“Sei abbastanza onesta da sapere chi sei realmente?“. Quella domanda l’aveva offesa. Era indignata: come si permetteva di farle questa domanda? Lei era Viola Davis! Aveva ormai cinquant’anni, aveva vinto ogni premio possibile e osava farle quella domanda. Will Smith era lì davanti a lei, con un sorriso sornione e vagamente compiaciuto. Ma quel sorriso durò volutamente poco. In un attimo si trasformò in una smorfia dolente: “Io sono ancora quel quindicenne lasciato dalla sua ragazza, sarò sempre io. E tu, chi sei?“
Viola capì e un flash attraversò la sua mente. Era di nuovo a quel momento, era di nuovo lì. Una bambina sta correndo, è inseguita da alcuni compagni di scuola. Scappa più veloce che può, in un gioco che non ha scelto di giocare. Le scarpe sono consumate e a Central Falls, Rhode Island, quell’inverno la terra è troppo fredda per correre scalzi. La raggiungono, iniziano a prenderla in giro, insultarla, farle i versi. Arriva il capetto, un ragazzino capoverdiano che si considera portoghese, molto diverso -lui dice- dagli afrodiscendenti che abitano il quartiere.” Le urla insulti indicibili a sfondo razzista. Viola non capisce: “Anche tu sei nero!“. Il teppistello non ci vede più, le urla che no, non è affatto come lei, lui è portoghese! Inizia a prenderla a calci e gli altri fanno lo stesso. Il flash si interrompe di colpo ma Viola rimane lì, a quel ricordo.
Rimane quella ragazzina che per la prima volta ha patito la violenza della discriminazione.
In quel momento, in quel ricordo che riaffiora mentre Will Smith la guarda curioso, Viola Davis capisce che ha sempre corso nella sua vita per fuggire dalle discriminazioni di ogni genere. Lei, donna afrodiscendente in un mondo dello spettacolo maschilista, bigotto e razzista. In quel ricordo Viola Davis sceglie chi voler essere. In quel ricordo sceglie di essere una bambina che, pur spezzata e turbata, impaurita e dolorante, non smette di lottare e rialzarsi.
Nata in Carolina del Sud, Viola passa l’infanzia in Rhode Island dopo che la famiglia ha lasciato il lavoro di mezzadri in cerca di una vita migliore. Ma la vita migliore non è. Il padre, pur apprezzato toelettatore di cavalli, non guadagna abbastanza. Riversa tutta la sua frustrazione sull’alcol e sulla moglie, diventando manesco, violento, mostruoso. Viola quell’orrore lo vive per riflesso, vedendo le gocce di sangue sul pavimento, sentendo i lamenti, rendendosi conto progressivamente che deve scegliere presto chi vuole essere. E lo fa. Ad appena sei anni si pone a difesa della madre, coraggiosa e decisa.
Viola lotta. Lotta contro la violenza e contro la povertà. Contro i topi che invadono casa sua e rosicchiano le facce delle sue bambole. Contro gli altri bambini che a scuola la tengono a distanza. E contro l’insegnante che le dice che emana cattivo odore senza però preoccuparsi minimamente del perché. Viola è sola e lo rimane finché non arriva sua sorella maggiore, Dianne, la persona che per lei è una vera e propria ancora di salvezza. Dianne era rimasta con i nonni materni in Carolina del Sud ma quando vede le condizioni della sorellina non riesce a lasciarla. Si stringe a lei, la conforta, la lava e le dà vestiti puliti. Ma soprattutto le dice una cosa che per Viola diventa recherche fondamentale di tutta la sua vita. “Devi decidere cosa vuoi essere. E poi lavorare duramente per esserlo“.
Viola Davis quelle parole se le tatua sulla pelle, le scolpisce nel cuore e le trasforma in mantra.
Un giorno è seduta a guardare la tv. Un vecchio televisore incerottato, collegato con una prolunga a una delle poche prese funzionanti di casa. In onda c’è Autobiografia di Miss Jane Pittman, Viola sgrana gli occhi. La protagonista è una donna dai capelli corti afro. Alla piccola che siede davanti alla tv le sussulta il cuore. Quella donna le ricorda sua madre e, soprattutto, la mette di fronte a una grande consapevolezza: “È stato come se una mano si fosse protesa verso la mia e finalmente ho visto la mia via d’uscita“. Viola capisce che anche lei, come la grandissima Cicely Tyson, può essere qualcuno. Che la discriminazione può essere sconfitta. Ora sa chi vuole essere.
A quattordici anni partecipa a un programma educativo finanziato dal governo. Oltre a visitare musei e ad avere insegnanti tutor, il programma comprende anche un corso di recitazione. Viola è un talento naturale: riversa tutto il suo dolore, la maturità che è stata costretta a sviluppare precocemente, nella parte. Il suo maestro di recitazione è esterrefatto. La invita caldamente a seguire un corso professionale. Viola lo fa e l’insegnante conferma che in quella ragazza c’è la scintilla del talento. La iscrive a una competizione artistica. Lei partecipa con due grandi monologhi sull’abbandono tratti da Everyman e Runaways, trasponendo nel teatro la sua vita e metabolizzando le sofferenze patite. A Miami le viene riconosciuto il premio di giovane artista promettente. Viola prende coraggio. Lei sa chi vuole essere.
Studia teatro al Rhode Island College e per pagarsi gli studi lavora nella farmacia locale. Dorme sul pavimento, prende numerose coincidenze ogni mattina, torna distrutta a casa ma sa che ne vale la pena. Che vale ogni singola fatica. Si diploma e grazie al suo talento immenso le si spalancano le porte della Juilliard. Deve sostenere l’audizione di ammissione ma contestualmente, quella sera, ha la sua prima prova attoriale da professionista in Rhode Island. “Ho quarantacinque minuto poi devo andare“. Gli insegnanti strabuzzano gli occhi: chi si crede di essere quella ragazzina? La prova di ammissione alla Juilliard dura almeno tre giorni! Viola sale sul palco, recita per quaranticinque minuti esatti, poi si ferma. Sono tutti in silenzio. Lei si fa forza: “Insomma devo sapere se sono dentro o fuori“.
È decisa, ferma, risoluta. Ha ormai scelto chi vuole essere. Negli occhi il fuoco della passione e della caparbietà. È dentro.
Il sogno però di far parte di una scuola così prestigiosa si staglia contro la realtà. Viola è fortemente perplessa dall’approccio “eurocentrico”. Sente di passare il suo tempo in modo sbagliato. Le pare che ogni insegnante non faccia altro che “allenarti per far sparire ogni aspetto della tua blackness“. La ragazza è infuriata, amareggiata, delusa. Lei sa chi vuole essere e non permetterà a nessuno di trasformarla in un’altra versione di sé.
Legge di una borsa di studio per passare l’estate in Gambia. Nella selezione delle candidature una domanda campeggia sulle altre: perché vorresti andare in Gambia? Viola, consapevole di sé, scrive di avere la sensazione che il mondo della recitazione non sia stato pensato per persone come lei. Che ogni copione, testo, manuale non faccia altro che allontanarla da chi vuole essere davvero. Sente di avere bisogno di riconnettersi spiritualmente e recitativamente con qualcosa di autentico e culturalmente vicino a lei. Quell’estate stessa è su un volo diretto in Gambia con un team di studenti interessati alla cultura e al folklore del luogo.
Questa esperienza cambia la vita di Viola Davis. Si innamora dell’oceano, dell’odore spirituale, divino, di incenso, dei balli tribali, della tribù Mandinka, dei riti di nascita e morte. Tutto è scandito secondo precisi gesti, danze, parole, canti. Di colpo Viola spazza via anni di studio recitativo convenzionale e si riveste di pura arte. Di autenticità. “Lasciai l’Africa quindici chili più magra, di quattro sfumature più scura e così cambiata che non sarei mai potuta tornare indietro“. Viola Davis aveva capito chi voler essere e lo stava diventando.
Chiude con la Juilliard, inizia a candidarsi per alcune parti ma tutti i ruoli sono stereotipati, convenzionali.
È sempre qualche parte da emarginato. Prova a cercare qualcosa di diverso ma le sbattono le porte in faccia. “Sei troppo scura“, “Non hai una bellezza classica“, le ripetono. Non puoi fare la protagonista in una commedia romantica! Ottiene parti minori, quanto basta appena per tirare avanti. Senza contare quei debiti universitari che incombono. Vive di porzioni di riso bianco da tre dollari nel vicino ristorante cinese e dorme in un futon sul pavimento di una stanza condivisa con altre persone. Viola Davis sa chi vuole essere ma gli altri faticano ad accettarla.
Poi, però, d’improvviso una chiamata: è il suo agente, le propone un’audizione per la parte di una donna ostinata e riservata. Viola Davis sale sul palco, ripensa al suo passato, ripensa alla sua determinazione, a quella rabbiosa fermezza con la quale si era opposta al padre violento. Ripensa al suo carattere introverso, all’isolamento vissuto. Ripensa alle parole della sorella. “Devi decidere cosa vuoi essere“. Presa. È il suo debutto a Broadway, è il momento di iniziare a brillare. Il talento di Viola Davis risplende fulgido e le garantisce un’immediata nomination ai Tony Awards.
La fama, appena in germe, porta con sé lettere e telefonate dei familiari. Chiedono di aiutarli, di tirarli fuori da quella povertà e dagli abusi che ancora li attanagliano. “Se avrò salvato anche una sola persona, saprò di aver raggiunto il mio scopo“, si dice la Davis. E dà ai suoi familiari tutto quello che riesce a guadagnare. Le parti non le mancano. Continua a teatro, poi passa al cinema e alla tv distinguendosi in tanti ruoli, mai stereotipati, sempre a tutto tondo e fuori da quegli schemi implicitamente imposti a una donna afrodiscendente. La chiamata di Shonda Rhimes per How to Get Away with Murder è solo il compimento di una straordinaria carriera che giungerà fino all’Oscar per la parte di attrice non protagonista nel film Barriere di Denzel Washington. È la prima donna afrodiscendente a vincere Emmy, Grammy, Oscar e Tony.
Per essere chi vuole essere, però, le manca qualcosa.
Il suo innato desiderio di maternità sembra ostacolato da fibromi uterini che vengono rimossi con un’operazione che ne limita la fertilità. In più, Viola Davis è sola, lontana dall’amore. Sul palco di A Raising in the Sun un membro del cast le consiglia di pregare Dio. La Davis è perplessa ma qualcosa dentro di sé la spinge a dar retta al consiglio. “Dio, so che non mi senti da molto tempo, so che sei sorpreso, sono Viola Davis“. Una settimana dopo, sul set di una serie tv, conosce Julius Tennon, attore divorziato con due figli. È amore a prima vista. Quattro anni dopo sono marito e moglie e genitori adottivi di una bellissima bambina, Genesis.
Ora Viola Davis ha cinquantotto anni e quando si ferma un secondo, nella mente, le torna la domanda di Will Smith: “Sei abbastanza onesta con te stessa per sapere chi sei?“. Viola sorride mentre ripensa alla sé bambina, al suo dolore ma anche alla tenacia. Mentre ripensa all’incontro fortuito e salvifico con Cicely Tyson sullo schermo di una tv. Mentre rivede sua sorella dirle, ferma: “Devi decidere cosa vuoi essere“. Ora Viola Davis è diventata ciò che avrebbe sempre voluto essere, ciò per cui ha lottato. È diventata Cicely Tyson per qualche bambina in cerca di speranza. È diventata Viola Davis: la donna che decise chi voler essere.