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I Love Dick, quando una “stupida infatuazione” risveglia noi stesse

I Love Dick
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I Love Dick è la miniserie uscita nel 2016 ideata da Sarah Gubbins e Joey Soloway (precedentemente Jill Soloway) che racconta con tono impertinente l’universo femminile: un universo fatto di supernove, stelle solitarie, stelle che non brillano più (ma che vorrebbero tornare a brillare) meteoriti e buchi neri. Nonostante la serie, prodotta da e disponibile su Amazon Prime Video, sia stata accolta con entusiasmo, è stata cancellata nel 2018 dopo una sola stagione. Niente di più giusto poiché in sole 8 intense puntate, I Love Dick ha detto tutto quello che desiderava dire e tutto quello che dovevamo sapere. Attraverso la protagonista, Chris (una spettacolare ed elettrica Kathryn Hahn), si dirama una vicenda intima, viscerale, ma anche divertente, che ci colpisce tutte, e tutti, in un modo o nell’altro. La miniserie è tratta dall’omonimo romanzo del 1997 dell’artista e scrittrice Chris Kraus (che dà il nome al personaggio principale) ed è stata acclamata dalla critica come una serie tv femminista. E in effetti il dibattito è incentrato sul percorso di autorealizzazione personale della sua protagonista, ma propone un taglio insolito e sfumatamente autobiografico perché il lavoro dell’autrice riguarda lei, eppure riguarda tutte noi. Come avevamo accennato in questo articolo: l’elemento paradossale per la visione femminista tradizionale sta nel fatto che l’emancipazione di Chris viene a svilupparsi in corrispondenza di una figura maschile. Appunto Dick, e come suggerisce Vanity Fair:

I Love Dick è un improbabile classico femminista cha ha passato decenni a essere tramandato da donna a donna e ora è diventato una Serie Tv ancora più improbabile.

Una stupida e improbabile infatuazione

I Love Dick

Chris Kraus – Kathryn Hahn (WandaVision) – è una regista newyorkese di dubbio successo. È una donna sui quarant’anni assuefatta dall’insoddisfazione sia sentimentale, sia creativa, intrappolata in un matrimonio che, invece, era nato da circostanze molto poco tradizionali. Suo marito, Sylvère, è interpretato dall’attore Griffin Dunne ed è un personaggio basato sulla vera identità di Sylvère Lotringer, un noto critico letterario. Lui è un uomo sulla sessantina, ha alle spalle una solida carriera letteraria ed è dotato di un intelletto acuto e brillante, la caratteristica che probabilmente ha fatto innamorare Chris. Sylvère sta lavorando a un nuovo progetto sull’Olocausto (infatti Chirs sarà bollata sin dall’inizio come “The Holocaust Wife“) e all’inizio della vicenda ottiene un internato a Marfa sotto la supervisione di Dick, un artista, un intellettuale e un professore incensato nel panorama artistico contemporaneo che conduce un laboratorio artistico di prestigio, ambito dagli intellettuali di tutto il Paese. Per questo Chris accompagna Sylvère nella cittadina di Marfa, ma lo fa controvoglia perché preferirebbe risolvere un suo problema con un film che è stato rifiutato a Venezia per una delicata questione sui diritti d’autore. La protagonista ha altre cose per la mente e ha l’impressione che queste non siano poi così importanti tanto quanto il lavoro di suo marito. Lei non ha nessuna voglia di stare in quel luogo sperduto nel Texas, impolverato e pieno di cowboy, e non vede l’ora di andarsene. Poi, la rivelazione. Al ricevimento di benvenuto lo vede: Dick è davanti a lei, seduto su un muretto, intento a rollare una sigaretta di tabacco. In un istante Chirs si accende di luce, s’illumina come non le accadeva da anni. Come scrive Kraus nel romanzo, ecco che una “stupida infatuazione” diventa l’innesco per un percorso di autoconsapevolezza e affermazione di sé che nulla ha a che vedere con l’oggetto dell’infatuazione stessa.

Perché Chris è tanto ossessionata da Dick?

I Love Dick

Dick è interpretato da Kevin Bacon, un attore che ha arricchito il personaggio di un’aurea mistica e inarrivabile. Il suo cognome, Jarrett, non viene mai rivelato direttamente, ma possiamo intravederlo sulla carta da lettere nell’episodio 01×03. Contrariamente ai due protagonisti, il tanto venerato artista non è ispirato a nessuna persona reale, anche se qualcuno ha avanzato l’ipotesi che potesse corrispondere al sociologo Dick Hebdige. Ma l’identità di Dick non è affatto importante ai fini della storia, perché lui non è una persona ma è un oggetto di ossessione, di brama, di desiderio, come spiega Sarah Gubbins. Oltre ad essere un nome proprio, in inglese la parola “dick” è anche una parolaccia, cioè “c***o”, ma potremmo intenderlo anche “you’re a dick” cioè “sei uno s***o”. Oltre al nome, un altro riferimento ai genitali maschili sono le sculture di Dick che ricordano delle forme falliche e sono realizzate con materiali considerati “virili”, come la pietra e le travi d’acciaio. Dick diventa un’ossessione psico-sessuale, capace di riaccende la passione nel matrimonio di Chris e Sylvère, il quale è ossessionato dal suo sponsor tanto quanto lo è sua moglie. Perché tutti noi abbiamo un “Dick”, o comunque tutti potremmo incontrarne uno lungo il cammino. Cioè tutti abbiamo bisogno di un innesco che ci aiuti a comprendere noi stessi quando ci perdiamo, quando ci sentiamo soffocare. Nel caso di Chris, si tratta di qualcosa capace di sbloccare il suo desiderio sessuale, ma in realtà l’incontro risveglierà anche il suo potenziale artistico, ormai inaridito. Chris si getta a capofitto nella scrittura di lettere indirizzate a Dick in cui sprigiona le sue fantasie più estreme e i suoi bisogni più inconfessabili; lettere che a detta di suo marito sono qualitativamente superiori a qualsiasi altra cosa lei abbia mai creato.

I Love Dick è un racconto di riscoperta personale

I Love Dick

Una terapia epistolare che inaugura un cammino di riscoperta di sé che non terminerà ottenendo l’oggetto dell’ossessione – Dick – ma con la consapevolezza che quello che Chris stava cercando è sempre stato dentro di lei. Nella puntata conclusiva la protagonista non fugge via per quello spiacevole “incidente delle mestruazioni”. Fugge da Dick perché comprende che può ritrovarsi solo partendo da se stessa e, dopo tutto, realizza che il desiderio per questo grande artista che la rifiutava tanto era solo un preteso, un allarme, un punto di partenza per affrontare le sue insicurezze. Quando l’autrice del libro ha iniziato a buttare giù fiumi di righe sul suo “Dick” (proprio come accadrà nella finzione alla protagonista della serie), non pensava che questo sarebbe diventato un libro, tantomeno una serie tv. L’autrice ha iniziato a scrivere senza freni perché voleva esplorare le cose di cui non vogliamo parlare, come le parti strane, pungenti e imbarazzanti di noi stessi. Kraus ha poi raccolto tutto quel materiale sporco e sconnesso e ne ha fatto un libro. Certamente è contenta che la sua opera abbia ricevuto tanti apprezzamenti e sia diventata un cult, ma contesta l’idea che il libro abbia aperto la strada a un nuovo modo di scrivere, come ha dichiarato a Vanity Fair:

La gente si comporta come se I Love Dick avesse praticamente inventato la scrittura femminile in prima persona, e questo è ridicolo.

Dear Dick, tutte noi abbiamo un “Dick”?

Bobbi Salvör Menuez e Roberta Colindrez

I Love Dick non parla solo di Chris. Introducendo anche altre figure femminili, la storia diventa una storia su tutte noi. Analizza cosa significa essere una donna all’interno della nostra cultura e offre tanti punti di vista intelligenti, e forse provocatori, sulla sessualità e sui ruoli di genere. C’è Devon (Roberta Colindrez) un gender-queer che vive in una roulotte, Toby (Bobbi Salvör Menuez) una storica dell’arte specializzata in pornografia e Paula (Lily Mojekwu), la responsabile dell’Università di Marfa, le quali ci racconteranno in prima persona il loro incontro con “Dick”. La serie quindi introduce molteplici punti di vista femminili, e lo fa sia all’interno della narrazione che dietro di essa. I punti di vista di I Love Dick sono tutti femminili perché – anche se può sembrare un gesto estremo – gli uomini sono stati volutamente esclusi nella fase di sceneggiatura per permettere alle donne di condividere senza remore quello che non avevano mai avuto il coraggio di confessare. La magia del libro, e quindi della versione seriale, sta tutta nel rivelare la vulnerabilità propria della figura femminile dal punto di vista delle donne. Kevin Bacon è rimasto stupefatto dal lavoro di scrittura finale e ha dichiarato:

Ho letteralmente detto: “Non ci saranno gli uomini nella stanza degli scrittori?” Questa è stata la mia reazione istintiva. Ho pensato: “Come faranno queste donne a scrivere cose interessanti, a creare dei personaggi maschili divertenti e complessi?”. Ed è assurdo che io abbia pensato questo, perché per anni le stanze degli scrittori non hanno avuto al loro interno altro che uomini e noi abbiamo sempre scritto per le donne. Devo ammettere che sia Dick che Sylvère sono due degli esempi più affascinanti dell’esperienza maschile che io abbia mai visto in televisione.

Pur essendoci l’uomo, la sua voce non c’è. Uno dei momenti più intensi della storia è proprio quando Dick realizza di essere solo un oggetto sessuale, una vittima impotente e inconsapevole a cui non è stato chiesto il suo punto di vista, e ammette che tutto questo lo fa sentire umiliato:

Non è quello che abbiamo sempre fatto noi uomini alle donne, Dick?

Risponde Sylvère.

Kathryn Hahn

I Love Dick può sembrare una storia su un’infatuazione stupida, un’ossessione viscerale e lussuriosa che dà vita a situazioni umilianti, ma divertenti, catartiche e provocatorie e che, alla fine, ci lascia insoddisfatti, senza una risposta perché la protagonista non ottiene quello che bramava sin dall’inizio: il tanto anelato rapporto sessuale con Dick. Il suo matrimonio forse è finito, o forse no. Né Dick né Sylvère hanno avuto possibilità di ribattere. Nulla di tutto questo ha importanza. Ciò che conta davvero è che Chris abbia ritrovando se stessa e ora può proseguire libera da ogni ossessione e più consapevole del suo potenziale.

Lei si degrada e poi trasforma quella degradazione in arte. E nel processo, inventa uno sguardo femminile, almeno per se stessa. Passa dall’esperire se stessa come oggetto all’affermare se stessa come soggetto.

La serie sovverte lo sguardo maschile, ci costringe alla visione forzata del nudo femminile e degli aspetti più intimi, imbarazzanti, della femminilità. Ci propone un percorso di liberazione dai condizionamenti e dai pregiudizi che frenano le donne, impediscono loro di rivelare le proprie pulsioni naturali e di accedere a nuove dimensioni personali, sentimentali e artistiche. I Love Dick non è un racconto tradizionale, ma rivela quanto tutte noi abbiamo bisogno di un “Dick” che ci liberi dalle gabbie mentali, dal senso di vergogna e dai preconcetti radicati nella cultura occidentale, purtroppo ancora fortemente condizionata da un punto di vista maschile.

Quello che dovevamo davvero capire era chi fosse Chris Kraus e che aspetto avesse la sua ossessione. Quello che abbiamo capito è che la sua ossessione per Dick le permette di scatenare un grande fuoco creativo. Tutti abbiamo c***i che amiamo, cose che stiamo cercando, su cui proiettiamo i nostri desideri.

Sarah Gubbins

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