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Il lento e inesorabile declino di Ned Flanders e il fenomeno della “flanderizzazione” nelle Serie Tv

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Ned Flanders e I Simpson

Ogni uomo in America
Odia il suo vicino
Ma peggio di Ned Flanders non si può
Cantar voleva insieme a me
Bigotto, idiota e scimpanzé
Ti odio e un cazzotto ti darò

Il suo nome è Flanders
Dir che lo odio è poco
Vorrei che la sua casa andasse a fuoco…

… e così via. Tanto la conoscete: l’avete canticchiata un po’ tutti, mentre leggevate. Tratta dal diciottesimo episodio della quattordicesima stagione de I Simpson, “Tutti odiano Ned Flanders” è un’atipica canzone natalizia scritta e interpretata da Homer e ovviamente dedicata al suo “molesto” vicino di casa, Ned Flanders. Incarna, in qualche modo, un sentimento condiviso dall’intera popolazione di Springfield: i bacchettoni, d’altronde, non stanno mai granché simpatici e Ned, nonostante sia un uomo sostanzialmente buono, non va giù a nessuno, o quasi. “Tutti odiano Ned Flanders”, tutti cantano l’invettiva e, alla faccia del Natale, tutti si divertono alle sue spalle.

Ma perché? Che ha fatto di tanto male quest’uomo? Cosa è andato storto tra Ned Flanders e il resto del mondo?

Perché non dedicare il medesimo brano a Bart o allo stesso Homer, due che di danni ne hanno fatti parecchi nel corso del tempo e di motivi per farsi detestare ne hanno offerti fin troppi, sulla carta ben più del pio vicino? Beh, la risposta è più semplice di quel che sembra e allo stesso tempo molto più complessa. Perché da un lato basterebbe immaginare per un attimo di ritrovarsi con un uomo così nella propria vita, mentre dall’altra è indispensabile riflettere a fondo sul percorso del personaggio nel corso delle 34 stagioni finora andate in onda de I Simpson. Un percorso poco lineare, spesso tragico. E di difficile lettura, se si entra nei dettagli e si leva la maschera a ogni potenziale tratto stereotipato. Questa, insomma, è la storia della nascita, l’ascesa, il declino e la resurrezione di un protagonista iconico, la cui scrittura dalla qualità discontinua ha finito col meritare una definizione persino universale, ormai parte di ogni dizionario seriale e utilizzabile per svariati titoli e innumerevoli personaggi delle comedy degli ultimi decenni: il fenomeno della “flanderizzazione”.

L’analisi che segue si ispira fortemente a un bel video postato qualche tempo fa da un interessantissimo account YouTube dedicato ai fan dei Simpson, The Simpsons Theory, in cui sono presenti spiegazioni, teorie e approfondimenti di vario tipo. Quello da noi preso in esame oggi (eccolo, se volete guardarlo) si domanda, per l’appunto, cosa abbiano sbagliato gli autori nella gestione ormai trentennale di un personaggio inizialmente amatissimo e poi, col tempo, uscito dalle grazie degli spettatori. Per farlo, ha preso in esame alcuni dei momenti chiave che anche noi illustreremo nel dettaglio per poi parlare, diffusamente, della sua cosiddetta “flanderizzazione” e la successiva universalizzazione nel panorama seriale. Come noterete in seguito, le nostre considerazioni sul fenomeno differiranno da quelle della bravissima youtuber statunitense, ma per il resto procederemo sulla sua falsariga attraverso diverse integrazioni sul tema.

Iniziamo quindi col chiarire un punto importante: cosa si intende per “flanderizzazione” del personaggio? La definizione è piuttosto essenziale: nell’ottica della scrittura di un character, specie se secondario, si individua un tratto distintivo della sua personalità, una caratteristica unica, una virtù o un vizio, inizialmente parte integrante dell’evoluzione del personaggio, poi divenuto più centrale ed estremizzato al punto da aver fagocitato tutto il resto. La complessità, drammatica e comica (ma soprattutto comica), viene sacrificata nelle fasi successive in nome di una scrittura più semplice e basica, incentrata su un unico fattore che appiattisce il personaggio. Si tende spesso a trasformarlo in una macchietta, lo si fossilizza su peculiarità sempre più generiche e lo si trasforma, talvolta fino a snaturarlo. Manco a dirlo, la sfumatura della definizione è piuttosto negativa: la “flanderizzazione”, nell’ottica di chi se ne avvale nelle proprie analisi, è sinonimo di una scrittura stanca, pigra, ancorata a certezze imprescindibili che vanificano ogni potenziale sforzo per valorizzare diversamente il personaggio. Ma è davvero così?

Secondo noi, no. Non sempre, almeno. Non in tanti dei casi presi in esame nel video. Si pensi a The Office, per esempio. In particolare a Creed e Kevin, menzionati direttamente. Secondo l’autrice, i due personaggi si sono progressivamente “flanderizzati”, appiattiti su poche caratteristiche peculiari. Se si dovesse azzardare con una definizione importante, si potrebbe persino affermare che i due si siano “cartoonizzati” nel tempo. È vero? Assolutamente sì. Ma è davvero un problema? Di per sé no: specie se si tratta di personaggi secondari in produzioni comedy dalla lunga o lunghissima durata, avere dei riferimenti comici “fissi” è importante, se non decisivo. E non è necessariamente sinonimo di scrittura pigra. Lo stesso non si potrebbe dire se si trattasse di personaggi primari ma, per quanto riguarda gli altri, la ricerca e la valorizzazione di ricorrenti peculiarità comiche è importantissima, ancora più in una produzione con centinaia di episodi. Ben vengano, insomma, le maschere comiche di Kevin e Creed, divertentissimi dal primo all’ultimo episodio di The Office. Ma è possibile generalizzare il concetto e parlar bene a priori della “flanderizzazione”? No, affatto.

Se si affrontano I Simpson, per esempio, e in questo pezzo è tutto quello che davvero conta, no. Non è possibile. Perché la “flanderizzazione” di Ned e di tanti personaggi primari è stato un problema, gigantesco. Il problema dei problemi, a seconda delle prospettive. Quello che per certi versi ha davvero segnato il declino della serie e ne ha sancito la presunta “zombieficazione”, a partire dalla nona stagione. Al di là del fatto che le durissime prese di posizione nei confronti de I Simpson delle venticinque stagioni successive siano spesso più che eccessive, è innegabile che la qualità di scrittura proposta dal primissimo team di autori, quello che ha lasciato I Simpson dopo la sesta stagione, fosse di un livello superiore, pressoché irraggiungibile da ogni punto di vista. Questo non significa che le stagioni venute dopo non abbiano una loro validità e non si può manco dire che tutte le fasi attraversate nei venticinque anni successivi dai Simpson siano state uguali tra loro, ma un fondo di verità nelle accese critiche c’è. E il percorso involutivo di Ned Flanders è emblematico, tale da aver cannibalizzato la definizione.

Emblematico, ma anche paradossale: Ned Flanders, infatti, non è il personaggio che si è più “flanderizzato” ne I Simpson. Si pensi a Homer e la sua stupidità: l’ha reso progressivamente sempre più aggressivo e fastidioso. Sennò alla depressione di Boe e il quoziente intellettivo bassissimo di Ralph (inizialmente dotato di talenti nascosti e incompresi): meritano una menzione, al pari di tantissimi altri personaggi de I Simpson. Pressoché tutti, “flanderizzati” nel corso degli anni. Ridotti a meri espedienti comici semplici e semplicistici, spesso pigri. Quanto Ned. Forse più di Ned. Ma si parla sempre e solo di Ned. Perché? Perché è il personaggio per il quale il passaggio è stato più traumatico e segnato da eventi drammatici, spesso tragici. E soprattutto perché ha trasformato uno dei personaggi più amati della prima era in uno dei più detestabili delle successive, fino a un parziale ritorno alle origini negli ultimi anni.

D’altronde, Ned Flanders nasceva per essere un personaggio secondario come tanti altri. Una goccia nel vastissimo microcosmo de I Simpson. Ma il carisma della sua figura l’aveva avvicinato fin da subito agli spettatori e portato ad assumere nel tempo una posizione sempre più centrale, appena subalterna a quella dei componenti della famiglia Simpson. Tutti amavano Ned Flanders, all’inizio: il vicino ideale, il padre ideale, il marito ideale. Palestrato e di bell’aspetto, benestante, buono, generoso e pronto ad aiutare tutti nel momento del bisogno. Un uomo perfetto, invidiato e per questo detestato da Homer. Con la consapevolezza che Ned fosse l’uomo che lui avrebbe voluto essere e per questo da denigrare, umiliare e abbassare al suo livello. Ned Flanders era tutto ciò e lo era stato per anni. E sì, era anche un fedele credente, timorato uomo di Dio, un conservatore della miglior specie. Ma non era mai solo quello, affatto. Poi però, qualcosa si è spezzato, a partire dalla settima stagione. E Ned Flanders è cambiato, si è atrofizzato e si è trasformato nel personaggio oggi odiato un po’ da tutti.

La prima crepa nel personaggio la troviamo nella 7×03, Casa dolce casettina-uccia-ina-ina, in cui Ned fa una cosa orribile: dove aver preso provvisoriamente in affido i figli dei Simpson, decide di battezzarli contro la volontà dei genitori, ignari della decisione del vicino. Il Ned delle prime stagioni, ancorato alla fede ma allo stesso tempo paladino del pluralismo a più riprese, non avrebbe mai fatto niente del genere. Così come non avrebbe condotto nel modo feroce in cui l’ha fatto una crociata contro i Simpson per il presunto scheletro di un angelo, usato da Homer per trarne un profitto (9×08). E che dire dell’iconico scatto d’ira nell’ottavo episodio dell’ottava stagione? Umilia un’intera città, “rea” di averlo aiutato, seppure attraverso una modalità più che rivedibile, dopo che aveva perso la casa e attraversato una fase di acute sventure.

Ecco, in quel momento vediamo un tratto caratteriale inedito che ne segna la transizione: la rabbia, infatti, è un elemento peculiare del personaggio, tale da esser soffocata dall’atteggiamento innaturalmente bonario che di solito presenta. E trova in quell’episodio una spiegazione più che approfondita. Scopriamo, infatti, che Ned è figlio di due “figli dei fiori” anarchici che non gli hanno impartito una vera educazione e l’hanno sostanzialmente abbandonato fin da piccolo al proprio destino: nella rabbia del personaggio si individua quindi una reazione estrema al vuoto nel quale era sempre stato immerso. Una rabbia che da quell’episodio in avanti emergerà sempre più spesso. Così come sarà sempre più spiccata l’enfatizzazione della propria superiorità morale nei confronti di chiunque altro. Un’enfasi che si traduce in una volontà di giudizio costante, passata sotto la lente di un conservatorismo che assume contorni reazionari e che distorce progressivamente Ned Flanders. Fino ad appiattirlo dietro la maschera del bigotto, dell’estremista religioso. Di un fondamentalista, persino pericoloso. Una maschera che distrugge tutto il resto e relega i momenti del vecchio Ned in episodi sempre più rari.

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Il momento chiave che segna il declino definitivo di Ned Flanders arriva però alcune stagioni più tardi. Nell’undicesima, più precisamente nel quattordicesimo episodio. Una puntata famosissima perché è quella in cui muore sua moglie, Maude. Da quel momento in poi, la deriva di Ned è inarrestabile e lo porta a toccare il fondo a più riprese, specie tra la quindicesima e la ventesima stagione: il Ned dei primi anni ricompare solo in occasioni sporadiche, mentre le peggiori parti del suo carattere, ormai le uniche a esser davvero mostrate, lo rendono più odioso e “flanderizzato”. Ned usa lo spettacolo del Superbowl nel modo meno laico possibile (16×08) e mostra inediti tratti omofobici in diversi casi, ancora più accentuati nel momento in cui scopre l’omosessualità di uno dei suoi figli. Mal sopporta le altre religioni e le umilia con aperte denigrazioni: in una situazione, arriva addirittura a prendere per i fondelli Apu, induista, e associare il culto di Shiva all’adorazione per un supereroe. Un mutamento di prospettiva radicale, rispetto al passato: in Homer l’Eretico (4×03), al contrario, aveva riavvicinato Homer alla religione attraverso il contributo attivo di un protestante (il reverendo Lovejoy), un ebreo (Krusty il Clown) e un induista (il già citato Apu).

A un certo punto, nella diciassettesima stagione, fa persino arrestare la piccola Lisa, “colpevole” secondo lui di aver difeso l’evoluzionismo e aver lottato per continuare a insegnarlo nelle scuole, e invoca a spada tratta la diffusione delle teorie creazioniste, antiscientifiche. Ned è ormai reazionario in tutto e per tutto, uno di quelli della peggior specie: giudica tutti dall’alto verso il basso, sente che Springfield sia ormai moralmente troppo inadeguata per i suoi altissimi standard e decide di lasciarla per un breve periodo nel sedicesimo episodio della ventesima stagione. Risultato? Si ritrova in una città ancora più bigotta di lui, Humbleton, e assume l’improbabile ruolo del sovversivo per il solo fatto che porti i baffi, lì vietati. Torna a Springfield e pochi episodi dopo, nel ventesimo, mostra al mondo un tratto psicologico che quelli bravi avrebbero individuato dopo pochi secondi: il complesso di Dio. Si ritrova, infatti, a controllare la città attraverso un’infinità di telecamere e a giudicare tutti, in ogni momento, segnalando con solerzia i comportamenti ritenuti inappropriati. Ned è semplicemente insopportabile, tutti lo detestano e sembra esser detestato persino da se stesso, visto che rinuncia all’amore in più occasioni con una sola motivazione: mantenere una via morale immacolata. Con un problema, su tutti: a differenza del passato, non impara mai dai propri errori e resta sempre sulle sue posizioni, radicali ed estremiste.

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Insomma, per Ned sembra non esserci più speranza: eppure, una speranza, c’è sempre. Soprattutto nell’arco di una lunghissima storia, dalle mille vite. Ned, allora, trova una nuova occasione, insperata. E il percorso affrontato successivamente potrebbe persino rendere più comprensibili parte delle nefandezze esposte finora, seppure continui a non giustificarle affatto. A un certo punto, infatti, Ned si “deflanderizza”. Grazie all’amore di una donna davvero speciale: Edna Caprapall. La donna, infatti, entra nella vita di Ned a partire dalla ventiduesima stagione. E dopo un’iniziale diffidenza nei confronti di una coppia composta da due personaggi storici de I Simpson che fino a quel momento erano entrati in contatto rarissime volte, viviamo con loro una bella storia, dai risvolti positivi. Grazie a un litigio con Edna (22×12), si avvia il suo cambiamento, accetta l’idea di aver sbagliato e impara finalmente dai propri errori, dopo essersi permesso di giudicare Edna per le promiscue relazioni avute in passato.

Altrettanto fa nel finale della stagione successiva, segnando la resurrezione di un personaggio non più ancorato alle ataviche certezze: la relazione con la donna porta a una maggiore apertura e incide in positivo anche sul percorso di crescita dei figli, verso i quali era diventato iperprotettivo, una figura genitoriale per molti versi tossica. Migliora progressivamente e torna quello di un tempo, il vecchio Ned che tanto avevamo amato. Con la morte di Edna sembra esserci un ulteriore passo indietro: nella 31×09, per esempio, caccia suo figlio di casa perché metteva in dubbio la propria fede, ma il ricordo dell’amata moglie sembra comunque guidarlo verso una strada migliore. Ned è meno giudicante, più capace di capire gli altri e accettarli per quello che sono.

L’amore ci restituisce un Ned Flanders differente, unico. Un uomo diverso. Un uomo migliore. E un uomo che capiamo pure meglio, dopo aver brancolato nel buio per un ventennio.

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Al di là dei problemi di scrittura affrontati nel corso degli anni, in Ned si può individuare, non a caso, una fase davvero difficile soprattutto tra la morte di Maude (della quale sembra aver assimilato in seguito i tratti più negativi) e l’avvento di Edna (della quale ha assimilato invece i tratti più positivi): questo lungo periodo rappresenta la crisi d’identità di un uomo distrutto, in cui accentuava il suo credo a dismisura per ritrovare un posto nel mondo e dargli un senso. La rabbia, in parallelo, dava una risposta al vuoto, così come era successo nel corso della sua infanzia. E la fede ha allo stesso tempo offerto una via di fuga, uno schema, una possibilità di comprendere un mondo in cui pareva brancolare nel buio. Insomma, se ci ragioniamo a posteriori, anche nella “flanderizzazione” di Ned possiamo individuare degli aspetti intriganti. Razionali, studiati, non episodici e nemmeno stanchi sul piano della scrittura. Così come possiamo fare ne I Simpson, ancora oggi. Dopo trentaquattro anni.

Perché è vero: “flanderizzare” i personaggi ha appiattito le peculiarità comiche di una serie che non diverte più come un tempo, ma siamo davvero sicuri che si possa dire altrettanto a proposito dello spessore riflessivo dai toni più drammatici, emotivi e umani che le sue straordinarie storie ci regalano anche dopo oltre 700 episodi? In fondo, la “flanderizzazione” ha estremizzato un elemento caratteristico che si è spesso sublimato in improvvisi episodi d’altissimo livello, attraverso un’epifania. E non è poco, per Ned e non solo. Pensiamoci, prima di darli per morti a prescindere come facciamo da ormai un quarto di secolo: gli zombie, contro ogni aspettativa, respirano meglio di molti altri. Anche se non sono più quelli di un tempo. E hanno ancora qualcosa di importante da raccontarci. Allora porgiamo l’altra guancia, per una volta. Perdoniamoli per i loro vizi ed esaltiamo le loro virtù, ancora spiccate. Così come potremmo perdonare Ned Flanders, anche se ha combinato quello che ha combinato. Porgere l’altra guancia dopo esserci permessi di giudicarlo, come gli avevamo visto fare per troppi anni. Facciamolo, amiamo Ned per quello che è. Riportiamolo sulla retta via, quando sbaglia. Facciamolo, senza essere bigotti: quest’uomo odiato da tutti, d’altronde, aveva solo bisogno di un po’ d’amore.

Antonio Casu