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Come i Simpson hanno imparato nel tempo a valorizzare al meglio anche i personaggi più marginali

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Quando quel genio di Matt Groening regaló al mondo intero i Simpson, io non ero ancora nato. Era il 1999 e l’opera aveva appassionato milioni di persone da almeno dieci anni. La serie debuttò in prima serata, sotto forma di episodi di mezz’ora, il 17 dicembre 1989. Oggi l’opera è stata rinnovata per la 33ª e 34ª e ha travolto d’entusiasmo anche me, quel bambino nato dieci anni dopo i Simpson. Perché è così che funziona, no? Possiamo vantarci di essere nati nel secolo in cui è stata partorita la più lunga sitcom e serie animata statunitense mai trasmessa?La risposta è affermativa.

I Simpson, non sono solo un prodotto televisivo, ma un binocolo attraverso cui guardare la società, un giornale su cui leggere parentesi di cultura. Ma più di ogni altra cosa, I Simpson rappresentano magistralmente la condizione umana. Lo fanno con ironia, sì. Giocano con lo spettatore a suon di battute e dialoghi taglienti, ma tutti noi sappiamo che l’ironia è solo l’altra faccia della verità. Dietro questa facciata allegra, si nasconde un abisso di realtà. Una realtà che i Simpson hanno saputo raccontare con lucidità e irriverenza. 

Come fa un cartone a rappresentare la complessità del mondo? Questo fantastico paradosso trova una risposta nel modo in cui sono stati tratteggiati i protagonisti dei Simpson. Ogni show, soprattutto questo, funziona se funzionano i personaggi. Homer, Marge, Lisa, Bart e Maggie hanno influenzato diverse generazioni e sono entrati nel cuore di chiunque. In ognuno di loro si nasconde una piccola parte di noi, un angolino a cui abbiamo guardato con affetto e simpatia. Abbiamo sognato di accompagnare Bart a scuola e fare dispetti a tutti i passanti. Abbiamo desiderato magiare chili di ciambelle con Homer o aiutare Lisa con i compiti. Non importa con quale sguardo si guardano i Simpson, a Springfield ci sentiremo sempre a casa. Allo stesso tempo non è facile, però, guardare più di 700 episodi se la trama coinvolge sempre gli stessi personaggi. Con il tempo Matt Groening ha fatto un’operazione magistrale rendendo i Simpson un’opera sempre più corale. 

I Simpson abbraccia la coralità come poche serie

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Perché se è vero che la famiglia da cui prende nome il titolo resterà il fulcro di ogni vicenda, l’opera ha saputo valorizzare al meglio anche personaggi più marginali. Come in una società non stereotipata e caratterizzata da tempi collettivi, Springfield è il nido di un’infinità di caratteri diversi. Quanto è difficile non essere monotematici, soprattutto in un cartone? I Simpson boicottano la domanda con una risposta superlativa: siamo tutti protagonisti.  

Impostare un prodotto del genere diventa più facile se ad ogni personaggio è legato un leitmotiv, una sigla, un concetto. In questo senso, ad esempio, i Simpson hanno usato con brillantezza la forza del linguaggio. Ricordate la locuzione contro i francesi usata da Wille, il mitico giardiniere con un trattore che chiama Duchessa? Willie chiamerà i francesi “arrendevoli scimmie mangia-formaggio”, una sbeffeggiante definizione che, grottescamente, sarà usata dal settimanale statunitense di stampo conservatore National Review quando, nel 2003, la Francia si oppose alla guerra in Iraq.

Dello stesso peso è la mitica frase frase pronunciata da Kent Brockman “Do il benvenuto ai nostri insetti signori supremi”, usata poi più volte dai media Usa, come il periodico New Scientist, per esprimere scherzosamente la più totale sottomissione a qualcuno. In questo modo due personaggi che apparentemente possono sembrano marginali, hanno avuto luce propria per brillare in un contesto che non elegge capitani.

Se pensiamo a Milhouse ad esempio, sapevate che inizialmente era stato creato da Matt Groening per gli spot dello snack Butterfinger con protagonista Bart, e successivamente incluso nella serie televisiva? Oggi Milhouse è a tutti gli effetti un pietra miliare dello show. Realizzato per essere il migliore amico di Bart, è finito per diventare molto di più. Milhouse è il classico esempio di audacia in contesti sentimentali. Innamorato da sempre di Lisa, ma respinto il più delle volte, non demorde e nell’episodio 19 della sesta stagione viene sottinteso che i due in futuro finiranno a letto insieme e in un altro episodio, si scopre che la giovane Simpson ha un debole per lui, al punto di baciarlo sulle labbra. Milhouse non è solo un perdente, ma molto di più. Un bambino a cui ci siamo affezionati soprattutto per la sua dolcezza e ingenuità.

Ned Flanders all’inizio della serie, doveva essere il classico vicino di casa dal giardino sempre più bello dei Simpson che aveva il compito di far arrabbiare Homer in qualunque occasione. Era stato concepito per essere molto più secondario, ma grazie alla popolarità del personaggio, Flanders divenne uno dei volti principali dello show, ottenendo sempre di più ruoli importanti e diventando il protagonista indiscusso di alcuni episodi della sitcom.

Flanders è diventato nel corso degli anni una caricatura della destra cristiana, ed è uno dei personaggi preferiti da molti spettatori cristiani. L’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, è un grande fan della serie e, in particolare, di Flanders. Personaggio adorabile e genuino è voluto bene da tutta la cittadina. In fondo, anche da Homer. Fiducia. Si può riassumere in questa parole il sentimento che tutti noi proviamo verso Flanders.

Da Krusty il Clown a Telespalla BoB, il trionfo della diversità.

Se BoB è un personaggio amorale e cinico, in contrapposizione con gli altri personaggi dell’opera, Krusty molto spesso dimostra di essere un personaggio di dubbia moralità: odia i bambini ed è morbosamente legato ai soldi e alla fama, cinico e dedito a tutti i vizi possibili. Tra cui alcool, droga e gioco d’azzardo. Sapevate che ha anche un terzo capezzolo, una voglia a forma di vitello e una cicatrice sul petto per i conseguenti interventi al cuore dovuti ai troppi spot da lui girati per promuovere carne suina? Mitico Groening! Questa storia sembra legata alla legge del contrappasso presente nella Divina Commedia. 

Lo show sembra essere una madre che non si dimentica dei propri figli, in nessun modo. Ogni personaggio trova il suo posto nella storia e la sua storia nel posto. Come in un puzzle inesplicabile, la storia unisce pezzo a pezzo senza lasciare nessuno indietro. In questo senso i Simpson fanno un passo ancora più lungo quando presentano personaggi che lasciano il segno in pochissimi episodi. In poco più di venti minuti.

Vi ricordate di Gil Gunderson? Stereotipo dell’uomo fallito, non ha un ruolo fisso all’interno della serie e ogni volta che compare svolge una professione diversa. Come rendere un personaggio marginale efficace ai fini della trama? Rendendolo il legale di casa Simpson. Una trovata geniale come quella che permette a tutti noi di ricordarci di Disco Stu. Per rendere unico un ballerino qualunque come Stu, l’opera lo veste alla maniera di Tony Manero de “La febbre del sabato sera”, con vestiti attillati da discoteca, un parruccone tondo e castano e gli stivali rigorosamente con le zeppe, che contengono un acquario con tanto di pesci rossi (morti).Come rendere un personaggio unico? Chiedete a Matt Groening e a Disco Stu.

Un altro meccanismo narrativo geniale è quello di prendere un cattivo e porlo al fianco di uno dei protagonisti. In questo senso si spiega la scena in cui Anthony D’Amico, meglio noto come Tony Ciccione, il capo del clan mafioso di Springfield, aiuta Marge Simpson nella vendita dei pretzel compiendo vari atti illegali per ostacolare e rendere inoffensiva la concorrenza. Tony , aiutando Marge, verrà ricordato ancora di più per queste azioni. 

E come distinguere Patty e Selma, le due sorelle di Marge? I capelli di Patty sono senza riga, Selma ha la riga in mezzo. I vestiti di Patty sono lilla, quelli di Selma sono blu. Patty ha orecchini azzurri di forma triangolare, Selma ha orecchini arancioni di forma circolare. Un particolare. Un colore. L’opera omaggia in questo modo tutti i suoi personaggi. Non ci sono copioni, ma solo difformità. È la differenza che ci rende speciali.

Chiedete al dottor Hibbert come è diventato dottore. Semplice, non si sa. In un episodio dello show ci sono dei riferimenti al fatto che il dottore sembri esercitare la professione di medico senza avere le dovute licenze. A Springfield c’è un dottore che non ha imparato ad esserlo. È un connotato particolare come quello che vede Hibbert incarnare l’afroamericano originario della classe lavoratrice ma arricchitosi ed elevatosi grazie a una professione raggiunta tramite il college.

Sembra quasi che il suo aspetto, quello della moglie e dei figli siano una parodia de I Robinson, la famiglia del noto telefilm anni ottanta. La parodia è un elemento cruciale all’interno dell’opera. Affidare ad un personaggio di seconda fascia il ruolo di dottore, uomo al centro del mondo, sembra un’antitesi. E invece è l’ennesima dimostrazione di quanto nei Simpson sono esclusi elementi inessenziali.

In conclusione la sitcom statunitense ha fatto la storia. Ha fatto la storia anche e soprattutto grazie all’enorme catalogo dei personaggi presenti nell’opera. Con il tempo abbiamo capito che di marginale, nella storia degli uomini gialli, non c’è niente. Fanno tutti parte del grande libro della vita. Perché in fondo, i Simpson sono questo, il ritratto della vita. E se nella vita vince la collettività, a Springfield regna la diversità. Diversità di caratteri e di personalità. Personalità che rendono ogni personaggio unico e inimitabile. I Simpson hanno vinto la sfida. Attraverso un’opera corale sono riusciti a cambiare, anche  in questo senso, la storia della televisione. E come dice Apu, non a caso Apu: Ciao e Arrivederci! 

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