Era l’ormai lontano 1987 quando Matt Groening dava vita e inizio a una delle serie animate che avrebbe rivoluzionato il genere: I Simpson.
La più famosa famiglia d’America con i suoi inconfondibili “personaggi gialli” è riuscita ad appassionare il grande pubblico e ad attirarsi le critiche nei dibattiti culturali. Di certo quindi, non è mai è passata inosservata.
I Simpson possiedono molte qualità che, nel bene e nel male, ne hanno fatto un prodotto godibile, longevo e la cui visione non contempla una passività da spettatore. Uno dei grandi meriti che le ha permesso di sopravvivere in tutti questi anni è quello di essere costantemente “al passo coi tempi” e di non lasciarsi sfuggire l’occasione di colorare di toni irriverenti e sarcastici tutte le circostanze estrapolate dalla realtà che vengono messe in scena.
Homer e Marge sono una coppia sposata con tre figli, Bart, Lisa e Maggie. La loro casa si trova in una cittadina immaginaria di nome Springfield che ospita un microcosmo così eterogeneo di personaggi da poter rappresentare il prototipo di qualsiasi società che venga sottoposta a un’accurata osservazione e analisi socio-antropologica. Appare ovvio che non sia possibile trascendere i lati negativi che ogni gruppo umano cela in sé.
Ecco che ogni singolo membro parte di quel mondo che I Simpson hanno costruito, o meglio come diremo in seguito “ri-costruito”, si fa portatore di una inderogabile e precipua specificità.
I personaggi stereotipati che vediamo in azione sono sinonimo di una condizione esistenziale reale che non si allontana da ciò che possiamo e speriamo nella nostra quotidiana esperienza di vita. Spesso, lo show di Groening è stato accusato di essere diseducativo e quindi di provocare effetti controproducenti sui suoi spettatori. Oggi cerchiamo di provare a dimostrarvi che I Simpson potrebbero essere nient’altro che un’approfondita analisi delle devianze che attraversano la nostra società.
Il rifiuto avviene quando ci si guarda allo specchio ma ancora non si capisce che ciò che si vede è il proprio riflesso.
La scelta narrativa, poco opinabile dal momento che la commedia è tale per la sua sferzante sfrontatezza, è quella di caricare ed esasperare nuclei tematici e narrativi al punto da sconfinare, in alcuni casi, nel grottesco ossia in una ambiguità emotiva, a metà tra il ridicolo e il paradossale e perciò disturbante.
Ne è un chiaro esempio Homer, il padre protagonista ubriacone che si dimostra violento nei confronti del suo insolente figlio Bart, il quale a sua volta non riesce a trattenersi dal combinare un guaio dopo l’altro. Tuttavia questo gesto rude e aggressivo è diventato elemento fondamentale dell’immaginario che I Simpson sono riusciti a costruire, episodio dopo episodio.
La particolarità di questa serie animata è la sua volontà di innescare uno sguardo critico e riflessivo. I Simpson non si preoccupano di essere educativi. Non è il loro scopo, né l’effetto che sperano di ottenere in chi li guarda. Possiamo dire che la reazione più elementare che riescono a provocare è la risata ma questa non è il fine ultimo di tutto il racconto.
Senz’altro I Simpson riescono a parlare a più generazioni, divertono i più piccoli con le gag comiche banali e parlano attraverso riferimenti storici, politici e sociali che presuppongono una certa maturità per poter essere compresi. I suoi autori hanno intelligentemente trovato il modo di congiungere ironia e denuncia senza mai tradirne il nucleo originario.
I Simpson sono un viaggio nella Storia, quella che riguarda il mondo intero e che noi tutti leggiamo sui giornali e smartphone ogni giorno ma anche nella storia, quella con la esse minuscola. Quest’ultima è quella che ci appartiene, quella più vicina alla nostra quotidiana esperienza.
La capacità di riprodurre questa duplice realtà, in cui ciascuno è calato, rende possibile in ogni episodio sperimentare un sentimento di identificazione e straniamento. Inoltre, i suoi protagonisti hanno il merito di non invecchiare mai, di rendersi così contingenti e allo stesso tempo di mantenersi costantemente sospesi in una dimensione fuori da ogni tempo.
Inoltre, I Simpson riescono ad appassionare chiunque per via della loro costante caratterizzazione metalinguistica: guest star, serie tv, letteratura, mondo della musica, arte e film sono presenze ricorrenti che si intrecciano alle comiche sequenze di questo show.
Ad esempio, ricordiamo le tante celebrità che sono apparse, la sigla ibridata ai diversi generi musicali o ai brani più popolari del momento così come le intere sequenze tratte da celebri capolavori cinematografici, tra cui i più amati Blockbuster americani.
In conclusione, sarebbe impensabile raccontare I Simpson senza menzionare uno dei momenti più noti ed eloquenti dello show come la sua sigla: il motivetto composto da Danny Elfman nel 1989 si accompagna a una delle gag più rivisitate di sempre, la “gag del divano”. C’è un modo per poter definire tutto ciò? Tutto è sempre identico e al tempo stesso nuovo. Ogni volta qualcosa cambia, conferisce unicità e irripetibilità a quel minuto prima dell’inizio eppure tutto resta sempre lo stesso. Ci rincuora sapere che la nostra adorata famiglia Simpson si siederà sul suo divano e inizierà a raccontarsi e al tempo stesso a raccontare di noi.