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Cosa non ha funzionato nella prima stagione di Hunters

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Solo i morti conoscono la fine della guerra.

Circa sei milioni di ebrei, insieme a milioni di altri, morirono nel genocidio della Seconda Guerra Mondiale, nella persecuzione che in seguito avremmo conosciuto come Olocausto. Sebbene Hitler sia stato sconfitto oltre settant’anni fa, la sua dittatura è ancora oggi utilizzata come costante richiamo ai pericoli dell’autoritarismo. Fin dall’immediato dopoguerra, ma a ben vedere già nel ventennio precedente, le forme d’arte e di intrattenimento hanno utilizzato questo tema come icona inossidabile del male. Che si trattasse di cinema, di letteratura, di videogiochi o negli ultimi decenni di serie tv, se c’è un cattivo è molto probabile sia un nazista. La nuova serie drammatica di Amazon Prime, Hunters, utilizza la trama (quasi) immaginaria dei cacciatori di nazisti nel 1977 negli Stati Uniti per evidenziare e sottolineare la storia reale delle conseguenze dell’Olocausto ed esplorare la premessa, non così fittizia, di coloro che credono nella retorica del “non potrà succedere mai più“.

Hunters ha un potenziale davvero eccezionale, con forti momenti emotivi e significativi, ma soffre purtroppo di alcune gravi amnesie sia relative alla scrittura dei personaggi, spesso non così ben sviluppati, che di trame e sottotrame non sempre chiare e ben condotte.

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Uno degli aspetti più efficaci della serie è il modo in cui si interseca e riferisce alla vera storia dell’Olocausto. Ovviamente sono state prese alcune libertà rispetto a dettagli orribili di ciò che avveniva nei campi di concentramento, ma nel complesso Hunters non aveva bisogno di incentrarsi sulla pertinenza storica assoluta delle crudeltà di questo genocidio. Non è una serie storica e non vuole esserlo. Quindi queste libertà, queste licenze, sono ben perdonabili nel giudizio complessivo sulla serie. Non sono certo queste il problema.

In ogni episodio ci viene mostrato un nazista immaginario. Ci vengono mostrare le sue trasgressioni e la caccia che ne consegue per catturarlo e fare “giustizia”.

Il tema che sottende la trama principale è proprio questo: cos’è la giustizia? Hunters ci propone la versione più sanguinosa possibile priva di alcun segno di misericordia per gli ex sostenitori di Hitler. E si interroga su questo, soprattutto con il personaggio interpretato da Logan Lerman. Ma la commistione di questi due aspetti, trama (la caccia) e sottotrama (l’indagine morale), non sempre si amalgama in modo corretto.

Le intense scene drammatiche aiutano sì a muoversi lungo una trama spesso a “combustione lenta“, ma hanno troppo spesso un reiterato ammiccamento allo stile tarantiniano senza averne né l’anima né la forza. Giusto una innegabile estetica.

Al Pacino e la Hinton riescono bene ad ancorare e legare l’intera serie con ritratti dominanti e prove attorali maiuscole, ma come contraltare adombrano, soprattutto il primo, gli altri personaggi che non godono di una scrittura sufficientemente profonda. Ci sono infatti alcuni personaggi fortemente definiti, come appunto Meyer Offerman di Al Pacino, la Detective Morris della Hinton e Niff Biff di Dylan Baker, ma Hunters ha anche molti personaggi a cui non viene concesso abbastanza tempo e spazio per una adeguata esplorazione. Agli spettatori viene fornita solo una frammentaria idea di loro, potenzialmente intriganti, come il veterinario della Guerra del Vietnam Joe Torrance (Louis Ozawa) o l’attivista Black Power Roxy Jones (Tiffany Boone). Discorso a parte per la coppia Markowitz che viene sostenuta in modo superbo da due giganti, Carol Kane e Saul Rubinek, capaci di dare uno spessore e una profondità al limite del toccante.

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Un altro aspetto che può allontanare il pubblico è la violenza, per quanto queste scene siano relativamente poche e molto distanti tra loro in relazione ai momenti più lunghi di dialogo.

Questo alternarsi però non è sempre efficace. Spesso infatti da un lato viene rallentata la narrazione insistendo su monologhi farciti di riferimenti pop, che piegano verso una esagerata autoreferenzialità del giovane sceneggiatore David Weil, e dall’altro non sono sufficientemente efficaci per spezzare i momenti di stanca nel quale Hunters spesso sembra trascinarsi avanti a fatica. Specialmente nella lunga puntata premiere.

Infine c’è un’innegabile estetica da film a fumetti, con colori vivaci e introduzioni di personaggi alla Guy Ritchie delle origini o alla Quentin Tarantino, che piacerà ai fan di quei genere ma che dopo i primi due o tre inserti rischia di scadere nel ripetitivo. L’esagerata ricerca di originalità finisce per diventare quasi uno scimmiottamento di chi quei generi li ha resi celebri e iconici.

Hunters quindi ha davvero un potenziale enorme e un cast a dir poco stellare, ma pecca di inesperienza. La prima stagione sembra un po’ troppo “irregolare” nella trama, ma è comunque un’ottima premessa. Affrontare la minaccia di un Quarto Reich che prende il controllo del governo degli Stati Uniti e potenzialmente del mondo, ricordandoci al contempo quanto sia pericolosa ancora oggi la retorica fascista, è una storia decisamente rilevante e che vale la pena raccontare. Non è un inizio perfetto, ma pone in ogni caso le basi per quella che potrebbe essere una seconda stagione spettacolare.

Quasi tutti i “peccati” che possiamo cogliere sono riconducibili all’inesperienza del giovane showrunner David Weil, ma allo stesso tempo sono anche la migliore garanzia della crescita che potrà avere nella seconda stagione.

Il ragazzo è giovane, ma ha mostrato subito di che pasta è fatto affrontando in modo interessante e “fresco” un tema che rischiava di essere trito e ritrito.

Non solo, ha anche saputo affrontare in modo interessante le tematiche morali ed etiche che ruotano attorno al tema della giustizia privata e della vendetta. Lo ha fatto sia dal punto di vista visivo che di dialoghi sostenuto dalla buonissima prova attorale di Logan Lerman che senza strafare riesce comunque a reggere le scene dinnanzi al fagocitante Al Pacino.

In fin dei conti aggiustare un po’ i tempi scenici, equilibrare azione e dialoghi e gestire meglio i personaggi secondari dipendono dall’esperienza e dalla pratica. Le buone idee, invece, o le hai o non le hai. E Weil ha mostrato non solo di averle, ma anche di non avere timore a metterle in scena come voleva lui. La sfrontatezza giovanile, in questo caso, è un’ottima carta a sua disposizione per la prossima, ormai quasi certa, stagione di Hunters.

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