ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sul settimo episodio della seconda stagione di Hunters!!
David Weil ha firmato anche il secondo capitolo di una serie esagitata e pulp come Hunters, l’opera presentata tre anni fa da Amazon Prime Video come uno dei prodotti migliori della vetrina. Era il 2020 quando i primi episodi della serie tv con Al Pacino facevano il loro esordio su Prime Video. Una serie di difficile collocazione, ricca di citazioni e riferimenti espliciti al grande cinema hollywoodiano. Un thriller cospirazionista, una spy story a tinte splatter, un crime drama, una storia di rivincita, un racconto distopico, una serie molto tarantiniana senza la classe di Tarantino. Il finale della prima stagione, con il grande plot twist legato al personaggio di Al Pacino, aveva diviso il pubblico tra chi ne era rimasto sorpreso e chi invece profondamente deluso. Sta di fatto che il colpo di scena finale aveva lasciato intendere che avremmo visto a breve un nuovo capitolo della serie. Sono passati ben tre anni, ma da venerdì 13 gennaio gli otto episodi della stagione conclusiva di Hunters sono finalmente disponibili su Amazon Prime Video. La caccia si è riaperta, riportandoci indietro in quegli anni Settanta così accecanti e ambigui, in un’America solo apparentemente sicura e vivibile. La rete di bugie costruita nella prima stagione è ormai venuta giù e, già dalle prime battute, possiamo riconoscere i personaggi per quel che realmente sono, senza infingimenti, tentennamenti o ipocrisie. Le nuove puntate hanno segnato un decisivo cambio di passo rispetto alla stagione d’esordio. L’azione si è fatta più serrata, i protagonisti più consapevoli, le loro scelte meno sofferte. Il racconto si divide in due linee temporali che viaggiano parallele per ricongiungersi solo una volta arrivati in fondo. Gli otto episodi della seconda stagione sono decisamente più audaci dei primi e questo non è sempre un bene.
Tra tutte le puntate però, ce n’è una che spicca sulle altre.
Non solo perché è quella che ci avvicina al finale. Non solo perché è l’unica diretta da David Weil. Ma perché si presenta come un episodio a sé, un improbabile cortometraggio infilato di nascosto nelle trame principali. Un’astrazione, un gioco di metanarrazione, una prospettiva defilata – e forzata – sulla storia. L’episodio 7 si intitola La casa e arriva nella fase più concitata della seconda stagione. Nella puntata precedente, i cacciatori arrivano nella tana del Lupo e Jonah riesce a catturare Adolf Hitler dopo il sacrificio di sua zia Chava Apfelbaum (la new entry interpretata da Jennifer Jason Leigh). Una volta prelevato dalla sua fortezza, Jonah è intenzionato a portare il führer davanti alla giustizia. È così che inizia il penultimo episodio: in una landa desolata, con la camera capovolta e Jonah che trascina il villain per eccellenza, Adolf Hitler, verso il suo destino finale. La trama è totalmente slegata dal contesto, almeno all’apparenza. Nel finale dell’episodio 6, poco prima di compiere il suo sacrificio, Chava aveva confessato di aver amato un uomo di nome Zev, La Piaga dei nazisti. Un nome che era diventato leggenda tra la sua gente e al quale erano legate innumerevoli storie sulla guerra e sulla caccia agli ebrei. Credevo che i fantasmi non esistessero, dice Jonah a Hitler. Poi ho sentito una storia. È questo l’incipit del settimo episodio, che ci trasporta su un piano temporale e narrativo diverso. Protagonista della puntata è una casa, l’abitazione del celebre architetto del Reich Heinrich Hansom.
C’era una volta un uomo che raccontava una storia su un uomo, che raccontava una storia su un uomo, che raccontava una storia su una casa.
Immersa in un panorama quasi fiabesco, con pezzi di cenere che piovono dal cielo, il tetto ricoperto d’erba e il cortile curato e colorato, la casa degli Hansom sembra uscita da una favola per bambini. Dentro, due anziani bizzarri parlano a voce alta e si raccontano storie. La camera riprende i due personaggi nella loro quotidianità: il pranzo, i giochi di società, le piccole costruzioni dell’architetto. Un bel giorno arrivano tre soldati delle SS che hanno ricevuto una segnalazione e devono controllare che gli anziani Hansom non nascondano ebrei in casa. Niente ci fa credere che le accuse siano fondate. Il comportamento dei due anziani sfiora l’eccentrico, il design della casa è estroso, i dialoghi hanno un qualcosa di grottesco. Gli agenti delle SS si insospettiscono, sparano un colpo e scoprono il nascondiglio, ma per mettersi in salvo i due coniugi colpiscono i soldati e si sbarazzano dei corpi. La narrazione riparte, ancora una volta uguale. Lo stesso copione si ripete, con le medesime inquadrature. Solo che stavolta al primo piano si affianca anche un secondo piano, che ci mostra invece la vita degli ebrei nascosti nelle pareti della strana casa. Ancora una volta arrivano le SS, ancora una volta pongono le stesse domande e ottengono le stesse risposte. Tuttavia qualcosa va storto, perché uno dei due soldati, pur in assenza di indizi di colpevolezza, spara in testa all’architetto e poi a sua moglie, divenendo il nuovo proprietario della casa.
L’ufficiale vi ritorna qualche giorno più tardi per stabilirvisi con moglie e figlio. Gli ebrei non hanno fatto in tempo a organizzare una fuga, per cui di girono continuano a vivere nascosti nelle pareti, mentre di notte vengono fuori a rubare il cibo ai tedeschi. Una notte Zev, il bambino incaricato di fare scorte, viene scoperto dal figlio dell’ufficiale. Gli altri ebrei vorrebbero uccidere il piccolo per paura di essere scoperti, ma Zev li convince a tenerlo in vita e ad escogitare un piano diverso per scappare. Gli ebrei attirano i due tedeschi allo scoperto, li ammazzano e si liberano di loro. La mamma ebrea si traveste da tedesca e informa le SS che il marito è disperso, scappato probabilmente con un’amante. Il piccolo plotone che si presenta alla loro porta sembra bersi la menzogna, senonché il piccolo tedesco tenuto prigioniero viene allo scoperto e fa saltare il piano. Spari, accoltellamenti, fughe per la sopravvivenza: il ritmo della puntata subisce un’accelerazione, diventa più serrato. Il piccolo Zev fugge dalla casa ormai in fiamme e diventa a tutti gli effetti un fantasma, esattamente come la maggior parte della sua gente. Alla fine dell’episodio vediamo la versione adulta di Zev che accoglie Jonah e Hitler su una barca pronta a trasportarli lontano dal rifugio del führer, verso il processo che farà finalmente giustizia.
La 2×07 di Hunters è l’unico episodio della serie diretto direttamente da David Weil.
Se non fosse per le scene d’apertura e chiusura, sarebbe una puntata a sé, senza collegamento con il resto della storia. Il personaggio di Zev fa da collante con la trama della serie. L’idea di David Weil – anche lui ebreo, nipote di ebrei sopravvissuti all’Olocausto – è quella di sganciare lo spettatore dal fluire della storia e lasciarlo sospeso in un limbo narrativo a parte. Lo stile di regia cambia radicalmente. I colori sono più accesi, nella scena iniziale quasi lisergici. I personaggi sembrano usciti da un sogno grottesco: bizzarri, stravaganti, allucinati. L’anziano architetto, mentre è al lavoro con le sue creazioni, parla di una quarta parete da costruire, segnale che quello che Weil vuole fare è proprio creare dei piccoli fori nel muro immaginario eretto tra schermo e pubblico e infilarci dentro un racconto che somigli a una favola del terrore per bambini. È un episodio delirante e surrealista, nel quale diventa complicato distinguere la realtà dalla finzione, la narrazione dalla metanarrazione. Meyer Offerman, Jonah Heidelbaum e gli altri cacciatori sono lontani anni luce. Le atmosfere cambiano, si fanno più rarefatte, come fosse una realtà sospesa nel sogno. Non è chiaro se ciò che vediamo sia reale o meno e forse lo scopo dell’episodio è proprio quello. Zev potrebbe essere la base di partenza della caccia, la sua fiaba personale racchiude il destino di un intero popolo che è stato costretto a scelte terribili pur di aggrapparsi alla vita.
Le influenze del genere horror sono percepibili distintamente per tutta la durata dell’episodio, del quale i protagonisti sono – per l’appunto – dei fantasmi. È una storiella crudele quella che vuole raccontare David Weil. Di fantasmi che hanno vagato per trent’anni fino all’epilogo finale. C’è un unico filo che lega inizio e fine, passato e presente. E quel filo passo anche per la casa e i destini dei suoi inquilini invisibili. L’importanza dell’essere visti, come afferma Al Pacino in uno dei suoi dialoghi, diventa un tema centrale nel finale di Hunters. Dopo, tutto torna come prima. Chiusa la parentesi, si riparte esattamente dove ci si era lasciati. Ma nel mezzo, Weil ci ha regalato questo strappo brillante. Che non si capisce quanto sia funzionale alla narrazione, ma che rimane ad ogni modo uno degli episodi migliori di tutta la serie.