Tony Soprano mangia con la famiglia in una tavola calda, all’improvviso: buio. Con l’ineluttabilità di quelle freddure da quattro soldi (un uomo entra in un caffè: splash) arriva la fine de I Soprano. Un’epopea della criminalità durata sei stagioni che termina con una specie di blackout, lasciando tutto in sospeso, lasciando noi in balia di uno schermo nero che, da illusi quali siamo, pensiamo possa lasciare presto il posto al continuo e alla fine di quella storia. Noi e il nostro infantile bisogno di avere tutti i tasselli del puzzle.
Questo NON è un articolo sul finale de I Soprano. O, almeno, non solo. Però è inevitabile partire da lì, dal momento più antitelevisivo nella storia delle serie tv per capire di cosa stiamo parlando. Tony ha messo a posto tutto, ha regolato tutto ciò che può controllare, non ha più niente da offrire alla narrazione. Non ci sono morali da apprendere, non ci sono vincitori e sconfitti, dato che in fondo il protagonista è stato condannato alla perdizione sin dalla tenera età. Tutto ciò che lo attende è il resto della sua vita, un lasso di tempo che può durare lo spazio di una cena in quella tavola calda, o tanti altri anni a comandare il New Jersey in buona salute. Nulla di significativo, a ben pensarci, nulla di realmente interessante.
Ma allora che senso avevano questi 6 anni? Anche tutto ciò che è andato in onda poteva essere considerato sacrificabile o trascurabile? Beh, ovviamente no. I Soprano ci ha regalato un punto di vista privilegiatissimo su di un boss italoamericano che va in terapia. Tutta la serie, pertanto, è influenzata dal punto di vista soggettivo di Tony, che lì esterna la propria visione del mondo, le sue fragilità e soprattutto le sue contraddizioni. Tenete a mente questo dettaglio, ci torneremo. Lo spettatore è una sorta di assistente immaginario della dottoressa Melfi e, una volta che il rapporto tra i due si interrompe, finisce anche la serie. E tanti saluti al finale ordinario così come lo concepiamo in qualsiasi tipo di opera.
Quello a cui abbiamo assistito è un finale in pieno stile I Soprano
Facciamo qualche passo indietro, torniamo a qualche stagione precedente. Uno degli episodi più grotteschi, divertenti, introspettivi e geniali di tutta la serie vede Tony e Paulie alle prese con il russo Valery. In seguito a una colluttazione innescata dalla marcata xenofobia di Gualtieri, si perdono le tracce del russo e gran parte dell’episodio è incentrato sul suo ritrovamento, vano. Non ci è dato sapere se sia vivo, se sia morto, quale sia stata la sua sorte. Dopo una puntata così iconica ti aspetti che un giorno rispunterà fuori. Non sarà mai così. Valery il russo avrà la funzione di mero macguffin, un pretesto per mettere i personaggi di fronte alla propria natura: sarà una parentesi circoscritta, per quanto fortunata e foriera di premi di sceneggiatura per la serie.
Non troppi episodi più tardi avviene qualcosa di simile. Uno dei personaggi divenuti principali, Furio Giunta, al culmine della sua relazione puramente platonica con Carmela Soprano, sparisce per sempre nel nulla. Anche in questo caso c’è un proposito di morte che pende sulla sua testa e una vendetta, quella di Tony, da disinnescare. Quello che era un membro effettivo del clan di Tony, nonché suo autista, fugge via presumibilmente in Italia e noi non sapremo più niente di lui. Non capiremo mai se c’è effettivamente qualcuno della banda che Tony non può controllare, o se invece l’ha catturato e l’ha fatto ammazzare come da codice. E questa volta si tratta addirittura di un regular, non di una comparsa.
Ci resta un ultimo esempio da fare, per certi versi il più sentito. La morte di Christopher Moltisanti, praticamente un protagonista aggiunto, della quale nessuno presenterà mai il conto a Tony. Un omicidio nei fatti non premeditato, ma che sotto sotto avevamo intuito che lo zio stesse covando da tempo, per due ragioni, uguali e contrarie: da una parte l’invidia per il bello e giovane Chris, dall’altra la consapevolezza che questi non potrà mai prendere il suo posto un giorno. Un momento spartiacque della serie che pur si conclude con un irrisolto. Conoscete il principio della pistola di Cechov? Secondo lo scrittore russo se, a un certo punto, in un romanzo compare una pistola, prima o poi quella pistola dovrà sparare. La sua è una metafora, come a dire: se una cosa non è essenziale ai fini della storia, non mostrarla.
È come se David Chase, creatore de I Soprano, si fosse divertito a disseminare “pistole” in giro per la storia, senza però mai caricarle di proiettili. E l’arma resta quindi inerme, contravvenendo in apparenza a qualsiasi regola narrativa.
Avevamo quindi sotto gli occhi gli strumenti per capire che il finale de I Soprano sarebbe stato di questo tipo e li abbiamo comprensibilmente ignorati. Si potrebbe ribattere che questa scelta degli autori, cioè di lasciare così tanti irrisolti narrativi in giro, sia una forma di paraculaggine o pigrizia. A differenza di quanto fatto con Tony, non possiamo entrare nella testa di Chase e di quanti altri hanno lavorato alla scrittura della serie, per cui non possiamo esserne sicuri. Però, da un lato, non sarebbe stato più comodo e rassicurante offrire queste spiegazioni, tornare su questi personaggi e le loro storyline in modo da darci la favoletta condita alla perfezione?
I Soprano non è The Wire, in cui “tutti i pezzi contano”. I Soprano è il suo protagonista che ci restituisce il suo POV e il POV di un essere umano, chiunque esso sia, è caotico, frastagliato, eterogeneo, contraddittorio. Dove per The Wire la verosimiglianza è la riproduzione televisiva di un ambiente, di un contesto sociale, qui è la rappresentazione introspettiva dell’individuo. Noi non siamo fatti per poter controllare tutto e per tessere tutti i fili: siamo animali distratti, tendiamo a essere selettivi, a dimenticare cose importanti o a ricordarne di insignificanti.
Magari Furio e il Russo sono stati catturati e Tony lo ha rimosso, magari “l’uomo con la giacca” è un agente che sta indagando sulla morte di Chris, o magari nulla di tutto questo. Chi può saperlo? E soprattutto chi deve saperlo? In fondo tutta l’ambientazione della famiglia mafiosa è un macguffin. Senza di quella ci resta comunque un uomo alle prese con i suoi conflitti familiari, i suoi irrisolti, i suoi barlumi di umanità e i suoi lati più truculenti. In sei anni di sedute vengono toccate questioni molto più vicine a noi di quanto lo saranno mai alleanze tra cosche, patti di sangue o appalti e, in questo mare magnum, anche l’omicidio di Chris diventa una particella quasi insignificante.
Se poi per noi ha significato, I Soprano ci chiede lo sforzo intellettivo di essere noi a unire quel puntino mancante. Non deve essere Tony a farlo, lui ci ha già regalato tutto, ma proprio tutto il suo POV. Dobbiamo essere noi, secondo la nostra soggettività, ognuno con la propria sensibilità. E allo stesso modo, dietro quello schermo nero, se vogliamo, possiamo trovarci non dei titoli di coda ma una tela bianca, tale da immaginare il nostro finale ideale per questa meravigliosa serie. Avanti, non siate timidi. Don’t stop believin’.