I Soprano rappresenta una delle vette espressive più alte mai raggiunte dal mondo seriale, una chiave di volta per un nuovo modo di intendere la televisione. C’è un prima e un dopo I Soprano. Lo show ha mostrato tra i primi che la struttura episodica aveva un potenziale enorme: poteva fungere da incredibile strumento per la costruzione narrativa e psicologica dei personaggi.
Ciò che ci lascia I Soprano è molto più di un racconto ben costruito e di un intreccio intrigante. Non è tanto nella trama, nell’evoluzione della storia esteriore che va ricercata la forza della serie. E neanche nell’interesse per il mondo criminale, già sviscerato nel cinema di Scorsese e Francis Ford Coppola. I Soprano non è una serie sul crimine, non lo è mai stata. E lo si capisce chiaramente fin dalla prima puntata.
Ma allora, di cosa parla davvero I Soprano?
La fortuna globale della serie ha fatto sì che ognuno di noi, almeno di nome, conoscesse I Soprano. E in noi si è indelebilmente fissata l’immagine di qualcosa che non corrisponde davvero alla realtà. Crediamo, cioè, di essere di fronte a una storia di gangster e mafia. Così ce la presentano immagini commerciali, così pure riferimenti citazionistici. Non aiuta neppure il logo dello show che mostra il titolo in caratteri bianchi su fondo nero e una pistola stilizzata al posto della “erre”. Un richiamo piuttosto esplicito al Padrino.
Operazioni commerciali, queste, certo fruttuose all’epoca (fine anni ’90 – inizio 2000) ma che sono diventate nel tempo un controproducente disincentivo per la visione. Ormai oberati dal cinema gangster e dallo sdoganamento del mondo criminale esportato sul grande e piccolo schermo in tutte le sue declinazioni, I Soprano ci si presenta oggi come un poco interessante prototipo di questo filone.
Ma è davvero così? La risposta non può che essere negativa. E se vi aspettate un bello spettacolo intriso di armi e violenza, rimarrete molto delusi. Non che non ci sia spazio per entrambe le cose nello show, ma esse semplicemente costituiscono un fondale necessario per mettere in scena qualcos’altro, qualcosa di unico, allora come oggi.
Per comprendere di cosa stiamo parlando bisogna scoprire qual è il focus del racconto.
Una famiglia criminale? Un mondo mafioso? No, a farla da padrone dal primo all’ultimo sospensivo episodio è una persona soltanto: Tony Soprano. James Gandolfini è stato un attore monumentale, un perfetto protagonista per un personaggio tanto complesso come quello di Tony. Lo è stato ancor di più se teniamo a mente la personalità di Gandolfini prima ancora che quella di Tony.
Schivo, timido, bonario, James è stato un antidivo. Eppure, dentro ha sempre avuto un fuoco segreto, una luce che d’improvviso, anche nelle interviste, si accendeva nel suo sguardo. E che destabilizzava l’interlocutore. Questa capacità di risultare affabile ma incombente nel contempo ha rappresentato la base su cui David Chase, creatore dei Soprano, ha deciso di costruire il suo protagonista. Tony ci appare vicino e degno di comprensione ma nel contempo violento e terribile. Scisso, complesso, indecifrabile.
Tony Soprano è I Soprano, è la totalità della serie.
Con lui si apre il primo episodio, con lui si chiude l’ultimo. In entrambi i casi con una soggettiva che domina la scena: i suoi dubbi iniziali a cui farà spazio il sollievo finale costituiscono la sola prospettiva che avremo mai nello show. Non c’è scena senza di lui. Anche quando sarà assente, sentiremo sempre, costantemente e immancabilmente di stare spiando gli eventi con i suoi occhi, di essere privilegiati spettatori di una verità che raggiungerà presto anche Tony.
Perché ciò avvenga, perché tutto il mondo passi attraverso gli occhi di Tony è indispensabile che la sua interiorità si schiuda e ci permetta di entrare in lui. Quello che interessa a David Chase non è la storia dell’ascesa criminale del protagonista o l’esposizione della sua vita fatta di alti e bassi. No, I Soprano parla espressamente solo di un breve intervallo nella vita di Tony e si esaurisce esattamente nel momento in cui questo intervallo si chiude.
L’apertura è segnata da un evento improvviso che sconvolge la granitica esteriorità di un uomo. Un malore estemporaneo e apparentemente inspiegabile. Tony sviene e con quello svenimento, per quello svenimento, si verifica la rottura dell’illusione e il nostro ingresso nella sua vera e più profonda interiorità. I Soprano mette in scena la caduta degli dei, la fine degli uomini alla Gary Cooper, come si lagna lo stesso Tony nel pilot della serie. “Che fine ha fatto Gary Cooper? L’uomo forte, silenzioso, intrepido. Quello era un americano. Lui non dava retta alle emozioni, faceva quello che doveva e basta“.
Quel modello di imperturbabile e sicuro uomo tutto d’un pezzo non esiste più.
Non esiste su due differenti livelli: uno trans-narrativo, come immagine di un mondo, il nostro, che si ripiega su se stesso, aprendosi alle nevrosi e ai dubbi interiori dell’uomo, all’indagine individuale frantumando l’idea di “uomo sociale”, cittadino, soldato, uomo politico. Ma a un secondo livello, pienamente narrativo, non esiste più in Tony, o quantomeno nel Tony messo in scena.
Nel momento in cui quella vuota sicurezza di chi rinuncia alla propria interiorità tornerà a regnare in Tony, in quell’istante si chiuderà, con una violenta cesura, I Soprano. In quell’istante verremo scollegati da Tony. Usciremo da lui. L’espediente, dicevamo, è lo svenimento. Il mezzo per rimanere a contatto costante con il “vero” Tony ha un nome: la dottoressa Melfi, la psicologa che prenderà in cura il protagonista.
Sarà con lei che il capofamiglia dei Soprano si aprirà, parlando a briglie sciolte ed esteriorizzando tutti i suoi dubbi e traumi. A questo punto siete ancora sicuri di sapere di cosa parli davvero I Soprano? Fin dal primo episodio, da quella scena che ci presenta Tony nell’anticamera di uno studio psichiatrico c’è un uomo prima che un criminale. Un uomo dubbioso, incerto, che sente il peso del suo tempo, la fine di valori in cui i suoi predecessori si riconoscevano.
Dietro quegli ideali non può più nascondersi, perché non esistono più: l’onore, la famiglia, Cosa Nostra.
Le ipocrisie che fungevano da giustificazione ai crimini commessi non possono più proteggerlo. Non è più il tempo di Gary Cooper. E così a Tony non resta altro che guardare nell’abisso, messo a nudo con se stesso. Questo sarà I Soprano: un viaggio di continua indagine interiore nell’anima di Tony, nel suo duro e inevitabile confronto con se stesso nel tentativo di trovare un nuovo equilibro. Quello svenimento che lo aveva colto nel pilot, come capiremo subito, è un attacco d’ansia, il primo sintomo della sua malattia esistenziale.
I Soprano sarà il viaggio di Tony nella malattia. Un viaggio fatto di un magnifico simbolismo, di momenti di forte astrazione onirica, di continui rimandi filosofici, psicologici ed esistenziali. Fin dalla prima puntata, da quella famiglia di anatre che volando via, abbandonando Tony che così amorevolmente le aveva ospitate nella sua piscina, rappresenteranno il simbolo della disgregazione del nucleo familiare. Il timore del vuoto valoriale che sembra aspettarlo, incombente, inevitabile.
Ecco di cosa parla I Soprano: di un momento, quello più fragile e reale, di un uomo che vive il suo tempo con la consapevolezza che non può più essere Gary Cooper. Perché è anacronistico pensare di esserlo e ignorare quel male oscuro che chiede ragione di sé, ora che il tempo del cittadino, del soldato, del politico, del mafioso è finito e inizia quello dell’uomo. Sarà solo una la scelta: tentare di guarire. Ma se questa guarigione volesse dire svuotarsi di sé e diventare solo l’immagine che diamo agli altri?
Di questo parla davvero I Soprano. Benvenuti.