Tony Soprano entra in una tavola calda e si appresta a cenare con la sua famiglia. Mentre attende Carmela, A.J. e Meadow sfoglia tranquillamente le canzoni sul juke-box presente sul tavolo stesso. Non è la classica atmosfera da finale di serie, men che meno per I Soprano, che ha sdoganato il gangster movie sul piccolo schermo come nessun’altra prima. Se deve accadere qualcosa, a Tony o alla sua famiglia, accadrà in quei pochi minuti rimanenti, sulle note dei Journey. E l’ansia cresce sempre di più, a ogni suono della porta d’ingresso, a ogni parcheggio toppato da Meadow, a ogni persona inquadrata nel diner, a ogni sguardo di Tony Soprano, finchè – BUIO.
Non è possibile, una delle più grandi serie Tv della storia non può concludersi così. Ognuno di noi, in quel frangente, ha provato ad aggrapparsi a qualsiasi cosa: lo schermo del pc è andato in standby nel momento peggiore, il DvD si è danneggiato, la Tv ha perso il segnale, mi sono seduto per sbaglio sul telecomando e ho cambiato canale. Deve esserci una spiegazione, più o meno razionale. Poi però, dopo i 10 secondi più lunghi di sempre, arrivano i titoli di coda e bisogna arrendersi all’ineluttabile ironia di David Chase.
Quello schermo nero è davvero il sipario che cala su I Soprano.
Sul significato del buio – che va a contrapporsi al faccione di James Gandolfini e a interrompere Don’t Stop Believin’ nel suo climax più aulico – se ne sono dette tante. Chiaramente tutte in correlazione al destino di Tony Soprano, come se tutti noi, senza neanche sapere bene il motivo, ci aspettassimo di vederlo morire. O più precisamente di vederlo soffrire, dando per scontato l’assunto che il destino prima o poi sarebbe venuto da lui a riscuotere. Riscuotere la morte di Chris, di Adriana e di tante altre sulla sua coscienza, abituati come siamo a una concezione più canonica del termine “finale”.
In realtà questo è un Finale a tutti gli effetti, ed è anche fottutamente geniale. Negli anni, in rete sono rimbalzate tantissime teorie atte a decodificare questa scena, tentando di ricondurla a qualche forma di razionalità. Sono tutte bellissime, affascinanti e ricostruite in maniera impeccabile. Come quella che vuole Tony Soprano ucciso dal ‘Man in Member’s Only Jacket‘ in una riuscitissima citazione de Il Padrino (l’uomo si reca in bagno, recupera una pistola e torna in sala ad uccidere Tony come Michael Corleone con Sollozzo e McCluskey). Questa è avvalorata da riferimenti simbolici che vanno dall’abbigliamento dei clienti del diner alle decorazioni sulle pareti, passando per puntate precedenti e, naturalmente, i tentativi di parcheggio di Meadow (riesce a parcheggiare dopo due tentativi a vuoto, tanti quanti gli attentati falliti alla vita di Tony: il terzo è quello giusto).
La verità è che nessuno di questi si avvicina, ma neanche lontanamente, alla verità. Bisogna però fare lo sforzo di andare oltre la logica. Oltre il bisogno di raziocinio che è comprensibile sì, ma limitante.
Quello de I Soprano è un finale geniale per due motivi. Il primo è il più ovvio perchè dipende esclusivamente dagli aspetti tecnici e narrativi. Chase ridisegna il concetto di suspance da vero maestro. L’intera sequenza finale, come accennavo all’inizio, è una perenne attesa dell’ignoto. Con la morte di Phil Leotardo tutti i conti sono a posto, la pace con le cinque famiglie è stata sigillata e nulla sembra poter minacciare Tony e la sua famiglia. Ma qualcosa deve succedere. L’attesa del terrore, diventa essa stessa il terrore. E allora, nel mentre Tony vive attimi quasi commoventi nella loro serenità con A.J. e Carmela, il nostro cervello comincia a mettersi in moto: Meadow sta indugiando troppo, è in pericolo? Il tizio con la giacca sta guardando proprio Tony, lo ucciderà?
Nessuno ha mai osato prendersi gioco degli spettatori in maniera così sfacciata. Eppure, al tempo stesso, tutto questo rende lo spettatore parte integrante della scena. Per spiegarlo meglio è utile fare riferimento a un’altra teoria famosissima, vale a dire quella secondo cui Tony sta immaginando, o meglio prevedendo, la sua morte quando entra nella tavola calda. C’è infatti uno stacco, nel momento in cui Tony entra nella tavola calda a quando lui è effettivamente già seduto al tavolo. Questo stacco, che riprende la tecnica del ribaltamento del POV utilizzata da Kubrick in 2001: Odissea Nello Spazio, segna il momento del passaggio dalla realtà al sogno. Ma è anche, molto più semplicemente, il momento in cui il POV dello spettatore si sovrappone a quello di Tony.
In sostanza, che si voglia dare credito o meno alla teoria, noi guardiamo gli ultimi minuti dalla stessa posizione privilegiata del nostro protagonista.
Esiste poi una seconda ragione per cui il finale de I Soprano immortale e liminare. E questa stessa ragione ci impone di decostruire e riconcepire la serie tutta partendo proprio dal suo ultimo atto. Siamo portati a pensare che I Soprano sia un’antologia della mafia italoamericana e ciò in larghissima parte è vero: in sei stagioni, vengono messe in evidenza in maniera sublime le dinamiche degli affari di Cosa Nostra. Dal riciclaggio ai rapporti con la polizia, dal regolamento dei conti fino alla scala gerarchica delle famiglie malavitose. Ma I Soprano non è solo questo. I Soprano è prima di tutto un trattato di psicologia sociale.
A Chase non interessava tanto giocare nello stesso campo di Mindhunter, Criminal Minds e, per certi aspetti, anche Dexter, ovvero scandagliare i meandri della mente di un criminale. A Chase interessava più analizzare l’uomo, Tony prima di tutto, in relazione a se stesso e agli altri. Per realizzare questo obiettivo si avvale di un meraviglioso stratagemma narrativo: lo manda in terapia. La dott.ssa Melfi, pertanto, diviene il tramite tra noi spettatori e Tony Soprano. È lei ad aprirci un varco nell’es di Tony.
Il Tony uomo ancor prima che boss.
Il Tony Soprano a capo della famiglia mafiosa dei Di Deo va visto solo ed esclusivamente in funzione del Tony Soprano paziente della dottoressa Melfi. Dalle terapie con quest’ultima emerge il ritratto di un uomo meravigliosamente imperfetto, che straborda di contraddizioni, ipocrisie, rimpianti. Un uomo – anche e soprattutto – estremamente fragile. E questa stessa condizione viene poi riversata nelle sue decisioni da boss di Cosa Nostra. Infatti egli non è un criminale privo di morale, nè lo è diventato per qualche trauma infantile (i traumi, come il rapporto coi genitori, o l’avversione per la carne sulla brace, semmai riflettono le sue turbe umane, come può essere per ognuno di noi). Lo è diventato per diritto di discendenza e perchè, sostanzialmente, gli piace farlo. La sua storia, in sociologia, sarebbe inquadrabile nella teoria dei Conflitti Culturali di Sellin, basata su uno studio inerente proprio alla devianza criminale degli italiani emigrati in America.
Tony, pertanto, è un personaggio fondamentalmente gattopardiano (“tutto cambia, purchè nulla cambi“), statico nella sua dinamicità. Per quanto si affanni a migliorare sè stesso, a migliorare la sua posizione e a darsi un tono, non subisce una vera e propria evoluzione. Rimane identico dall’inizio alla fine. E alla fine dei conti gli va anche bene così. Appurato questo, resasi conto di non poter ottenere alcune reale progresso, la Melfi decide di rinunciare agli incontri con lui. Sparisce dalla sua vita e con lei anche il nostro diritto di accedere alla mente di Tony. Proprio per questo le varie teorie, per quanto esatte, travalicano la questione principale.
Tony morirà, un giorno. Fosse in quella tavola calda, o qualche anno più tardi, è relativo. Conta solamente il fatto che noi, senza la Melfi, abbiamo perso l’accesso privilegiato ai suoi pensieri. Ciò che ci resta è il criminale, non più l’uomo e a noi quella storia non interessa. Quella storia è ‘ordinaria’, prima delle peculiarità che distinguono I Soprano da qualsiasi altro gangster movie. E allora non ci resta che – BUIO.
[Ma prima, Don’t Stop Believin’]