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Sangue e onore a corte, tra le sei mogli di Enrico VIII d’Inghilterra

I Tudors
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La storia moderna è ricca di intrighi regi, segreti nascosti, relazioni adulterine ed esecuzioni dolenti, rivolte nei confronti non sempre dei meritevoli, quanto degli innocenti: delle vulnerabili vittime all’interno dei perfidi giochi dinastici, tipici della regalità. Negli ultimi anni sono divenute celebri le storie delle sei mogli di Enrico VIII d’Inghilterra e d’Irlanda, sovrano dal 21 aprile 1521, fino al giorno della sua morte, avvenuta a Londra, il 28 gennaio 1547. Un regno longevo e di tutto rispetto sotto svariati punti di vista, anche se altrettanto non si può affermare dei suoi matrimoni, finiti di volta in volta al culmine della tragedia: un susseguirsi di vicende che trova la sua non sempre fedele trasposizione nei prodotti cinematografici, come nella serie televisiva I Tudors. Prodotta da Showtime e mandata in onda tra il 2007 e il 2010, attraverso la bellezza di quattro stagioni e trentotto episodi; la serie è stata sceneggiata dal suo ideatore, Michael Hirst, e la timeline si incentra su tutto il regno di Enrico VIII (Jonathan Rhys Meyers), in chiave fortemente romanzata.

Gli spettatori de I Tudors, pertanto, fin da subito erano consapevoli che non avrebbero visto una proiezione fedele di questa parte di storia moderna. Una finzione, che però nasconde diverse verità e fatti attendibili, di base, in particolare nelle sei storyline che narrano i burrascosi matrimoni del sovrano inglese. Delle sfortunate unioni, su cui la gran parte dei personaggi illustri del tempo ironizzava. Impossibile non menzionare la risposta colma di sarcasmo che Cristina di Danimarca divulgò, dopo essersi accorta delle attenzioni ricevute dal sovrano inglese:

Se avessi due colli, sicuro sposerei il re (d’Inghilterra)!

Una frase alla quale avrebbero concordato le spasimanti, sepolte dalla storia e dal ricordo di un monarca dispotico, oltre cha da trasposizioni cinematografiche spesso sminuenti e limitative. Chi erano veramente le sei donne che caddero ai suoi piedi? Ecco le loro storie, in parte aderenti a I Tudors.

La prima è stata Caterina d’Aragona (Maria Doyle Kennedy). Nata il 16 dicembre 1485, era figlia dei sovrani cattolici, Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia, nonché sorella di Giovanna la Pazza e, per forza di cose, zia materna del ben più celebre Carlo V d’Asburgo; proprio quest’ultimo, e il suo autorevole potere regio in relazione alla sede pontificia, divenne la sua ancora di salvezza nei confronti di una potenziale esecuzione. Un tale gesto avrebbe scatenato una rigida guerra e portato alla certa sconfitta dei Tudor, viste le loro disponibilità politiche e militari, minori rispetto a quelle degli Asburgo.

Il matrimonio con Enrico VIII venne celebrato l’11 giugno 1509, nella Chiesa di Greenwich, e da esso ne derivò soltanto una figlia: Maria I d’Inghilterra (Sarah Bolger). La debole salute della regina consorte, non permise alla coppia di concepire altri figli, al di là della già nata primogenita. Un risultato deludente e che portò il sovrano a stancarsi della sposa, dopo più di vent’anni di matrimonio e tanti tradimenti con le donne di corte (note sono Jane Popincourt, Elizabeth Blount e Maria Bolena). Il suo obiettivo era quello di ricevere un figlio maschio, un erede che potesse legittimare e consolidare la successione dinastica e, di conseguenza, la stabilità della propria casata, da cui prende il nome la serie stessa: I Tudors, non vuole simboleggiare solamente il protagonista, essendo al plurale, bensì pure i futuri monarchi.

Enrico VIII si ingegnò per porre fine all’unione, tanto da muoversi dal punto di vista religioso, contestando al Papa Clemente VII la validità della bolla papale ricevuta nel momento dell’unione sacrale: Caterina era reduce da un precedente matrimonio, quello con Arturo Tudor, il fratello del futuro secondo marito, pertanto la sua verginità venne messa in discussione. A sostenere la sua posizione, mostrò una lettera firmata da ottantuno famiglie nobiliari del tempo, che validava l’approvazione generale all’eventuale separazione; un gesto che servì a poco, visto che il pontefice rifiutò l’atto e portò allo scisma religioso, ancora presente.

Dal temperamento autorevole e mai fin troppo remissivo, la sua volontà fu nulla rispetto alla decisione dello sposo e vertice della gerarchia inglese del tempo: Caterina fu allontanata da corte il 14 luglio 1531, nonostante la nullità del matrimonio venne ufficializzata da Thomas Cranmer (Hans Matheson), arcivescovo di Canterbury, il 23 maggio 1533. La sua morte avvenne nella più totale miseria, alla presenza di pochi fedeli, il 7 gennaio 1536 alla Kimbolton House, nel Regno Unito: la causa del decesso, inizialmente, venne attribuita a un avvelenamento, mentre oggi si propende a pensare che sia stato un sarcoma al cuore (tumore del tessuto connettivo) a porre fine all’esistenza della nobildonna.

I Tudors

Una prima spinta a lasciare l’instabile moglie, venne data dall’incontro di Enrico VIII con la spumeggiante Anna Bolena (Natalie Dormer), colei che diverrà la seconda regina consorte d’Inghilterra e d’Irlanda; viene introdotta nella prima stagione de I Tudors, essendo che la narrazione comincia proprio attraverso la crisi del primo matrimonio del sovrano.

Figlia di Tommaso Bolena (Nick Dunning) e sorella minore di Maria Bolena (Perdita Weeks), nacque tra il 1501 e il 1507 in territorio inglese, seppur plasmò la sua illustre formazione come damigella di corte in Francia nel 1513, prima di spostarsi in Inghilterra, a seguito del padre: nel 1526, la sua elegante civetteria, unita a una particolare bellezza, la porterà ad esser notata dall’uomo che le cambierà per sempre la vita, e non di certo in positivo. Dopo il primo divorzio dell’uomo, i due convoglieranno a nozze il 25 gennaio 1533, svoltesi a Londra, creando dei problemi non indifferenti all’interno del sistema religioso ortodosso, tanto da portare a uno scisma e all’ufficiale fondazione della chiesa anglicana, nel novembre 1534. Questo a Enrico VIII, non importava. Lui amava Anna, più di ogni altra cosa, per lei avrebbe smosso mari e monti, senza guardare in faccia nessuno. O almeno, così fu fino a che pure ella non diede alla luce nessun erede maschio, solo qualche aborto spontaneo e una femmina: Elisabetta I d’Inghilterra (Laoise Murray), la futura regina d’Inghilterra e d’Irlanda, che impose ai propri territori un regno longevo e prosperoso (dal 17 novembre 1558 al 24 marzo 1603).

Purtroppo, questa longevità non potè esser assistita dalla madre. Enrico VIII, per liberarsi dell’inutile moglie, fondò un tribunale speciale e fece condannare la donna al patibolo per presunta infedeltà coniugale, incesto e stregonerie varie, il 15 maggio 1536; tutte finzioni, soprattutto il presunto rapporto incestuoso tra lei e suo fratello, Giorgio Bolena (Pádraic Delaney). Quest’ultimo fu giustiziato due giorni dopo. Mentre quattro giorni dopo la sentenza, Anna subì lo stesso destino, venendo decapitata presso la Torre di Londra: è stata la prima regina consorte nella storia a esser condannata a morte, sulla base di calunnie infondate. La mattina dell’esecuzione, ella fu scortata fuori dalla propria camera regale, verso le otto del mattino: indossava una sottoveste cremisi che spuntava dall’orlo dell’abito verde-scuro, puro damasco impreziosito da guarnizioni di pelliccia, un mantello d’ermellino, che le copriva le spalle, e un copricapo, a celarle i capelli neri. Salì sul patibolo, già popolato dal boia, il prete e altre guardie. Prima della fine, decise di parlare e fare un breve discorso, trascritto dai vari testimoni e riportato tra i commentatori per secoli, fino a noi oggi:

Buon popolo cristiano, sono venuta qui a morire secondo la legge, poiché dalla legge sono stata condannata a morte, e quindi non mi opporrò. Non sono qui per accusare alcuno, né per dire niente a riguardo delle accuse e della condanna a morte, ma per pregare Dio affinché salvi il re e gli consenta di regnare a lungo su di voi, perché mai vi fu un principe più dolce e misericordioso di lui: e con me egli è sempre stato un sovrano buono e gentile. E se qualcuno interverrà nella mia causa, io gli chiedo di giudicare al meglio. E così prendo congedo dal mondo e da tutti voi, e desidero vivamente che tutti voi preghiate per me. O Signore, abbi pietà di me, a Dio raccomando la mia anima.

Anna, così facendo, si congedò dal mondo, prima che la sua testa venisse mozzata dal proprio boia in un momento di distrazione: un segno di rispetto nei suoi confronti, vista l’insofferenza e la velocità con la quale venne svolta la procedura. I suoi resti furono trovati solo nel XIX secolo, più precisamente nel 1876, durante il regno della regina Vittoria del Regno Unito. Ella fece avviare dei lavori di restaurazione nella chiesa di San Pietro ad Vincula e in una tomba anonima, non contrassegnata, riposava il corpo decapitato della regina, insieme alla sua testa: oggi è possibile visitare il sepolcro, nello stesso luogo di ritrovamento, dove è stata posta l’idonea segnalazione identificativa.

Nel frattempo che il rapporto tra Anna Bolena ed Enrico VIII incominciava a incrinarsi, un’ulteriore donna entrò nella vita del dispotico sovrano, l’inglese Jane Seymour (Annabelle Wallis): dai tratti nobili, i capelli chiari come i raggi di luna e l’incarnato pari alla porcellana; il suo personaggio fu introdotto nella seconda stagione de I Tudors, con un’altra attrice, Anita Briem, poi sostituita.

Con lei instaurò un rapporto che potè maturare solo dopo la morte della seconda moglie di Enrico VIII. Jane divenne la sua terza coniuge il 30 maggio 1536, attraverso una celebrazione intima nella proprietà territoriale della donna, a Whitehall. La loro storia fu breve e la più allegra, se così si può definire, rispetto alle altre vissute dal re inglese: la regina consorte morì a causa di una febbre puerperale, il 24 ottobre 1537, alla corte di Hampton, nel Regno Unito. Prima che ciò potesse avvenire, però, ella riuscì a dare al re un erede maschio: Edoardo VI d’Inghilterra (Eoin Murtagh e Jake Hathaway), che ebbe modo di regnare fino al 6 luglio 1553, il giorno della sua morte, causata da una grave tubercolosi.

Devastato dalla morte di Jane, colei che ha amato più di tutte, molti furono i giorni in cui la rimpianse nel buio della propria camera, nonostante fosse appagato di aver consolidato il suo obiettivo di vecchia data (poi spentosi precocemente, vista la morte prematura del dinasta). Dopo diversi anni si sentì pronto per risposarsi, tanto che spedì il pittore e incisore di corte svizzero, Hans Holbein, a ritrarre varie donzelle per tutto il regno: tra tante, la duchessa tedesca Anna di Clèves (Joss Stone), fu la prescelta, al fine anche di un’alleanza politica; introdotta nella terza stagione de I Tudors.

Nata il 22 settembre 1515 a Düsseldorf, in Germania. Anna, da protestante qual era, fu costretta a convertisti all’anglicanesimo. In seguito a ciò, le nozze si svolsero a Greenwich, nel 1540, durante il giorno dell’Epifania: a celebrarle fu l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer. Un’unione, tuttavia, che si rivelò disastrosa e per nulla proficua ai fini del regno, tanto che terminò in tempi brevi, segnandone l’annullamento: non la ripudiò mai, rimasero in buoni rapporti, e fu l’unica delle sei a non opporsi al divorzio; segnandone l’astuzia e la caparbietà. Addirittura si narra che nella notte di Natale del 1540, la donzella e la futura quinta moglie del re, danzarono tutta la notte: affiatate come non mai, nel rigoglio della loro gioventù. La sua morte avvenne molti anni dopo, il 16 luglio 1557, a Chelsea Manor, molto probabilmente a causa di un cancro alle ovaie.

Nella terza e quarta stagione de I Tudors, più tragica è la storia della dolce Caterina Howard (Tamzin Merchant), la cui data di nascita non è nota di per certo: oscilla tra il 1518 e il 1524. Ella era la cugina di Anna Bolena e fu avvicinata dal re a corte, quand’egli era già in procinto di terminare il suo quarto matrimonio: la ragazzina divenne in poco tempo la sua “rosa rosseggiante e senza spine“, vista la sua innocente esuberanza.

La nuova celebrazione, la quinta, si tenne il 28 luglio 1540, a Oatlands Palace, nel Surrey (Caterina, quindi, aveva tra i sedici e i ventidue anni, a differenza dei quarantanove anni del marito). Un’unione destinata a durare per poco e a concludersi nella maniera più drammatica, con l’esecuzione della povera ragazza, ancora una bambina, non di certo pronta a livello politico e culturale per il ruolo che le era stato chiesto di ricoprire. Nei primi mesi del 1541, un’anonima donna, recò al sovrano delle lettere, nelle quali confessava le immoralità della regina consorte e le sue relazioni extra-coniugali. A differenza di Anna Bolena, che era stata ingiustamente calunniata, le accuse rivolte verso Caterina pare che fossero veritiere: ella aveva commesso adulterio ai danni del marito, con il giovane Thomas Culpeper (Torrance Coombs), grazie all’aiuto della dama da compagnia Jane Bolena (Joanne King). Per entrambe le donne non fu dimostrata alcuna pietà, in particolare la quinta regina consorte venne accusata di aver condotto una vita “abominevole, meschina e viziosa” prima e durante il matrimonio: l’11 gennaio 1542 fu deportata alla Torre di Londra e il 13 febbraio 1542 la sua testa venne presa dal re, insieme a quella della sua dama; un destino amaro e coevo a quello della cugina, deceduta diversi anni prima. Da questa vicenda il sovrano ne uscì illeso, annullando il matrimonio in quanto non consumato.

Ne I Tudors, la sua esecuzione è uno dei momenti più iconici e amati, al di là della tristezza che avvolge tutta quanta l’atmosfera. Caterina, prima di essere uccisa, nonostante sia spaventata per quello che le accadrà, rivolge al sovrano e ai sudditi delle ultime parole:

Sono qui oggi, per morire! Muoio da regina, anche se preferirei morire come moglie di Culpeper.

Una chiusura perfetta, se non fosse che nella realtà ciò non è mai avvenuto. La ragazzina fu talmente intimorita e taciturna, che i testimoni non scrissero niente sulle sue possibili ultime parole o gesti finali: degnandola di scarse attenzioni negli ultimi momenti di vita. Sappiamo solo che, la sera prima dell’esecuzione, Caterina chiese alle sue guardie un ceppo di legno su cui poter appoggiare la testa, in modo da fare delle prove per il giorno seguente. La sua sepoltura si trova affianco a quella della cugina, Anna.

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A concludere questo cerchio, la sua sesta e ultima moglie fu Caterina Parr (Joely Richardson); introdotta nell’ultima stagione de I Tudors. Nata nel 1512, era figlia di sir Thomas Parr di Kendal ed è colei a cui calza a pennello il termine di “sopravvissuta”, in quanto riuscì a non farsi uccidere, o anche solo allontanare dalla corte per volere del consorte: il sovrano morì prima di poterlo farlo, a causa dei vari problemi fisici e mentali che aveva, tra cui la gotta, lo scorbuto, il diabete e l’obesità (il suo peso si aggirava attorno ai 180kg). 

Il primo incontro tra i due avvenne durante uno dei soggiorni londinesi di Caterina, nonostante lei fosse attratta dall’ex-cognato, Thomas Seymour  (Andrew McNair), fratello della defunta Jane. Le fonti e la ritrattistica riportano che la donna, sulla trentina, non fosse una grande bellezza: eppure spiccava su tutto la sua intelligenza, in relazione a un temperamento buffo, quanto mite e docile, oltre che umile e compassionevole nei confronti dei meno facoltosi. Ebbero modo di legare per via dell’allungamento del soggiorno della nobildonna, corsa in aiuto del sovrano non appena lo vide in difficoltà con il proprio ascesso all’altezza del ginocchio: condividono insieme talmente tanto tempo che, nel 1543, la proposta di matrimonio non tardò ad arrivare e, a sua volta, l’approvazione di questo legame. Furono le seste nozze per lui e le terze per lei: ella era reduce da un primo matrimonio con Edward Boroug, e un secondo con il più anziano John Nevill, Barone di Latyme. Il terzo consorte, più fortunato politicamente ed economicamente, la rese regina d’Inghilterra e d’Irlanda, un’ulteriore pedina in quel sanguinario gioco: un suo oggetto, non una persona.

Tuttavia, si dimostrò clemente nei suoi confronti e l’unione non fu disastrosa, a differenza di ciò che avevano presagito gli iniziali indizi; egli ripose così tanta fiducia in lei che la proclamò reggente del regno, durante la sua assenza per la guerra in Francia. Ella, addirittura, riuscì a far riallacciare i rapporti tra Enrico VIII e le sue due uniche figlie, che vennero reinserite nel testamento imperiale e nella successione al trono. L’unica pecca fu il suo orientamento religioso, di radice protestante, che la portò ad alcuni dissidi e a un tentato arresto, scampato nell’estate del 1546. Caterina sopravvisse a Enrico VIII e si sposò con l’uomo che aveva sempre bramato, Thomas. Purtroppo, però, dopo aver dato alla luce la sua unica figlia, Maria Seymour, morì di febbre puerperale: il 5 settembre 1548, nel castello di Sudeley.

I Tudors, attraverso la leggerezza tipica delle narrazioni storiche romanzate, spesso di matrice romantica, ci riporta i drammi personali di sei donne: mature e acerbe, degne e indegne regine, raramente colpevoli e quasi sempre innocenti; l’accento è sempre posto sulle disgrazie da esse ricevute e le ingiustizie recatole dal loro consorte. Egli, un essere infido e incentrato soltanto sui suoi loschi scopi: un uomo avido di potere e indirizzato solo al rendimento del suo vasto regno, che al momento della morte lascia in mano alle due figlie, paradossalmente: nel corso della sua vita ha disseminato morte e dolore per un erede maschio, per poi riceverlo e dimostrarsi insignificante, rispetto alla preparazione e alla forza delle sorelle. Loro due hanno rivoluzionato la storia del mondo occidentale e spianato la strada all’indipendenza delle donne, che seppur lunga, ha donato poi i suoi generosi frutti in anni moderni. I Tudors hanno dimostrato questo, portando sullo schermo lo sviluppo di una fase patriarcale e il successivo aprirsi di un’altra fase, quella matriarcale: mostrata in moltissimi altri prodotti, televisivi e non.