita dalla prima all’ultima puntata.

La morte di Emmett e la scomparsa di Laurel avrebbero potuto riportare Annalise nel tunnel dell’alcol. Stavolta no, stavolta decide di andare in riabilitazione. È scettica sulle terapie, eppure quel “io ti vedo e ti voglio bene” le entra sottopelle. Perché lei non si è mai veramente amata. Così si apre a se stessa nella meravigliosa scena del cuscino. Su di lui Annalise si sfoga con rabbia e disperazione, riversandoci tutte le sue emozioni, le sue insicurezze, il dolore, la vergogna, il razzismo e il maschilismo che ha dovuto affrontare.

Come quando si tolse il trucco e la parrucca davanti al marito, anche in questo momento Annalise rivela la vera sé, si confronta con essa: lei è una donna nera, nata in povertà, nata come Anna Mae Harkness. Che ha cambiato aspetto, nome e ha sposato un Keating solo per essere accettata, seppellendo la sua storia una volta per tutte. Ed è una scena così forte perché la stessa Viola Davis si mette a nudo, scava sotto la superficie, con una naturalezza sconvolgente. La sua recitazione è talmente realistica, talmente impattante e dai temi delicati, da metterci a disagio.

E ci porta a chiedere se l’attrice stesse davvero recitando.

All’odio che prova verso Anna Mae, quella donna distrutta, spezzata dalla vita, dai sensi di colpa e da un passato orribile, si sostituisce l’accettazione di sé nel brillantissimo monologo finale. La maschera che ha indossato cade di fronte alla giuria che deve deliberare sul suo destino. Davanti a sua madre e sua sorella, davanti a Bonnie, Frank, Tegan, Laurel, Michaela e Connor (che mordono la mano che li nutre). Ma soprattutto davanti a sé stessa. Perché Annalise ha sofferto più di Anna Mae. A che le è servito cambiare? Certo, ha ottenuto quello che voleva in ambito lavorativo. Ma ha perso tanto, troppo. Ha provato a scappare, solo perché impaurita, solo per ricominciare. E l’hanno colpevolizzata per questo.

Allora le resta solo una cosa: la verità.

Ha fatto tante cose orribili: ha corrotto testimoni, fatto mentire clienti alla sbarra, ridotto gli studenti alle lacrime, manipolato i giurati. Ma non si è mai macchiata le mani con il sangue di qualcuno. È una brutta persona? Eccome se lo è. Ma non è un’assassina. È semplicemente una donna di 53 anni, ambiziosa, di colore, bisessuale, arrabbiata, triste, forte, sensibile, spaventata, aggressiva, talentuosa, sfinita.

E quando Annalise dice che è esausta, lo sentiamo dentro. Sentiamo il peso degli scandali, degli omicidi, delle rinunce, dei segreti e dei sacrifici. Del suo occuparsi di tutti, tranne che di se stessa. Fino a oggi, quando afferma con grinta e passione chi è, senza più vergognarsene. Ecco perché ne esce vittoriosa: è in tutto e per tutto Anna Mae Harkness. È in tutto e per tutto Viola Davis. Semplicemente meravigliosa in una scena così potente da commuoverci, dove ogni parola, ogni gesto, ogni espressione si carica di significato.

Emmy Awards

Quindi, in tutto questo, come possono essere stati così ciechi quelli degli Emmy Awards?

Perché Annalise Keating è un simbolo, una voce per tutte le donne e le minoranze che reclamano i loro diritti. Perché è uno dei personaggi più complessi, belli e riusciti nella storia della tv (descritta perfettamente da una canzone dei Linkin Park). Piena di contraddizioni ma proprio per questo vera: tutti infatti si sono sentiti come lei almeno una volta, tutti hanno affrontato le stesse battaglie.

Si è fatta strada in un mondo ostile, senza guardarsi mai indietro. Nascondendo se stessa e le sue emozioni. Ma dopo una vita di lotte, di segreti e di tentativi di trovare la pace nei posti sbagliati, Annalise capisce e ci insegna che la chiave per la felicità è solo una: perdonarsi. Smettere di definirsi un rifiuto, un fallimento e un mostro e imparare ad amarsi. Con tutti i pregi e difetti che una persona può avere.

È stata villain, antieroe, madre, moglie, amante, avvocato, amica, nemica, donna, nera. Abbiamo visto ogni aspetto di lei, ogni sfumatura. Solo Viola Davis avrebbe potuto interpretarla. Ma non si è limitata a questo. Le ha dato forma, colore, corpo, emozione, spessore, tridimensionalità. L’ha resa autentica. Perché lei è Annalise Keating. Il suo percorso in How to Get Away with Murder ci ha mostrato la sua grandezza È talento nel significato più puro del termine. E non possiamo perdonare l’Academy per non averle dato il riconoscimento che merita.

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