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The Romanoffs – 1×05: il rumore del pettegolezzo e le cieche trasgressioni

The Romanoffs
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Quando fatata gioventù è macchiata dal fracasso del pettegolezzo, e dal giudizio dei potenti, feroce, il pubblico onore viene meno.
Solo, in mezzo all’indifferenza della massa condivido le sofferenze del tuo animo e prego per te, con forza, gli idoli vuoti.
Ma i potenti, le loro accuse così crudeli non saranno rimangiate, non eliminano le cieche trasgressioni ma si offrono di celare le orme del peccato

Aleksandr Sergeevič Puškin è stato un poeta e un letterato russo. Una delle anime più tormentate e profonde di Russia. Ha vissuto a stretto contatto con il potere, con lo zar, Alessandro I, e ha patito la sofferenza del confino. Le maldicenze, le accuse che gli furono rivolte lo portarono lontano da San Pietroburgo. Quelle stesse malelingue lo avrebbero poi condotto alla morte, sfidato a duello a seguito di accuse sulla fedeltà della moglie. The Romanoffs nel suo quinto appuntamento parte da qui. Pospone la storia di Puškin attualizzandola, rendendola nuovamente viva.

The Romanoffs

In questi episodi di The Romanoffs, è come se l’anima degli zar di Russia rivivesse di continuo nel presente. E le loro scelte si moltiplicassero incessantemente nel tempo, in una circolarità senza scampo. Katherine, in questa 1×05, è una docente di letteratura russa. È, tra l’altro, una discendente dei Romanov. Come il suo avo, come lo zar Alessandro I, è chiamata a compiere una scelta. A scegliere se allontanare il suo Puškin cedendo al richiamo dei pettegolezzi.

David è un pianista. Non ha avuto il successo di Puškin, ma ha un talento inappagato.

Vive, come tutti i personaggi di The Romanoffs, nel ricordo distorto. In un passato di supposta fama. In quel tempo anche Elton John lo avrebbe elogiato. Anche lui sarebbe stato un Romanov. La sua è la sindrome che affligge i protagonisti di questa serie tv. Romanov diventa per tutti un nome dietro cui nascondersi, il vanto mendace di chi è incapace di affrontare la realtà, un presente fatto di fallimenti e sogni infranti.

David è un istruttore di piano. Lo è diventato per caso. Insegna ai rampolli di una comunità di famiglie benestanti. Non ha prospettive. Non ha altro che il pettegolezzo e il complimentoso affetto delle madri di quei bambini. Si crogiola nella sua esuberante personalità, nel civettare complice. Millanta premi, riconoscimenti, amicizie. Ma dietro questa apparenza si nasconde un uomo infelice. Si nasconde un’oscurità che pare emergere con forza quando un’agente di polizia si presenta a Katherine.

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“Comportamenti inopportuni”, l’accusa rivolta al ragazzo. La mente di Katherine inizia a viaggiare. Si perde nel terrore. Lascia che il tarlo inizi a corroderla dal didentro. Che il dubbio si insinui dentro di lei. L’ansia la assale. Torna con la mente al passato. Passa sotto una lente di ingrandimento ogni atteggiamento, ogni episodio che ha visto David protagonista. Alessandro I, alla fine, allontanò Puškin, vittima di quelle maldicenze. Lo esiliò e costrinse a una vita lontano da San Pietroburgo.

Puškin aveva, anche lui, una sua oscurità. Un suo irrivelato male.

A San Pietroburgo donne e piaceri non mancavano mai. Ne parla, in terza persona, nella poesia che ha introdotto questa recensione di The Romanoffs. Una poesia in cui le maldicenze si sovrappongono alla verità di vizi e “cieche trasgressioni”. Quella stessa poesia Katherine ascolta nell’aula del college in cui insegna. E in quelle parole riconosce qualcosa di suo. L’anima di Alessandro I si sovrappone alla sua.

La scelta sarà diametralmente diversa, però. Katherine accetterà di chiudere la porta. Di lasciare che il suo Puškin continui a insegnare ai suoi figli. David ha mentito. Ha millantato parentele che non ha. Ha abbellito il suo passato arricchendolo di episodi mai avvenuti. Ma lo ha fatto per debolezza. Le accuse si riveleranno infondate. Niente a che vedere con le molestie. Forse soltanto una birra comprata a un suo allievo. Forse.

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David non è perfetto. Katherine lo sa. Conosce, ora, le sue debolezze. Ma sa anche che in lui c’è la bontà di chi riscopre la parte più autentiche di sé nell’altro. Nel donare quello che ha, la propria abilità come pianista, all’altro. Là, seduto in quella sedia davanti al piano, David non ha più oscurità. Non ha più colpe. È solo un uomo che dimentica e si spoglia delle falsità di cui si è circondato. E fa quello che sa fare meglio. Arricchisce della profondità di ogni nota i suoi allievi, li introduce alla bellezza della musica. È se stesso, è uomo.

Katherine alla fine lo capisce e cambia la storia.

Inverte e contravviene alla colpa di Alessandro I preservando il suo Puškin. Come accaduto a tutti i personaggi di The Romanoffs, nella storia passata che si fa contemporanea c’è la possibilità di riscatto. Nel primo episodio Anushka dona un nuovo significato alla parola ‘nobiltà’ accogliendo Hajar. Nel secondo Shelly si libera del peso di un matrimonio esausto. E nel quarto Olivia accoglie finalmente l’amore rinnegato.

In tutte le vicende il passato dei Romanov torna in forma nuova e dà spazio a un nuovo esito. Alla possibilità di interrompere un circolo vizioso fatto di costrizioni, rimpianti e valori esteriori. Katherine fa sua questa possibilità. Sceglie di invertire la storia e riscatta le scelte di Alessandro I. Chiude la porta delle maldicenze. Lascia che David possa esprimere il meglio di sé.

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Puškin non era esente da colpe. Le sue erano idea progressiste e non sempre allineate. Aveva dentro di sé le contraddizioni di uomo, le debolezze di ognuno di noi. Ma Alessandro I, cedendo al pettegolezzo, rinuncia anche all’uomo. Al meglio di Puškin, alla sua inesauribile tensione poetica. Alla forza di una delle anime più vive di Russia. Katherine non commette questo errore. Riesce a estirpare il germe del dubbio, anche nei suoi figli. E li restituisce alla purezza di chi da David ha preso solo il meglio. L’umanità declinata in note.

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