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Il cacciatore – Recensione

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Si è appena conclusa la terza ed ultima stagione de Il cacciatore, la fortunatissima serie prodotta, tra gli altri, dalla Rai e distribuita su RaiPlay e Amazon Prime Video. Tra gli ideatori lo stesso Alfonso Sabella, magistrato italiano ed autore del romanzo autobiografico Cacciatore di mafiosi, sul quale si basa il soggetto. Il protagonista Saverio Barone, ispirato appunto alla figura del magistrato, è interpretato da Francesco Montanari, già premiato a Cannes nel 2018. Si tratta di uno dei più grandi successi della Rai, un prodotto di notevole fattura che avvalora ulteriormente la recente rinascita della serialità della prima rete italiana, che si rilancia a gran voce sull’intero panorama internazionale. In questo articolo la recensione (con obbligati spoiler) dell’ultima, impeccabile, stagione. 

Dalle stelle… alle stelle, parola d’ordine: continuità

Ciò che si era capito dal precedente successo delle prime due stagioni è che si sarebbe sicuramente potuto puntare tutto sul fatto che Il cacciatore non avrebbe mai perso neanche un briciolo di quella intensità narrativa che ha sempre contraddistinto la serie. Ci si lamenta spesso, talvolta giustamente, dei prodotti ultra rinnovati in cui si fa di tutto per riscaldare il più volte possibile la minestra e cavalcare l’onda delle vendite. Non può essere il caso di questa serie per ovvi motivi, essendo essa basata su fatti realmente accaduti e seguendo appunto una narrazione preesistente, ma è giusto considerare positivamente la scelta delle tre canoniche stagioni, che garantiscono una tempistica perfetta per lo sviluppo di trama e soprattutto personaggi. Dilatando maggiormente la storia si sarebbe potuti cadere sulla ripetitività e sicuramente il tutto avrebbe perso notevolmente d’intensità, mentre a posteriori si può ben notare come uno dei principali punti di forza de Il cacciatore sia stata, appunto, la lodevole continuità. 

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Una continuità totale, sia in ambito narrativo, in termini di suspence e di sviluppo della trama, sia in ambito qualitativo, registicamente e fotograficamente parlando. E ci sembra una cosa da ammirare perché, al giorno d’oggi, è sempre più raro trovare una serie che capisca da subito qual’è il tempo a sua disposizione per stupire e per farsi amare, lasciando un buco nel cuore dei propri fan, certo, ma anche garantendosi una romantica e dignitosa immortalità.

Il cacciatore: da dove è partito e fin dove è arrivato Saverio Barone

Con la sua superba interpretazione Francesco Montanari si è garantito sicuramente un posto tra i migliori attori del panorama italiano attuale. Il personaggio di Saverio Barone ha avuto un inizio ed una conclusione degni del percorso narrativo svolto all’interno della serie. Da cacciatore a cacciatore, il buon Saverio in questa stagione si è ritrovato, per la prima volta, realmente solo. Costretto a vivere in un bunker ad hoc sotto la procura di Palermo, per via della seria minaccia di essere ucciso dalla furia stragista della mafia, il protagonista si è ritrovato a combattere con i suoi stessi demoni interiori nel momento forse più complicato della sua vita, fresco, infatti, di separazione da sua moglie Giada e dalla piccola figlia.

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In quest’ultima stagione più che nelle altre ci si concentra sulla connotazione psicologica del personaggio di Barone, che nel suo claustrofobico ed asettico inferno personale riesce a far coesistere il suo senso di smarrimento con la implacabile rabbia nei confronti del mostro mafioso, con Vito Vitale che per la prima volta ha realmente fatto sfociare il tutto in una questione personale con il magistrato del pool Antimafia. Ma è proprio quando si è trovato alle strette che Barone ci ha dimostrato di sapersi reinventare, cosa che nella terza stagione accade in modo strettamente personale e sentimentale, in quanto il protagonista riesce finalmente a capire i limiti del suo lavoro e ad arrangiarsi con i propri mezzi, facendo prevalere la perseveranza e l’astuzia sulla rabbia che lo contraddistingue e sull’immancabile e sfrenato desiderio di “cacciarli” tutti.

Il cacciatore: lo sviluppo narrativo del finale di serie

La terza stagione sostanzialmente è divisa in due blocchi, distinti sia in chiave narrativa, sia in chiave prettamente emotiva. Nella prima parte la lotta tra un leone in gabbia, Barone, ed uno nascosto ma non meno pericoloso, sia preda che predatore, Vito Vitale. Il suo personaggio emerge definitivamente in questa terza stagione. Ultimo rappresentante di quella branca della mafia che continua ad incoraggiare la violenza contro lo Stato, figlia delle stragi di Capaci e via D’Amelio, ma non solo. Vitale è talmente pericoloso da costringere l’Antimafia ad adottare misure di estrema sicurezza per proteggere l’incolumità dei suoi membri, in particolare quella del magistrato. Ma gli inevitabili rallentamenti dati dall’adottamento delle misure precauzionali non fermano la caccia di Barone, che approfitta della facilmente corrompibile moralità del nemico per arrestarlo, pedinando una delle sue irrinunciabili amanti. E dal confronto face to face tra Saverio e Vito Vitale si cambia registro. Sul volto del magistrato si legge tutta quella soddisfazione di cui aveva bisogno, nonostante per la prima volta sia stato confinato nel seguire le indagini da una base nascosta, ma prima di condurre in carcere il pericoloso mafioso gli viene concesso un meritato confronto con colui che aveva giurato di ucciderlo.

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Nella seconda parte della stagione Barone viene convinto dai suoi colleghi, compreso il rientrante (seppur per due brevi apparizioni) Carlo, ad abbandonare il freddo bunker per tornare alla vita di tutti i giorni e provare così a riavvicinarsi alla figlia ed all’ex moglie. Vediamo quindi il protagonista alle prese con un ricongiungimento reso difficile dalla notizia che Giada ha una nuova relazione e dal fatto che sua figlia fatichi a riconoscerlo. E’ qui che viene esplorato in modo commovente il lato umano di Saverio Barone, il cacciatore di mafiosi, messo a nudo di fronte al suo secondo più grande nemico dopo la mafia, la solitudine. La scalata per la sua redenzione personale comincia a rilento ma prosegue a gonfie vele, in seguito anche alla missione in Spagna, dove dopo tanto tempo riesce ad avvicinarsi nuovamente ad una donna, in una scena passionale e romantica che rappresenta una svolta significativa per la riacquisita serenità e fiducia in se stesso del protagonista. Dopo aver ritrovato la passione, il fuoco torna ad ardere anche per la nuova causa primaria: dare la caccia a Pietro Aglieri e Bernardo Provenzano.

Il personaggio interpretato da Gaetano Bruno è un autentico one man show che da solo varrebbe il prezzo del biglietto. La sua straordinaria caratterizzazione è uno degli elementi portanti dell’ultima stagione, che dopo aver visto regnare e cadere due personaggi complessi e narrativamente ben delineati come Bagarella e Brusca rischiava di “deludere”, ma così non è stato affatto, anzi. Il personaggio di Aglieri è devotissimo, un mancato predicatore che inneggia alla purezza d’animo e all’affidarsi a Dio. Al centro della stagione vi è anche la parallela rivalità tra lui e Provenzano, interpretato altrettanto magistralmente da Marcello Mazzarella (a riconferma di un cast straordinario), riassumibile nel meraviglioso faccia a faccia sulla porta del casolare di Aglieri, in cui Provenzano gli rinfaccia di chinare troppe volte la testa di fronte a Dio senza averlo mai fatto di fronte a lui. Plauso da fare anche al personaggio di Davide (Danilo Arena), braccio destro e futuro successore di Aglieri, simbolo per eccellenza dell’esplorazione psicologica del personaggio del suo capo.

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Barone dal canto suo si trova di fronte ad un altro intoppo, rappresentato dal più invisibile ed implacabile dei nemici, lo Stato, protettore di Provenzano. Qui Saverio dimostra quanto il suo personaggio sia cresciuto e divenuto coscienzioso, quando capisce che a lui non si può arrivare, almeno in quel momento, e che il massimo che si può fare è indebolirlo, “accontentandosi” di Aglieri. L’arresto avviene in modo spettacolare e segna la fine dell’esperienza di Saverio Barone a capo dell’Antimafia di Palermo, con il testimone che passa nelle mani di Paola Romano (Linda Caridi), altro personaggio che affronta un ottimo percorso di crescita personale all’interno di questa ricchissima terza stagione. Sul finale si vede Saverio, leggermente invecchiato, nel 2006, uscire dall’aula dell’Università in cui tiene una lezione sulla sua storia ed apprendere in macchina, insieme al fedele Zaza, dell’arresto di Provenzano, seguito dalle immagini autentiche del blitz della polizia. 

Il cacciatore 3: la chiusura di un cerchio

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Non è mai facile trarre le conclusioni di un prodotto così qualitativamente elevato, per il semplice fatto che non basta elogiarne sviluppo narrativo e trama. Il cacciatore ha dimostrato tante cose in questi anni, a partire dal fatto che in Italia ci sia eccome il talento necessario per realizzare serie tv straordinarie, e che queste non si contino sulle dita di una mano come in molti credono. Il panorama attoriale italiano è pieno di volti dalle indiscutibili capacità, basti pensare anche soltanto a David Coco, Edoardo Pesce e Gaetano Bruno, che sono riusciti, in ruoli complicatissimi, a rendere in modo impeccabile e soprattutto lontano da ogni banalità, la corruzione, il marciume e la violenza di uno dei mali più contorti e dolorosi del nostro paese, mostrando tuttavia che queste spregevoli persone prima che mostri sono anche uomini e, in quanto tali, non sono immortali. Si conclude il percorso di Saverio Barone e di Francesco Montanari, che ha reso personalmente omaggio a Alfonso Sabella sul suo profilo Instagram, il vero cacciatore di mafiosi, un eroe le cui gesta meritavano di essere narrate in una serie bella e intensa come questa. Ai posteri l’ardua sentenza (la nostra è questa qui).

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