Ne I Soprano, come scelsero lei per il ruolo di doppiatore?
Stefano De Sando – Doppiatore di Tony Soprano
Come sempre, dopo un provino. Duro come pochi altri. Forse solo per rifare Marlon Brando nel Padrino, al posto del grande Peppino Rinaldi, ho faticato così tanto.
I Soprano, una delle serie più acclamate del panorama seriale. Difficile arrivare allo stesso livello. Oggi però non vogliamo parlare delle ovvie qualità della serie, di cui abbiamo già sviscerato le parti salienti in molti articoli, ma di un altro aspetto molto interessante e spesso sottovalutato: il doppiaggio.
Tutti noi addicted conosciamo la frase di routine: “le serie bisogna vederle in originale, in italiano non rendono!”. Questo perché, anche se il doppiaggio italiano è uno dei migliori al mondo, funge comunque e inevitabilmente da filtro per la recitazione. Capita che la recitazione di un attore venga svilita da un doppiaggio sbagliato, anche se molto più spesso capita l’opposto, ossia che un buon doppiaggio renda un personaggio molto più riconoscibile. Uno degli esempi più celebri è quello della distintiva risata di Eddy Murphy, confezionata a tavolino dal mitico Tonino Accolla e neanche lontanamente simile all’ordinaria risata dell’attore newyorkese. Allo stesso modo, il doppiaggio de I Soprano contribuisce a veicolarne i messaggi e i temi in modo non solo efficace, ma in alcuni casi persino superiore all’originale.
Soprano: l’importanza delle radici nel doppiaggio italiano
Nella serie è fondamentale l’utilizzo del dialetto per sottolineare provenienze e spesso addirittura per accentuare divisioni territoriali. I Soprano parla di mafia certo, ma soprattutto parla di un certo tipo di cultura mafiosa, ossia quella italo-americana, fatta di persone fortemente connesse con i paesi di origine, di cui però hanno spesso un’immagine falsata. Ed ecco che tutti i protagonisti mantengono forti accenti regionali, veicolando tutta una storia non raccontata: Tony e la sua famiglia che parlano un accento campano, a sottolineare i suoi inizi (e quella dell’attore, originario di Avellino) mentre i membri delle cinque famiglie newyorkesi parlano quasi tutti in accento siciliano. E qui c’è la storia di tutta la prima mafia siculo-americana, quella ben radicata a New York fino dagli anni ’30 del XX secolo. Interessante notare poi come siano proprio i membri delle famiglie newyorkesi quelli che più tentano di parlare in italiano corretto, che quasi provano a darsi un tono per innalzarsi rispetto ai propri sottoposti.
Il tema delle radici è sempre molto presente nella serie, stratificata a più livelli: lo si ascolta nelle parole nostalgiche con cui Tony parla del padre e di un altro tipo di uomo, lo si intuisce nell’attaccamento malsano che ha nei confronti della madre, ma soprattutto lo si vede nel brillante episodio che vede Tony e i suoi sottoposti a Napoli. Qui il ruolo della lingua diviene ancora più potente, diventa veicolo di due culture che si scontrano: quella italo-americana, che vive di miti e ricordi falsati, e quella italiana (ovviamente in questo caso napoletana) più verace, più violenta, più espressiva. Tony stesso rimane quasi contrariato da questo modo impensabile di agire, ma allo stesso tempo ne rimane abbagliato al punto da richiedere di poterne portare una parte con sé, quel Furio che sarà personaggio tanto importante nel veicolare, ancora una volta, un immaginario culturale diverso ma ammaliante di italianità.
I Soprano: la banale quotidianità del male nel doppiaggio pittoresco
In Tony Soprano c’è un totale antagonismo tra la faccia pacioccona e la ferocia che deve sprigionare
David Chase
Il doppiaggio permette di aggiungere un ulteriore livello di analisi: quello della caricatura. L’aspetto grottesco dei personaggi viene caricato ulteriormente dal doppiaggio, che ridimensiona i personaggi a quello che alla fine sono, ossia ruoli su un palcoscenico. Questo si nota soprattutto con alcuni personaggi secondari, da Ralph Cifaretto a Paulie, che nelle loro affettazioni rappresentano la caricatura stessa del mafioso che tentano di rappresentare, e quindi la critica più feroce di Chase a questo mondo. Lo stesso Tony, pur se con le profondità che abbiamo sviscerato in lungo e in largo, non è altro che la caricatura di un boss e questo Chase non solo lo sa bene, ma lo proclama fin dall’inizio mandando il boss dallo psicologo. Perché, come dice lui stesso, la parte interessante sta nel totale antagonismo tra la ferocia delle azioni e la natura quasi sempliciona dei personaggi, di cui la stessa lingua è un tassello.
Più di un articolo si è interrogato in passato sui motivi per i quali I Soprano non hanno raggiunto in Italia lo stesso successo innegabile che hanno ottenuto oltremare. Ci spingeremo oltre dicendo che parte di questo insuccesso è probabilmente dovuto al doppiaggio. I Soprano non è il primo prodotto che ha parlato di mafia e sicuramente non sarà l’ultimo; basti pensare ai fenomeni quali Gomorra o Suburra che, dopo l’Italia, stanno conquistando anche l’estero. C’è una differenza sostanziale tra queste serie relativamente nuove (anche se I Soprano ha ormai 20 anni) e i prodotti classici appartenenti al filone mafioso: la quotidianità.
Basta osservare da vicino il caos emozionale che Gomorra ha causato, per capire in che modo si è evoluta la figura del mafioso e come questa ha impattato sul pubblico. Il mafioso non è più il personaggio epico dalle frasi fatte, la vita quasi glamour e la villa multimilionaria. O meglio, non solo. La caduta del mito ha contribuito ad assottigliare quella confortevole parete che divideva lo spettatore dalla storia e la lingua ha avuto un ruolo predominante. Questo diventa ancora più vero ne I Soprano, dove vengono a mancare tutti i principali artefici cinematografici: la musica è ridotta all’osso, i dialoghi non presentano alcuna frase da citazione e le riprese alcune immagine instagrammabile.
Con i Soprano, l’ultima metaforica parete viene a cadere e noi ci ritroviamo completamente in balia di qualcosa di troppo vicino, troppo quotidiano, troppo conosciuto. Ne I Soprano si mangia molto, si sta molto in vestaglia, si gioca a carte con gli amici, si sta tanto in macelleria o nel ristorante di fiducia. Ne I Soprano si parla terra-terra, con errori grammaticali, espressioni colorite e a tratti imbarazzanti. E il doppiaggio italiano non solo riesce a replicare tutto questo, ma lo amplifica grazie al sapiente uso di un ventaglio di espressioni pittoresche, quotidiane e banali. E l’italiano ne rimane spiazzato, a disagio su cosa provare e come creare una separazione tra lui e Tony. Quel Tony che è, in fondo, un “amicone”. Quel Tony che, sia fisicamente che verbalmente, è simpatico nelle espressioni e informale nel rivolgersi ai suoi amici (che sono anche sottoposti, non dimentichiamocelo mai). Quel Tony che è folcloristico e amichevole anche con la luce assassina negli occhi ed è ordinario anche quando miete le sue vittime.
Così cosa ci rimane di questo doppiaggio così diverso? Il coraggio di aver osato una banalità che la maggior parte dei prodotti di oggi rifugge, riempiendo le serie di musiche epiche, tagli registici raffinati e dialoghi da teatro. Un doppiaggio che ha osato essere quotidiano, folkloristico, caricaturale al punto da rendere la visione disagevole e a tratti imbarazzante. Imbarazzante perché quelli potremmo essere noi, anzi alcuni lo sono proprio, e questo non ci piace per niente.