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Come stai, Tony?

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Nell’ultima stagione de I Soprano, in Tony cambia qualcosa. Cambia qualcosa nel più classico dei momenti, in cui il pericoloso boss si trova a tu per tu con la morte, realmente, per la prima volta. Fino a quel momento Tony era stato avvolto da una sorta di aurea dell’invincibilità, quella di cui solitamente gode il grande protagonista di una serie (anche se già questo non è sempre scontato), ma in questo caso era principalmente dovuta alla mastodontica costruzione attorno al suo personaggio. L’episodio dell’incidente, in un certo qual modo, si ricongiunge con il leitmotiv della serie, ovvero il percorso terapeutico che Tony decide di affrontare all’inizio della narrazione.

I Soprano

Dopo l’incidente causato dallo zio Junior, il ricovero e tutto il resto, nel protagonista de I Soprano si accende qualcosa. Nonostante gli anni passati in analisi tra alti e bassi con la dottoressa Melfi, Tony dimostra che per smuovere in lui qualcosa è stato più utile conversare con la morte mentre si trovava in un coma profondo. Inizialmente il boss aveva deciso di andare in terapia per i suoi attacchi di panico e successivamente per prendere coscienza della profonda depressione in cui riversava. Ma questo lungo percorso ci ha mostrato un Tony realmente intento a cambiare qualcosa di sé, andando oltre gli attacchi di panico o gli sbalzi d’umore, investigando sul suo passato per cercare di cambiare il suo presente, alleviando il dolore per i fardelli della sua vita da criminale. Non è un caso che l’ultimo episodio della serie si concluda con il buio improvviso e che coincida con l’interruzione, da parte della dottoressa Melfi, del percorso terapeutico. La teoria più accreditata in merito spiega la centralità del punto di vista di Tony in tutta la serie: I Soprano comincia con la decisione del boss di affidarsi ad una psicologa e termina nel momento in cui tale rapporto viene interrotto, come se l’intento di fondo sia sempre stato quello di entrare nella mente criminale del protagonista per sviscerarne la personalità. Dopo di che, il resto è noia, non c’è più niente da vedere perché si ritorna nell’ordinario: un gangster che continua a gestire i suoi affari come se niente fosse dopo l’ennesima guerra di potere.

Ma tutto questo è realmente servito a Tony Soprano?

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Di passi in avanti ne ha fatti parecchi, il personaggio interpretato dal grande James Gandolfini. A partire dalla presa coscienza che il punto d’origine dei suoi problemi psicologici sia sempre stato l’impervio rapporto con sua madre, fino ad arrivare alla difficoltà nel gestire gli affetti familiari: una moglie perennemente tradita e principalmente “usata” come valvola di sfogo, seppur come certezza costante, due figli complessi e tendenzialmente distaccati (anche se Meadow si è riavvicinata al padre e alla famiglia dopo aver superato le difficoltà dell’adolescenza), in particolare un rapporto padre figlio parecchio tortuoso, specialmente nell’ultima stagione de I Soprano, in cui Anthony Jr. se la vede con una brutta depressione finendo per tentare il suicidio. Per non lasciare in secondo piano tutte le rinunce e i gesti obbligati con cui Tony si è dovuto misurare, nel corso della serie, in qualità di boss e di gestore di un clan che non avrebbe mai accettato il perdono di un traditore come Pussy, e men che meno l’omosessualità di Vito Spatafore.

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E si tratta solo di alcuni dei tantissimi macigni presenti nella coscienza di Tony Soprano, chiodi fissi con cui il boss dei DiMeo ha dovuto combattere per tutta la sua vita all’interno della narrazione. Eppure, l’incidente che per poco non lo spediva all’altro mondo, ha acceso in lui, più di qualsiasi terapia possibile, una fiamma inaspettata. In seguito all’esperienza pre mortem vissuta, Tony ha cominciato ad essere più tollerante, dentro di sé. Tra un broncio e l’altro (immaginarsi la sua tipica faccia arrabbiata), gli si leggeva negli occhi un certo distacco, un senso di disappunto e di distanza. Mentre tutti se ne stanno a insultare Vito perché omosessuale, pensando a come farlo fuori e a quanto questo fosse giusto, Tony è evidentemente perplesso, non vorrebbe mai fare fuori uno dei suoi uomini migliori per un motivo così assurdo, rendendosi conto (e facendo rendere conto noi spettatori) di quanto la sua mentalità sia superiore, oltre che più aperta, rispetto a quella dei suoi soldati, che ragionano seguendo un insulso codice d’onore mai scritto e di medievali vedute.

Tony non è guarito, non guarirà mai. Sì, perché nonostante vada a trovare Phil Leotardo sul letto d’ospedale, parlandogli come si farebbe ad un caro amico e cercando di indirizzarlo ad una tregua definitiva, è lo stesso uomo che poi uccide con le proprie mani il proprio erede, Christopher, in una scena da brividi in cui Tony, in seguito ad un incidente d’auto, compie la sua rinuncia più dolorosa, arrendendosi al temperamento del giovane e comprendendo che salvandogli la vita non avrebbe risolto nulla, perché le persone come Chris non cambiano mai e non fanno altro che causare problemi su problemi. Si potrebbe pensare ad un ragionamento fatto con la testa, più che con il cuore, ma il boss in questo modo si sostituisce al fato e decide per un’intera famiglia che la morte del nipote è la cosa giusta, lì, in quel momento. L’ego di Tony non ha confini e non può averne. La sua posizione da criminale supera e supererà sempre quella del suo buon senso, che non trova mai una stabilità.

Infine, il rapporto con lo zio Junior, tutto ciò che resta a Tony della sua infanzia difficile, un punto di riferimento mai realmente utile alla crescita personale del protagonista de I Soprano, ma comunque una presenza costante che in un certo senso Tony ha sempre temuto o comunque stimato, per quel senso malato di attaccamento alla famiglia, di appartenenza a un qualcosa di lontanamente affettivo. E’ forse il rapporto più complesso tra quelli tenuti in piedi da Tony per tutta la serie, istigato e fomentato dalla sorella Janice, che si pone più volte ai suoi occhi come paladina della giustizia, come esempio da seguire, prendendosi cura prima della mamma e poi dello zio, alimentando in Tony un senso di incompletezza e inadeguatezza per i quali non ha mai avuto colpe. Però, sul finale della serie, il boss va a trovare Junior dopo essersi ripromesso di non voler mai più avere niente a che fare con lui, reo di averlo quasi ucciso (in preda a demenza senile). Ed è questo il momento che più di tutti segna la fine di un percorso, quello che Tony svolge ne I Soprano in cui affronta sé stesso e il suo smisurato ego, abbassandosi alle sue volontà, per una volta, e cercando di mettere un punto sull’ultima delle questioni ancora aperte. La fine di questo percorso non c’è mai stata, ed è giusto così, perché alla fine, non c’era davvero più niente da vedere.

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